lunedì 31 agosto 2009
domenica 30 agosto 2009
I rischi del dominio .eco
C'è davvero bisogno di un nuovo top level domain .eco? L'ICANN sta pensando di lanciare il suffisso nel 2010, quando un nuovo gruppo di domini sarà autorizzato. All'inizio i top level domain eraso solo otto (com, edu, gov, int, mil, net, org and arpa), poi nel 2000 furono aggiunti aero, biz, coop, info, museum, name e pro. La terza infornata è del 2004 con altri sette: asia, cat, jobs, mobi, tel, travel and post. Ci sono poi circa 250 country code top level domain di due lettere, che indicano nazioni o stati. Il gruppo che sarà approvato nel 2010, di cui dovrebbe fare parte anche .eco, sarà il primo con domini scritti in altri alfabeti come il cinese e l'arabo.
Due grandi gruppi si contendono la gestione di .eco. Da una parte il gruppo canadese Big Room che ha il supporto del WWF e di Green Cross, dall'altra i Californiani di Dot Eco spalleggiati da Al Gore ma anche dal Sierra Club, storica associazione ambientalista americana. Ambedue i cartelli chiedono a ICANN di gestire il rilascio dei domini .eco, che significa amministrare le entrate ma anche verificare i requisiti dei richiedenti.
Le opinioni sono molto differenti e qualcuno si chiede se .eco sarà un sistema per attribuire credenziali oppure un modo per raccogliere denaro per le cause ambientaliste.
Il blog americano The Daily Green si interroga sul perché si debbano confinare i siti ecologisti in un solo dominio, quando la necessità è quella di essere visibili e raggiungere il massimo possibile di contatti. Secondo il blog i domini .eco "potrebbero relegare le tematiche ambientali ancora più agli estremi, ai margini del dibattito globale". Secondo Brian Clark Howard, editore di The Daily Green l'importante è rendere tutto ecologico e sostenibile, non solo gli argomenti trattati in siti speciali o in pubblicazioni di nicchia. Secondo me ha ragione.
Due grandi gruppi si contendono la gestione di .eco. Da una parte il gruppo canadese Big Room che ha il supporto del WWF e di Green Cross, dall'altra i Californiani di Dot Eco spalleggiati da Al Gore ma anche dal Sierra Club, storica associazione ambientalista americana. Ambedue i cartelli chiedono a ICANN di gestire il rilascio dei domini .eco, che significa amministrare le entrate ma anche verificare i requisiti dei richiedenti.
Le opinioni sono molto differenti e qualcuno si chiede se .eco sarà un sistema per attribuire credenziali oppure un modo per raccogliere denaro per le cause ambientaliste.
Il blog americano The Daily Green si interroga sul perché si debbano confinare i siti ecologisti in un solo dominio, quando la necessità è quella di essere visibili e raggiungere il massimo possibile di contatti. Secondo il blog i domini .eco "potrebbero relegare le tematiche ambientali ancora più agli estremi, ai margini del dibattito globale". Secondo Brian Clark Howard, editore di The Daily Green l'importante è rendere tutto ecologico e sostenibile, non solo gli argomenti trattati in siti speciali o in pubblicazioni di nicchia. Secondo me ha ragione.
sabato 29 agosto 2009
Piranha clandestini nel Po
Un pescatore di Guastalla, Marco Bonazzi, ha pescato un piranha nel Po parmense. La specie è Pygocentrus nattereri, volgarmente conosciuto come piranha rosso.
Per ora non si registrano commenti dal ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali, competente per la pesca. Il ministro è il leghista Luca Zaia, militante di un partito che non tollera l'immigrazione clandestina.
Scatterà un'operazione di rimpatrio per i piranha?
Per ora non si registrano commenti dal ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali, competente per la pesca. Il ministro è il leghista Luca Zaia, militante di un partito che non tollera l'immigrazione clandestina.
Scatterà un'operazione di rimpatrio per i piranha?
Virgilio Savona, 1920 - 2009
I testi erano di Tata Giacobetti, Virgilio Savona scriveva le musiche e curava gli arrangiamenti del Quartetto Cetra.
venerdì 28 agosto 2009
mercoledì 26 agosto 2009
domenica 23 agosto 2009
Reburbia, i risultati
Inhabitat ha pubblicato i risultati del concorso Reburbia, dedicato ad idee per ridisegnare le periferie urbane.
Nel post del 27 luglio avevo scritto che Reburbia era un concorso leggero, lontano dai connotati burocratici che appesantiscono i concorsi di architettura a cui siamo abituati in Italia (tempi interminabili, ricorsi e controricorsi, giurie di tromboni).
Nel giro di meno di un mese Reburbia ha ricevuto centinaia di proposte e ha selezionato venti finalisti, tra i quali sono stati scelti quattro vincitori. Di questi tre sono stati scelti dalla giuria e uno dal pubblico. Quello uscito dal voto popolare è il mio preferito, una idea di Galina Tahchieva per un Urban Sprawl Repair Kit, un abaco di idee per cercare di rimediare ai disatri delle periferie. Mi piace anche che la proposta sia presentata con planimetrie e prospettive isonometriche a mano, un po retrò ma efficaci ed emotivamente molto più coinvolgenti dei perfetti ma algidi rendering.
Nel post del 27 luglio avevo scritto che Reburbia era un concorso leggero, lontano dai connotati burocratici che appesantiscono i concorsi di architettura a cui siamo abituati in Italia (tempi interminabili, ricorsi e controricorsi, giurie di tromboni).
Nel giro di meno di un mese Reburbia ha ricevuto centinaia di proposte e ha selezionato venti finalisti, tra i quali sono stati scelti quattro vincitori. Di questi tre sono stati scelti dalla giuria e uno dal pubblico. Quello uscito dal voto popolare è il mio preferito, una idea di Galina Tahchieva per un Urban Sprawl Repair Kit, un abaco di idee per cercare di rimediare ai disatri delle periferie. Mi piace anche che la proposta sia presentata con planimetrie e prospettive isonometriche a mano, un po retrò ma efficaci ed emotivamente molto più coinvolgenti dei perfetti ma algidi rendering.
sabato 22 agosto 2009
venerdì 21 agosto 2009
Il grigio delle bandiere blu
Oggi il Corriere della Sera dedica una pagina alle cosiddette bandiere blu, segnalando alcuni casi in cui il riconoscimento non corrisponde alle opinioni di chi frequenta le spiagge dove sventola il vessillo.
La bandiera blu viene assegnata dalla FEE (Foundation for Environmental Education) sulla base di risposte fornite dalle amministrazioni candidate ad una serie di quesiti sui servizi di spiaggia, le informazioni ai turisti, la generale "tendenza ecologica" dei luoghi. Requisito essenziale è ovviamente l'analisi delle acque di balneazione.
Delle tante bandiere blu italiane il primato regionale spetta alla Liguria (17), seguono Toscana e Marche con 16. L'Abruzzo ne conta 13, la Calabria e la Sicilia 4 e la Sardegna solo due (Santa Teresa di Gallura e La Maddalena).
Resta difficile pensare che le basse e sabbiose coste abruzzesi possano essere più attraenti delle acque di Sardegna, ma questo è il resoconto della FEE, che comunque valuta solo le richieste formulate.
La baia di Portonovo, nel comune di Ancona, non chiede da molti anni alla FEE di avere una bandiera blu. A Portonovo tutte le acque luride vengono pompate a monte con un impianto complesso e molto costoso, mentre in molte altre spiagge si va avanti con le fosse settiche, quando va bene. A Portonovo si fa raccolta differenziata porta a porta da anni e in tutte le spiagge non si vede (e non si odora) un cassonetto, che nelle vicinanze dei ristoranti di pesce può produrre miasmi micidiali. Portonovo scoraggia la mobilità privata con linee di autobus che la collegano con Ancona e tutta la Riviera del Conero e bus navetta gratuiti che trasportano i bagnanti dai parcheggi situati a monte alle spiagge.
Portonovo normalmente è stracolma di frequentatori, che a ragione la giudicano un luogo imperdibile e unico. Ad una destinazione come questa serve la bandiera blu della FEE? Secondo le ultime considerazioni degli operatori turistici della baia si, tanto da costituire un comitato e chiedere alla amministrazione del Comune di Ancona di attivarsi per sottoporre la candidatura per il 2010.
Il paradosso è che, secondo i requisiti del questionario FEE, la bandiera blu potrebbe essere facilmente assegnata anche alla spiaggia sabbiosa di Palombina Nuova, situata a nord di Ancona e a pochi chilometri dalla raffineria API di Falconara e dal porto internazionale del capoluogo. Palombina ha acque più che balneabili e servizi di spiaggia che non hanno nulla da invidiare a Portonovo. Certo, il colpo d'occhio non è lo stesso, ma non è un requisito. Altrimenti la bandiera blu non sventolerebbe su luoghi come Jesolo, Comacchio, Mondolfo, Porto Recanati o Giulianova.
Io resto della mia opinione: la bandiera blu legittima chi la assegna, non chi la riceve.
La bandiera blu viene assegnata dalla FEE (Foundation for Environmental Education) sulla base di risposte fornite dalle amministrazioni candidate ad una serie di quesiti sui servizi di spiaggia, le informazioni ai turisti, la generale "tendenza ecologica" dei luoghi. Requisito essenziale è ovviamente l'analisi delle acque di balneazione.
Delle tante bandiere blu italiane il primato regionale spetta alla Liguria (17), seguono Toscana e Marche con 16. L'Abruzzo ne conta 13, la Calabria e la Sicilia 4 e la Sardegna solo due (Santa Teresa di Gallura e La Maddalena).
Resta difficile pensare che le basse e sabbiose coste abruzzesi possano essere più attraenti delle acque di Sardegna, ma questo è il resoconto della FEE, che comunque valuta solo le richieste formulate.
La baia di Portonovo, nel comune di Ancona, non chiede da molti anni alla FEE di avere una bandiera blu. A Portonovo tutte le acque luride vengono pompate a monte con un impianto complesso e molto costoso, mentre in molte altre spiagge si va avanti con le fosse settiche, quando va bene. A Portonovo si fa raccolta differenziata porta a porta da anni e in tutte le spiagge non si vede (e non si odora) un cassonetto, che nelle vicinanze dei ristoranti di pesce può produrre miasmi micidiali. Portonovo scoraggia la mobilità privata con linee di autobus che la collegano con Ancona e tutta la Riviera del Conero e bus navetta gratuiti che trasportano i bagnanti dai parcheggi situati a monte alle spiagge.
Portonovo normalmente è stracolma di frequentatori, che a ragione la giudicano un luogo imperdibile e unico. Ad una destinazione come questa serve la bandiera blu della FEE? Secondo le ultime considerazioni degli operatori turistici della baia si, tanto da costituire un comitato e chiedere alla amministrazione del Comune di Ancona di attivarsi per sottoporre la candidatura per il 2010.
Il paradosso è che, secondo i requisiti del questionario FEE, la bandiera blu potrebbe essere facilmente assegnata anche alla spiaggia sabbiosa di Palombina Nuova, situata a nord di Ancona e a pochi chilometri dalla raffineria API di Falconara e dal porto internazionale del capoluogo. Palombina ha acque più che balneabili e servizi di spiaggia che non hanno nulla da invidiare a Portonovo. Certo, il colpo d'occhio non è lo stesso, ma non è un requisito. Altrimenti la bandiera blu non sventolerebbe su luoghi come Jesolo, Comacchio, Mondolfo, Porto Recanati o Giulianova.
Io resto della mia opinione: la bandiera blu legittima chi la assegna, non chi la riceve.
giovedì 20 agosto 2009
Le multe per Kyoto? Nelle bollette
Ne avevo scritto su Sostenibilitalia la scorsa settimana dopo l'annuncio del ministro dell'ambiente Prestigiacomo: il governo incolpa Prodi delle negoziazioni sul tetto di emissioni e scopre improvvisamente che ci sono da pagare oltre 500 milioni di Euro per gli sforamenti delle nostre imprese. Tutto già previsto e contabilizzato, ma nei due anni passati dalla firma dell'accordo nulla è stato fatto per riconvertire l'industria e la produzione energetica nazionale. Non è stato neppure tentato un piano di efficienza e riduzione dei consumi, anzi Tremonti aveva anche provato ad eliminare gli incentici per le energie rinnovabili e il risparmio energetico in edilizia, salvo poi fare marcia indietro di fronte alla rivolta di artigiani e piccole imprese.
Oggi Repubblica scrive quello che in molti avevamo immaginato: il denaro necessario per pagare le salate multe di Bruxelles finirà nelle nostre bollette della luce, dove già si annidano addizionali varie, compresa quela per lo smaltimento delle scorie nucleari degli anni '80. Le associazioni dei consumatori rispondono immediatamente "no grazie" e diffidano il governo a mettere in atto una mossa che, secondo Paolo Landi di Adiconsum, costerebbe 40 Euro l'anno a famiglia. "Le responsabilità vanno cercate tra le imprese e nel non controllo del Governo" aggiunge Adiconsum.
Oggi Repubblica scrive quello che in molti avevamo immaginato: il denaro necessario per pagare le salate multe di Bruxelles finirà nelle nostre bollette della luce, dove già si annidano addizionali varie, compresa quela per lo smaltimento delle scorie nucleari degli anni '80. Le associazioni dei consumatori rispondono immediatamente "no grazie" e diffidano il governo a mettere in atto una mossa che, secondo Paolo Landi di Adiconsum, costerebbe 40 Euro l'anno a famiglia. "Le responsabilità vanno cercate tra le imprese e nel non controllo del Governo" aggiunge Adiconsum.
mercoledì 19 agosto 2009
L'Italia, l'Europa, i finanziamenti
Un articolo in prima pagina su Italia Oggi mette in guardia sul pericolo, estremamente concreto, che l'Italia perda una buona parte dei suoi fondi comunitari. Le ragioni sono le stesse di sempre: scarso coordinamento tra stato e regioni, tempi lunghissimi per la emanazione dei bandi, difficoltà ad adeguarsi ai severi meccanismi di rendicontazione.
Il pezzo di Marino Longoni non è nemmeno troppo illuminante, tutti quelli che seguono il settore sanno queste cose da un pezzo. L'ultimo esempio è IPA (instrument for pre-accession assistance), uno dei pochi programmi comunitari destinato ai paesi in fase di accesso o potenziali candidati all'ingresso nell'Unione. Inutile dire che IPA rappresenta una risorsa cruciale nell'area adriatico-balcanica. Bruxelles ha emanato le regole per IPA nel giugno 2007. L'IPA Adriatico, che sostituisce il programma Interreg IIIA, è stato approvato dalla Commissione Europea il 25 marzo 2008. L'Italia ha individuato l'autorità di gestione nella regione Abruzzo, che dopo interminabili riunioni con le altre regioni interessante e continui rinvii ha approvato il bando un mese fa, dopo 14 mesi. La colpa non è del terremoto, il bando sarebbe dovuto uscire lo scorso anno.
Il sito web del programma IPA Adriatico è stato attivato il 31 luglio. Il bando finalmente è stato pubblicato e scadrà il prossimo 29 ottobre. Nel corso di questi due anni le aspettative sono cresciute, i potenziali progetti si sono moltiplicati, l'attesa ha snervato tutti i soggetti pubblici o privati interessati. Il risultato di questa lunghissima gestazione sarà un numero elevato di proposte che metterà in grave difficoltà chi dovrà selezionarle, visti i gravissimi ritardi già accumulati.
Il pezzo di Marino Longoni non è nemmeno troppo illuminante, tutti quelli che seguono il settore sanno queste cose da un pezzo. L'ultimo esempio è IPA (instrument for pre-accession assistance), uno dei pochi programmi comunitari destinato ai paesi in fase di accesso o potenziali candidati all'ingresso nell'Unione. Inutile dire che IPA rappresenta una risorsa cruciale nell'area adriatico-balcanica. Bruxelles ha emanato le regole per IPA nel giugno 2007. L'IPA Adriatico, che sostituisce il programma Interreg IIIA, è stato approvato dalla Commissione Europea il 25 marzo 2008. L'Italia ha individuato l'autorità di gestione nella regione Abruzzo, che dopo interminabili riunioni con le altre regioni interessante e continui rinvii ha approvato il bando un mese fa, dopo 14 mesi. La colpa non è del terremoto, il bando sarebbe dovuto uscire lo scorso anno.
Il sito web del programma IPA Adriatico è stato attivato il 31 luglio. Il bando finalmente è stato pubblicato e scadrà il prossimo 29 ottobre. Nel corso di questi due anni le aspettative sono cresciute, i potenziali progetti si sono moltiplicati, l'attesa ha snervato tutti i soggetti pubblici o privati interessati. Il risultato di questa lunghissima gestazione sarà un numero elevato di proposte che metterà in grave difficoltà chi dovrà selezionarle, visti i gravissimi ritardi già accumulati.
lunedì 17 agosto 2009
La strada per Copenhagen
Nella assoluta indifferenza degli organi di informazione italiana, Bonn ha ospitato dal 10 al 14 agosto una sessione informale della convenzione delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico. Malgrado l'infelice collocazione temporale all'Hotel Maritime di Bonn c'erano 2500 delegati, segno che l'attenzione del mondo sull'emergenza dei cambiamenti climatici resta alta anche in tempi vacanzieri.
La natura "informale" dell'incontro tedesco non giustificava aspettative di particolari progressi, almeno sotto il profilo della diplomazia. Tuttavia il commento finale del segretario esecutivo dell'UNFCCC Yvo de Boer chiarisce bene lo stato delle cose: "Di questo passo non ce la faremo".
Se si vuole raggiungere un accordo a Copenhagen i negoziati devono proseguire con una marcia diversa sui vari tavoli, dall'adattamento alla tecnologia e alla necessità di sostenere i paesi in via di sviluppo.
Il prossimo appuntamento UNFCCC, questa volta formale, è a Bangkok dal 28 settembre al 9 ottobre. Ma la settimana precedente il segretario generale ONU Ban Ki-moon ha convocato una giornata sul clima a New York per il 22 settembre, il giorno prima della 64ima assemblea generale delle Nazioni Unite. Inoltre il 24 e 25 settembre si terrà a Pittsburgh il prossimo meeting del G-20. Gli sherpa sono già in movimento.
La natura "informale" dell'incontro tedesco non giustificava aspettative di particolari progressi, almeno sotto il profilo della diplomazia. Tuttavia il commento finale del segretario esecutivo dell'UNFCCC Yvo de Boer chiarisce bene lo stato delle cose: "Di questo passo non ce la faremo".
Se si vuole raggiungere un accordo a Copenhagen i negoziati devono proseguire con una marcia diversa sui vari tavoli, dall'adattamento alla tecnologia e alla necessità di sostenere i paesi in via di sviluppo.
Il prossimo appuntamento UNFCCC, questa volta formale, è a Bangkok dal 28 settembre al 9 ottobre. Ma la settimana precedente il segretario generale ONU Ban Ki-moon ha convocato una giornata sul clima a New York per il 22 settembre, il giorno prima della 64ima assemblea generale delle Nazioni Unite. Inoltre il 24 e 25 settembre si terrà a Pittsburgh il prossimo meeting del G-20. Gli sherpa sono già in movimento.
sabato 15 agosto 2009
venerdì 14 agosto 2009
Les Paul, 1915 - 2009
Les Paul è morto ieri a White Plans, New York per le complicazioni di una polmonite. Aveva 94 anni.
Nato il 9 giugno 1915 con il vero nome di Lester William Polfuss, Les Paul è stato un musicista di successo ma soprattutto un innovatore. Fu lui ad inventare la chitarra senza cassa armonica, costruita con un unico blocco di legno (lui la chiamava The Log, il ceppo). La prima chitarra monoblocco prodotta commercialmente fu la Broadcaster di Leo Fender, nei tardi anni '40. Più tardi la Gibson avvio una serie di modelli firmati da Les Paul che hanno fatto la storia del rock and roll. La prima chitarra firmata fu la Les Paul Goldtop nel 1952. Seguirono la Black Beauty, la Les Paul Custom in mogano e la Les Paul Junior, tutte nel 1954. Nel 1955 fu lanciata la Les Paul Special fino ad arrivare alla seminale Les Paul Standard del 1958.
Meno conosciuta ma probabilmente ancora più importante un'altra sua innovazione: l'introduzione della registrazione multitraccia in cui i singoli strumenti vengono registrati su piste sonore separate. A Les Paul si attribuisce anche l'invenzione del riverbero e di altri effetti sonori. "Era un futurista, ma al contrario di molti futuristi che scrivono e prevedono, alla fine le cose lui le realizzava per davvero" lo descrive Henry Juskievitz, amministratore delegato della Gibson.
Les Paul non aveva mai smesso di suonare e fino a poco tempo fa si esibivava dal vivo ogni lunedì all'Iridium Jazz Club di Midtown Manhattan. Nel 2005, a 90 anni, aveva pubblicato il disco American Made World Played che gli è valso un Grammy. Nei 16 brani dell'album Les Paul suona assieme a personaggi come Buddy Guy, Keith Richards, Jeff Beck, Eric Clapton, Sting. Ma ci sono persino hard rockers come Billy Gibbons di ZZ Top, Edgar Winter, Steve Miller e Richie Sambora.
Nato il 9 giugno 1915 con il vero nome di Lester William Polfuss, Les Paul è stato un musicista di successo ma soprattutto un innovatore. Fu lui ad inventare la chitarra senza cassa armonica, costruita con un unico blocco di legno (lui la chiamava The Log, il ceppo). La prima chitarra monoblocco prodotta commercialmente fu la Broadcaster di Leo Fender, nei tardi anni '40. Più tardi la Gibson avvio una serie di modelli firmati da Les Paul che hanno fatto la storia del rock and roll. La prima chitarra firmata fu la Les Paul Goldtop nel 1952. Seguirono la Black Beauty, la Les Paul Custom in mogano e la Les Paul Junior, tutte nel 1954. Nel 1955 fu lanciata la Les Paul Special fino ad arrivare alla seminale Les Paul Standard del 1958.
Meno conosciuta ma probabilmente ancora più importante un'altra sua innovazione: l'introduzione della registrazione multitraccia in cui i singoli strumenti vengono registrati su piste sonore separate. A Les Paul si attribuisce anche l'invenzione del riverbero e di altri effetti sonori. "Era un futurista, ma al contrario di molti futuristi che scrivono e prevedono, alla fine le cose lui le realizzava per davvero" lo descrive Henry Juskievitz, amministratore delegato della Gibson.
Les Paul non aveva mai smesso di suonare e fino a poco tempo fa si esibivava dal vivo ogni lunedì all'Iridium Jazz Club di Midtown Manhattan. Nel 2005, a 90 anni, aveva pubblicato il disco American Made World Played che gli è valso un Grammy. Nei 16 brani dell'album Les Paul suona assieme a personaggi come Buddy Guy, Keith Richards, Jeff Beck, Eric Clapton, Sting. Ma ci sono persino hard rockers come Billy Gibbons di ZZ Top, Edgar Winter, Steve Miller e Richie Sambora.
giovedì 13 agosto 2009
Presty, Kyoto e Ferragosto
Il ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo pubblica un intervento su Il Sole di oggi in cui lamenta la impossibilità del governo italiano di avvicinare gli obiettivi fissati nel 2008 in merito alle emissioni di CO2. L'articolo, dal titolo emblematico L'eredità pesante di una logica sbagliata, incolpa il precedente governo di centro sinistra di avere accettato condizioni giudicate penalizzanti rispetto al resto dell'Europa. Il giornale di Confindustria rafforza la tesi con un lungo articolo che concentra l'attenzione sui costi che deriverebbero dalla nostra incapacità di mantenere gli obiettivi prefissati: solo nel 2009 abbiamo sforato di 37 milioni di tonnellate di CO2, pari a 550 milioni di Euro di sanzione.
Mesi fa, parlando con alcuni amici attenti alla questione, ci chiedevamo se il governo Berlusconi avesse presente questo problema, peraltro già previsto e anche facile da contabilizzare. L'opinione che ci eravamo fatti è che il ministro dell'economia Tremonti avesse considerato questa come una delle solite cose all'italiana, patti che si sottoscrivono ma poi non si devono per forza rispettare, sperando magari in uno dei condoni, concordati e patteggiamenti di cui è caposcuola.
Purtroppo per l'Italia non è così. Prestigiacomo se ne accorge improvvisamente il 13 agosto 2009, dopo un anno e mezzo di grandi fanfare nucleari del governo, impegnato a farci conoscere le meraviglie dell'energia atomica che, per chi ci crede, sarà disponibile in Italia comunque non prima del 2020.
Gli accordi sottoscritti dall'Italia per la riduzione delle emissioni di CO2 riguardano invece il periodo 2009-2012.
Il governo non ha avviato alcun programma per la riduzione delle emissioni a breve termine. Non ha cercato un piano di concertazione con le imprese dei settori più energivori e inquinanti, anzi ha preteso lo scorso anno dall'Europa una dilazione per i limiti di emissione del settore del cemento e dei laterizi.
Gli altri paesi d'Europa hanno allestito piani ambiziosi, investito somme ingenti per programmi nazionali di riconversione energetica. Nel suo intervento Prestigiacomo avverte che "sarà necessario individuare gli strumenti e le risorse finanziare per affrontare questo nodo ed evitare pesanti sanzioni o inaccettabili penalizzazioni delle aziende italiane, che sono quelle con le migliori performance ambientali del mercato europeo". Il ministro scrive sul giornale delle imprese e le accarezza, cercando una sponda. Quando però ammette che "sarà necessario individuare gli strumenti e le risorse finanziare" confessa che il governo finora non ha fatto né pensato nulla. Solo proclami atomici.
Mesi fa, parlando con alcuni amici attenti alla questione, ci chiedevamo se il governo Berlusconi avesse presente questo problema, peraltro già previsto e anche facile da contabilizzare. L'opinione che ci eravamo fatti è che il ministro dell'economia Tremonti avesse considerato questa come una delle solite cose all'italiana, patti che si sottoscrivono ma poi non si devono per forza rispettare, sperando magari in uno dei condoni, concordati e patteggiamenti di cui è caposcuola.
Purtroppo per l'Italia non è così. Prestigiacomo se ne accorge improvvisamente il 13 agosto 2009, dopo un anno e mezzo di grandi fanfare nucleari del governo, impegnato a farci conoscere le meraviglie dell'energia atomica che, per chi ci crede, sarà disponibile in Italia comunque non prima del 2020.
Gli accordi sottoscritti dall'Italia per la riduzione delle emissioni di CO2 riguardano invece il periodo 2009-2012.
Il governo non ha avviato alcun programma per la riduzione delle emissioni a breve termine. Non ha cercato un piano di concertazione con le imprese dei settori più energivori e inquinanti, anzi ha preteso lo scorso anno dall'Europa una dilazione per i limiti di emissione del settore del cemento e dei laterizi.
Gli altri paesi d'Europa hanno allestito piani ambiziosi, investito somme ingenti per programmi nazionali di riconversione energetica. Nel suo intervento Prestigiacomo avverte che "sarà necessario individuare gli strumenti e le risorse finanziare per affrontare questo nodo ed evitare pesanti sanzioni o inaccettabili penalizzazioni delle aziende italiane, che sono quelle con le migliori performance ambientali del mercato europeo". Il ministro scrive sul giornale delle imprese e le accarezza, cercando una sponda. Quando però ammette che "sarà necessario individuare gli strumenti e le risorse finanziare" confessa che il governo finora non ha fatto né pensato nulla. Solo proclami atomici.
Fai la cosa sinistra
Oggi è la giornata mondiale dei mancini, quindi molti auguri a tutti noi che vivono la loro vita in maniera speculare rispetto alla maggioranza degli umani. La prima giornata mondiale dei mancini fu proclamata il 13 agosto 1976 e da allora la ricorrenza ha guadagnato popolarità e reputazione. Qualcuno la chiama addirittura "giornata dell'orgoglio mancino".
La vita dei mancini è stimolante e complicata, con molti oggetti concepiti per la maggioranza destrorsa: dalle posate da pesce agli apriscatole, dai mouse ai braccetti dei giradischi. Un universo a rovescio obbliga i mancini ad acquisire qualche abilità anche con la mano sbagliata, altrimenti non riusciremmo a cambiare la marcia in auto o a scattare una foto. Ecco perché spesso siamo più estrosi e imprevedibili dei destrorsi.
La popolarità di noi mancini ha guadagnato molti punti con Barack Obama (foto), ma la lista dei presidenti americani di mano sinistra comprende anche Bill Clinton, Ronald Reagan e John F. Kennedy.
Partendo da Alessandro il grande, Aristotele, Giulio Cesare e Leonardo Da Vinci la lista dei "rovesci" è importante. Tra i miei preferiti ricordo Jimi Hendrix, Albert Einstein, Gandhi, Diego Maradona, Paul Mc Cartney, Fidel Castro, Valentino Rossi e il mio collega di studio Fabio.
La vita dei mancini è stimolante e complicata, con molti oggetti concepiti per la maggioranza destrorsa: dalle posate da pesce agli apriscatole, dai mouse ai braccetti dei giradischi. Un universo a rovescio obbliga i mancini ad acquisire qualche abilità anche con la mano sbagliata, altrimenti non riusciremmo a cambiare la marcia in auto o a scattare una foto. Ecco perché spesso siamo più estrosi e imprevedibili dei destrorsi.
La popolarità di noi mancini ha guadagnato molti punti con Barack Obama (foto), ma la lista dei presidenti americani di mano sinistra comprende anche Bill Clinton, Ronald Reagan e John F. Kennedy.
Partendo da Alessandro il grande, Aristotele, Giulio Cesare e Leonardo Da Vinci la lista dei "rovesci" è importante. Tra i miei preferiti ricordo Jimi Hendrix, Albert Einstein, Gandhi, Diego Maradona, Paul Mc Cartney, Fidel Castro, Valentino Rossi e il mio collega di studio Fabio.
mercoledì 12 agosto 2009
Ministri, vescovi ma prima i bambini
I miei due bambini frequentano l'ora di religione, che sarebbe facoltativa ma nella realtà della scuola italiana è una convenzione. Frequentano anche i corsi di musica ed educazione motoria (a.k.a. ginnastica), che sono facoltativi e a pagamento.
Religione è gratis, perché paga la scuola italiana. Gli insegnanti di religione vengono nominati su indicazione diretta della curia locale, non ci sono concorsi o selezioni.
Quando gli insegnanti dei miei bambini si riuniscono per gli scrutini l'insegnante di religione è presente e dice la sua, gli insegnati di musica ed educazione motoria non partecipano, malgrado anche loro vedono i miei ragazzi ogni settimana e probabilmente nelle loro attività i bambini possono manifestare comportamenti estremamente importanti per l'analisi del loro percorso educativo.
Il Tribunale Amministrativo del Lazio ha esaminato un ricorso e ha deciso che non vi è motivo perché gli insegnanti di religione, materia facoltativa e gestita da insegnanti nominati senza criteri di merito, debbano prendere parte al giudizio degli alunni.
La reazione della CEI è stata violentissima, assurda. Il ministro competente ha dichiarato che "in Italia vi è piena libertà di scegliere se frequentare o meno l'insegnamento della religione. Non si comprende perché qualcuno voglia limitare questa libertà. È ingiusto discriminare la religione cattolica" e che "la religione cattolica esprime un patrimonio di storia, di valori e di tradizioni talmente importante che la sua unicità deve essere riconosciuta e tutelata. Una unicità che la scuola, pur nel rispetto di tutte le altre religioni, ha il dovere di riconoscere e valorizzare".
Il ministro ha aggiunto che "L'ordinanza del Tar infatti determina un ingiusto danno nei confronti di chi sceglie liberamente di seguire il corso (...) L'ordinanza del Tar peraltro tende a sminuire il ruolo degli insegnanti di religione cattolica, come se esistessero docenti di serie a e di serie b. Al contrario ritengo che il ruolo degli insegnanti di religione vada accresciuto e valorizzato. Per questo dal prossimo anno - dice il ministro Gelmini - è mia intenzione coinvolgere i docenti di religione cattolica in attività di formazione, secondo gli obiettivi della riforma del primo e del secondo ciclo d'istruzione".
Maria Stella Gelmini ha concluso annunciando che ricorrerà contro la sentenza al Consiglio di Stato.
Così adesso, oltre agli stipendi degli insegnanti di religione, dovremo pagare anche le parcelle degli avvocati.
Religione è gratis, perché paga la scuola italiana. Gli insegnanti di religione vengono nominati su indicazione diretta della curia locale, non ci sono concorsi o selezioni.
Quando gli insegnanti dei miei bambini si riuniscono per gli scrutini l'insegnante di religione è presente e dice la sua, gli insegnati di musica ed educazione motoria non partecipano, malgrado anche loro vedono i miei ragazzi ogni settimana e probabilmente nelle loro attività i bambini possono manifestare comportamenti estremamente importanti per l'analisi del loro percorso educativo.
Il Tribunale Amministrativo del Lazio ha esaminato un ricorso e ha deciso che non vi è motivo perché gli insegnanti di religione, materia facoltativa e gestita da insegnanti nominati senza criteri di merito, debbano prendere parte al giudizio degli alunni.
La reazione della CEI è stata violentissima, assurda. Il ministro competente ha dichiarato che "in Italia vi è piena libertà di scegliere se frequentare o meno l'insegnamento della religione. Non si comprende perché qualcuno voglia limitare questa libertà. È ingiusto discriminare la religione cattolica" e che "la religione cattolica esprime un patrimonio di storia, di valori e di tradizioni talmente importante che la sua unicità deve essere riconosciuta e tutelata. Una unicità che la scuola, pur nel rispetto di tutte le altre religioni, ha il dovere di riconoscere e valorizzare".
Il ministro ha aggiunto che "L'ordinanza del Tar infatti determina un ingiusto danno nei confronti di chi sceglie liberamente di seguire il corso (...) L'ordinanza del Tar peraltro tende a sminuire il ruolo degli insegnanti di religione cattolica, come se esistessero docenti di serie a e di serie b. Al contrario ritengo che il ruolo degli insegnanti di religione vada accresciuto e valorizzato. Per questo dal prossimo anno - dice il ministro Gelmini - è mia intenzione coinvolgere i docenti di religione cattolica in attività di formazione, secondo gli obiettivi della riforma del primo e del secondo ciclo d'istruzione".
Maria Stella Gelmini ha concluso annunciando che ricorrerà contro la sentenza al Consiglio di Stato.
Così adesso, oltre agli stipendi degli insegnanti di religione, dovremo pagare anche le parcelle degli avvocati.
martedì 11 agosto 2009
Moldavia, l'Europa di sponda
Chi gioca a biliardo conosce bene il concetto di sponda. Quando non riesci ad arrivare diritto, puoi farlo usando con perizia un rimbalzo.
Questo sta accadendo in Moldavia, repubblica ex sovietica con forte ascendenza romena. In Moldavia due terzi dei quattro milioni di abitanti parla romeno e sente molto più vicina Bucarest di Chisinau, la capitale dello stato. Accade così che la gran parte dei giovani moldavi che può permetterselo vada a studiare in Romania, anche alla ricerca di un passaporto romeno che garantirebbe l'ingresso in Europa. La Romania accoglie a braccia aperte i Moldavi, tanto che le relazioni diplomatiche tra i due stati sono diventate estremamente tese.
La storia è raccontata da Presseurop che traduce un articolo di Le Monde. La Moldavia ha avuto le sue elezioni politiche anticipate lo scorso 29 luglio. Il partito comunista, al potere dal 2001, ha perso la sua maggioranza e i quattro maggiori partiti di opposizione, dopo dieci giorni di intensi negoziati, hanno annunciato la volontà di formare una coalizione di governo, che potrebbe contare su una esile maggioranza di 53 seggi su 101. La coalizione non avrebbe comunque i tre quinti dell'assemblea, pari a 61 voti, che sono necessari per l'elezione di un nuovo presidente che sostituisca il comunista Vladimir Voronin, che dopo due mandati deve lasciare l'incarico. Questo lascierebbe la Moldavia in una situazione di stallo, con il concreto rischio di nuove elezioni.
Ecco perché, secondo il presidente romeno Basescu, due milioni di Moldavi vorrebbero la cittadinanza romena. In pratica la metà della popolazione.
Questo sta accadendo in Moldavia, repubblica ex sovietica con forte ascendenza romena. In Moldavia due terzi dei quattro milioni di abitanti parla romeno e sente molto più vicina Bucarest di Chisinau, la capitale dello stato. Accade così che la gran parte dei giovani moldavi che può permetterselo vada a studiare in Romania, anche alla ricerca di un passaporto romeno che garantirebbe l'ingresso in Europa. La Romania accoglie a braccia aperte i Moldavi, tanto che le relazioni diplomatiche tra i due stati sono diventate estremamente tese.
La storia è raccontata da Presseurop che traduce un articolo di Le Monde. La Moldavia ha avuto le sue elezioni politiche anticipate lo scorso 29 luglio. Il partito comunista, al potere dal 2001, ha perso la sua maggioranza e i quattro maggiori partiti di opposizione, dopo dieci giorni di intensi negoziati, hanno annunciato la volontà di formare una coalizione di governo, che potrebbe contare su una esile maggioranza di 53 seggi su 101. La coalizione non avrebbe comunque i tre quinti dell'assemblea, pari a 61 voti, che sono necessari per l'elezione di un nuovo presidente che sostituisca il comunista Vladimir Voronin, che dopo due mandati deve lasciare l'incarico. Questo lascierebbe la Moldavia in una situazione di stallo, con il concreto rischio di nuove elezioni.
Ecco perché, secondo il presidente romeno Basescu, due milioni di Moldavi vorrebbero la cittadinanza romena. In pratica la metà della popolazione.
Clima, la lettera di Greenpeace
Mentre noi Italiani ci appassioniamo alle gabbie salariali a Bonn è iniziata una nuova sessione di negoziati sul clima e Greenpeace lancia una campagna piuttosto aggressiva per riportare l'attenzione del governo italiano verso la COP 15 di Copenhagen.
Greenpeace invita a sottoscrivere una lettera in cui si invita il presidente del consiglio Berlusconi a partecipare alla conferenza di Copenhagen e ad essere in prima linea nella lotta ai cambiamenti climatici.
Greenpeace invita a sottoscrivere una lettera in cui si invita il presidente del consiglio Berlusconi a partecipare alla conferenza di Copenhagen e ad essere in prima linea nella lotta ai cambiamenti climatici.
Notizie estive e cellulari indigesti
Un pellicano del parco zoo di Tautphaus a Idaho Falls, USA ha ingoiato un telefonino di un visitatore che si era avvicinato troppo. Il pellicano fa parte di un gruppo e nessuno era in grado di distinguerlo dagli altri, così la direzione dello zoo era già pronta ad una ispezione ai raggi X per tutto il branco. Dopo un po' invece l'uccello ha rigurgitato il telefono, un Samsung che nessuno ha ancora reclamato (video).
sabato 8 agosto 2009
venerdì 7 agosto 2009
Sempre meno petrolio, e più caro
L'11 luglio 2008, poco più di un anno fa, il petrolio raggiunse il suo massimo a 147.27 dollari al barile. Il 21 dicembre dello stesso anno il petrolio costava 33.87 dollari. Oggi il petrolio vale 71.48 dollari, metà dell'anno scorso ma il doppio di sei mesi fa.
I meccanismi finanziari che governano queste incredibili oscillazioni sono complessi e a volte irrazionali e francamente non mi appassionano. Trovo invece molto interessante che Fatih Birol, responsabile economico dell'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA), dichiari in una intervista a The Independent che le proiezioni sulla disponibilità del greggio vanno riviste e che il picco di produzione è molto più vicino del previsto ed avverrà tra dieci anni, ovvero una decade prima di quanto stimato.
I dati riferiti da Birol sono stati desunti da una indagine che ha coinvolto 800 grandi siti petroliferi, che costituiscono i tre quarti della produzione attuale. Di questi molti hanno già superato il massimo di produzione e altri stanno riducendo le riserve ad una velocità doppia rispetto a quanto stimato solo due anni fa. La produzione dei giacimenti esistenti è in calo del 6.7%, contro il 3.7 che la stessa IEA aveva stimato nel 2007. Inoltre, osserva la IEA, i paesi produttori non investono abbastanza e questo porterà in pochi anni a una netta diminuzione della scoperta di nuovi giacimenti.
"Un giorno non avremo più petrolio" - dice Fatih Birol. Non è oggi e non sarà domani, ma un giorno il petrolio finirà e dobbiamo essere preparati per quel giorno".
Secondo John Kemp, editorialista di Reuters, l'allarmismo della IEA è parte del gioco, visto che l'agenzia è pagata dai paesi occidentali per essere la loro "coscienza". Kemp argomenta che il picco di produzione del petrolio è "la risposta giusta alla domanda sbagliata", perché al di là dei tradizionali giacimenti di greggio la tecnologia potrà estrarre carburanti da altre fonti, come le sabbie bituminose del Canada. Processi di estrazione però estremamente energivori, perché più bassa è la qualità del greggio più aumentano le emissioni di CO2 per raffinarlo. In pratica l'utile energetico si riduce e i costi aumentano, non solo quelli ambientali.
"L'età della pietra non è finita per mancanza di pietre. Allo stesso modo l'età del petrolio non finirà per la scarsità di petrolio" diceva il potentissimo sceicco Yamani, ministro saudita del petrolio e portavoce dell'OPEC.
Se l'economia trema, l'ecologia vede nell'aumento del prezzo del petrolio e nella sua progressiva riduzione la ritrovata competitività economica delle energie rinnovabili, che i governi meno lungimiranti, come quello italiano, avevano rapidamente accantonato nella breve stagione del greggio a 30 dollari al barile.
La COP 14 di Poznan, nel dicembre 2008, si svolse proprio nel periodo del minimo costo del petrolio. Arrivare a Copenhagen a dicembre con il greggio in ascesa potrebbe avere effetti decisivi sugli esiti dei negoziati globali sul clima.
I meccanismi finanziari che governano queste incredibili oscillazioni sono complessi e a volte irrazionali e francamente non mi appassionano. Trovo invece molto interessante che Fatih Birol, responsabile economico dell'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA), dichiari in una intervista a The Independent che le proiezioni sulla disponibilità del greggio vanno riviste e che il picco di produzione è molto più vicino del previsto ed avverrà tra dieci anni, ovvero una decade prima di quanto stimato.
I dati riferiti da Birol sono stati desunti da una indagine che ha coinvolto 800 grandi siti petroliferi, che costituiscono i tre quarti della produzione attuale. Di questi molti hanno già superato il massimo di produzione e altri stanno riducendo le riserve ad una velocità doppia rispetto a quanto stimato solo due anni fa. La produzione dei giacimenti esistenti è in calo del 6.7%, contro il 3.7 che la stessa IEA aveva stimato nel 2007. Inoltre, osserva la IEA, i paesi produttori non investono abbastanza e questo porterà in pochi anni a una netta diminuzione della scoperta di nuovi giacimenti.
"Un giorno non avremo più petrolio" - dice Fatih Birol. Non è oggi e non sarà domani, ma un giorno il petrolio finirà e dobbiamo essere preparati per quel giorno".
Secondo John Kemp, editorialista di Reuters, l'allarmismo della IEA è parte del gioco, visto che l'agenzia è pagata dai paesi occidentali per essere la loro "coscienza". Kemp argomenta che il picco di produzione del petrolio è "la risposta giusta alla domanda sbagliata", perché al di là dei tradizionali giacimenti di greggio la tecnologia potrà estrarre carburanti da altre fonti, come le sabbie bituminose del Canada. Processi di estrazione però estremamente energivori, perché più bassa è la qualità del greggio più aumentano le emissioni di CO2 per raffinarlo. In pratica l'utile energetico si riduce e i costi aumentano, non solo quelli ambientali.
"L'età della pietra non è finita per mancanza di pietre. Allo stesso modo l'età del petrolio non finirà per la scarsità di petrolio" diceva il potentissimo sceicco Yamani, ministro saudita del petrolio e portavoce dell'OPEC.
Se l'economia trema, l'ecologia vede nell'aumento del prezzo del petrolio e nella sua progressiva riduzione la ritrovata competitività economica delle energie rinnovabili, che i governi meno lungimiranti, come quello italiano, avevano rapidamente accantonato nella breve stagione del greggio a 30 dollari al barile.
La COP 14 di Poznan, nel dicembre 2008, si svolse proprio nel periodo del minimo costo del petrolio. Arrivare a Copenhagen a dicembre con il greggio in ascesa potrebbe avere effetti decisivi sugli esiti dei negoziati globali sul clima.
giovedì 6 agosto 2009
Pandemia, etica, profitto
L'influenza suina sta avviluppando il pianeta, come previsto. Non ci sono particolari allarmi, per ora. Gli occhi sono puntati sull'emisfero sud, dove adesso è inverno e l'influenza è al suo picco. In Argentina sono confermati 337 morti su 700.000 casi noti, una percentuale inferiore alla solita influenza stagionale. Pochi se ne rendono conto, ma le stime della WHO/OMS parlano di un numero di decessi tra 250.000 e 500.000 all'anno per l'influenza classica, che causa da tre a cinque milioni di casi gravi ogni inverno.
Per ora l'influenza suina non sembra un problema, anche se i media soffiano sul fuoco e aspettano la mutazione del virus, che sarebbe la notizia del secolo.
Sotto un altra prospettiva l'influenza suina è un grande affare. Prendiamo il punto di vista della Roche, che produce il Tamiflu (foto), farmaco finora in grado di contrastare il virus della H1N1. Il Tamiflu, per chi non lo ricordasse, era anche il rimedio della influenza aviaria, altro fantasma pandemico che guadagnò le prime pagine nel 2004/2005.
Presseurop, che Sostenibilitalia aveva segnalato tempo fa, rilancia un articolo di The Independent in cui si racconta l'opposizione della Roche, che ha brevettato il Tamiflu, alla possibilità di produrre dei farmaci generici con lo stesso principio destinati ai paesi in via di sviluppo. Il principio attivo del Tamiflu si chiama Oseltamivir e potrebbe essere riprodotto con costi irrisori per limitare la mortalità della influenza H1N1 nei paesi poveri.
La Roche non ha nessuna intenzione di cedere il brevetto, seguendo la linea dei produttori di farmaci retrovirali che impedirono al Sudafrica di limitare la mortalità dell'AIDS.
La morale è che il diavolo fa le pentole e le case farmaceutiche fanno i coperchi.
Per ora l'influenza suina non sembra un problema, anche se i media soffiano sul fuoco e aspettano la mutazione del virus, che sarebbe la notizia del secolo.
Sotto un altra prospettiva l'influenza suina è un grande affare. Prendiamo il punto di vista della Roche, che produce il Tamiflu (foto), farmaco finora in grado di contrastare il virus della H1N1. Il Tamiflu, per chi non lo ricordasse, era anche il rimedio della influenza aviaria, altro fantasma pandemico che guadagnò le prime pagine nel 2004/2005.
Presseurop, che Sostenibilitalia aveva segnalato tempo fa, rilancia un articolo di The Independent in cui si racconta l'opposizione della Roche, che ha brevettato il Tamiflu, alla possibilità di produrre dei farmaci generici con lo stesso principio destinati ai paesi in via di sviluppo. Il principio attivo del Tamiflu si chiama Oseltamivir e potrebbe essere riprodotto con costi irrisori per limitare la mortalità della influenza H1N1 nei paesi poveri.
La Roche non ha nessuna intenzione di cedere il brevetto, seguendo la linea dei produttori di farmaci retrovirali che impedirono al Sudafrica di limitare la mortalità dell'AIDS.
La morale è che il diavolo fa le pentole e le case farmaceutiche fanno i coperchi.
martedì 4 agosto 2009
L'Europa a due velocità
Il 23 luglio l'Islanda ha presentato formalmente la richiesta di ingresso nell'Unione Europea e due giorni dopo (!) i ministri degli esteri dei 27 paesi UE hanno dato il loro benestare. Adesso la parola passa alla Commissione Europea di Bruxelles, che dovrà valutare se Reykjavik soddisfa i requisti per l'ingresso, verdetto annunciato e previsto entro l'anno.
Tutta questa fretta verso l'isola peripolare non è particolarmente gradita alle nostre latitudini. La Turchia ha richiesto l'ingresso nella Ue nel 1999 e ha avuto accesso ai negoziati solo nel 2005. La Macedonia ha ricevuto lo status di paese candidato ma non ha ancora avviato i negoziati per il veto della Grecia, che pretende che cambi nome. La Croazia, da tempo in fase negoziale, subisce i veti della Slovenia per una vecchia questione di acque territoriali. La povera Albania ha richiesto formalmente l'ingresso nell'Unione lo scorso aprile, senza avere risposta.
Il processo negoziale per l'ingresso in Europa è farraginoso e irto di ostacoli. La Slovenia stoppa le ambizioni croate, ma anche Cipro ha bloccato otto capitoli per l'accesso della Turchia, che ne ha aperti solo undici sui 35 totali.
L'Islanda, che fa già parte del trattato di Schenghen e dell'EFTA, potrà partire con il vantaggio di 22 dei 35 capitoli già risolti. A Bruxelles in molti giurano che l'Islanda entrerà nell'Unione prima della Croazia.
L'Islanda, appena reduce da una crisi economica e finanziaria devastante, è indipendente dal 1944 dopo un lungo periodo di colonialismo danese. Fa parte della NATO, ma anche l'Albania è membro dell'alleanza. Il collasso finanziario ha dimezzato il valore della moneta nazionale, l'inflazione è salita al 12% e la borsa ha perso l'89%. Metà delle imprese del paese sono entrate in una condizione di insolvenza e tutto questo nel giro di pochi mesi. Prima della crisi gli Islandesi si opponevano fieramente all'ingresso in Europa. La scelta di formalizzare la candidatura è stata presa dopo un dibattito parlamentare durato una settimana, concluso con 33 favorevoli e 28 contrari.
L'ultima parola spetterà a un referendum popolare. Sul fronte dei negoziati il tema sensibile è quello dei diritti di pesca, settore economico fondamentale per l'Islanda, che ne fa una specie di orgoglio nazionale.
Tutta questa fretta verso l'isola peripolare non è particolarmente gradita alle nostre latitudini. La Turchia ha richiesto l'ingresso nella Ue nel 1999 e ha avuto accesso ai negoziati solo nel 2005. La Macedonia ha ricevuto lo status di paese candidato ma non ha ancora avviato i negoziati per il veto della Grecia, che pretende che cambi nome. La Croazia, da tempo in fase negoziale, subisce i veti della Slovenia per una vecchia questione di acque territoriali. La povera Albania ha richiesto formalmente l'ingresso nell'Unione lo scorso aprile, senza avere risposta.
Il processo negoziale per l'ingresso in Europa è farraginoso e irto di ostacoli. La Slovenia stoppa le ambizioni croate, ma anche Cipro ha bloccato otto capitoli per l'accesso della Turchia, che ne ha aperti solo undici sui 35 totali.
L'Islanda, che fa già parte del trattato di Schenghen e dell'EFTA, potrà partire con il vantaggio di 22 dei 35 capitoli già risolti. A Bruxelles in molti giurano che l'Islanda entrerà nell'Unione prima della Croazia.
L'Islanda, appena reduce da una crisi economica e finanziaria devastante, è indipendente dal 1944 dopo un lungo periodo di colonialismo danese. Fa parte della NATO, ma anche l'Albania è membro dell'alleanza. Il collasso finanziario ha dimezzato il valore della moneta nazionale, l'inflazione è salita al 12% e la borsa ha perso l'89%. Metà delle imprese del paese sono entrate in una condizione di insolvenza e tutto questo nel giro di pochi mesi. Prima della crisi gli Islandesi si opponevano fieramente all'ingresso in Europa. La scelta di formalizzare la candidatura è stata presa dopo un dibattito parlamentare durato una settimana, concluso con 33 favorevoli e 28 contrari.
L'ultima parola spetterà a un referendum popolare. Sul fronte dei negoziati il tema sensibile è quello dei diritti di pesca, settore economico fondamentale per l'Islanda, che ne fa una specie di orgoglio nazionale.
lunedì 3 agosto 2009
Niente festa, niente aragosta
Se volete risparmiare, a pranzo non mangiate hamburger, ma aragoste. L'invito viene da Fortune, che segnala come il prezzo al'ingrosso degli astici del Maine sia sceso al minimo storico di cinque dollari al Kg, meno di tre euro e mezzo.
Colpa della crisi economica e della scarsa vocazione festaiola che provoca. Le aragoste sono viste come un cibo da occasione speciale e di questi tempi le persone che hanno voglia di celebrare qualcosa sono poche.
Nei ristoranti americani la richiesta di aragosta è calata del 30-35% contro una diminuzione del 10-15% degli altri piatti di pesce. Un altro effetto collaterare - sempre secondo Fortune - è stato il collasso delle banche islandesi, che erano tradizionalmente i finanziatori dell'industria canadese di trasformazione dei crostacei. Le fabbriche canadesi acquistano la metà del pescato, lo trattano e surgelano per poi spedirlo in tutto il mondo.
La crisi delle aragoste preoccupa particolarmente il Maine, stato del New England considerato la capitale della pesca agli astici. Secondo il Portland Examiner i pescatori vendono astici al dettaglio direttamente dai loro camion a quattro dollari la libbra, ovvero solo sei Euro al Kg.
Tutto questo succede ad agosto, quando gli astici mutano il guscio e, secondo il Maine Lobster Council, sono più teneri e gustosi che mai.
Colpa della crisi economica e della scarsa vocazione festaiola che provoca. Le aragoste sono viste come un cibo da occasione speciale e di questi tempi le persone che hanno voglia di celebrare qualcosa sono poche.
Nei ristoranti americani la richiesta di aragosta è calata del 30-35% contro una diminuzione del 10-15% degli altri piatti di pesce. Un altro effetto collaterare - sempre secondo Fortune - è stato il collasso delle banche islandesi, che erano tradizionalmente i finanziatori dell'industria canadese di trasformazione dei crostacei. Le fabbriche canadesi acquistano la metà del pescato, lo trattano e surgelano per poi spedirlo in tutto il mondo.
La crisi delle aragoste preoccupa particolarmente il Maine, stato del New England considerato la capitale della pesca agli astici. Secondo il Portland Examiner i pescatori vendono astici al dettaglio direttamente dai loro camion a quattro dollari la libbra, ovvero solo sei Euro al Kg.
Tutto questo succede ad agosto, quando gli astici mutano il guscio e, secondo il Maine Lobster Council, sono più teneri e gustosi che mai.
Dov'è finità la netiquette?
Oggi sul sito Edilportale compare un articolo firmato da una certa Roberta Dragone che copia frasi intere del mio post Case galleggianti del 29 luglio, senza citare la fonte.
domenica 2 agosto 2009
sabato 1 agosto 2009
Sarebbe ora
Il primo ministro della Slovenia Borut Pahor ha dichiarato ieri che l'annosa disputa sulle acque terrritoriali che contrappone il suo paese alla Croazia potrebbe risolversi entro l'anno. L'annuncio è venuto dopo un incontro con il nuovo primo ministro croato Jadranka Kosor, insediatasi al posto di Ivo Sanader dimessosi un mese fa. "Abbiamo individuato un percorso che lascia intravedere una soluzione nell'interesse comune dei due paesi e dell'Unione Europea e che potrà perrmettere di proseguire nel processo di allargamento della UE nei Balcani" ha commentato la Kosor.
La lite tra i due paesi aveva provocato successivi veti sloveni alla chiusura di protocolli negoziali per l'ingresso della Croazia nell'Unione Europea. Attualmente la Slovenia ha bloccato 14 dei 35 negoziati di Zagabria con Bruxelles, l'ultimo quello sulla libera circolazione dei lavoratori lo scorso 24 luglio. L'atteggiamento ostativo della Slovenia sta suscitando crescenti malumori a Bruxelles, dove non si giudica positivamente il fatto che Lubjiana utilizzi l'arma del veto per legare l'ingresso della Croazia alle dispute di confine. Anche la presidenza di turno della Svezia ha ribadito che non intende proseguire nei negoziati fino a quando i due paesi non avranno trovato un accordo.
La roadmap croata punta a chiudere i negoziati entro quest anno, per poi entrare ufficialmente nella UE il 1 gennaio 2012. Se la Slovenia darà il suo via libera la scadenza sembra ancora possibile.
La lite tra i due paesi aveva provocato successivi veti sloveni alla chiusura di protocolli negoziali per l'ingresso della Croazia nell'Unione Europea. Attualmente la Slovenia ha bloccato 14 dei 35 negoziati di Zagabria con Bruxelles, l'ultimo quello sulla libera circolazione dei lavoratori lo scorso 24 luglio. L'atteggiamento ostativo della Slovenia sta suscitando crescenti malumori a Bruxelles, dove non si giudica positivamente il fatto che Lubjiana utilizzi l'arma del veto per legare l'ingresso della Croazia alle dispute di confine. Anche la presidenza di turno della Svezia ha ribadito che non intende proseguire nei negoziati fino a quando i due paesi non avranno trovato un accordo.
La roadmap croata punta a chiudere i negoziati entro quest anno, per poi entrare ufficialmente nella UE il 1 gennaio 2012. Se la Slovenia darà il suo via libera la scadenza sembra ancora possibile.
Un caricatore ibrido in tasca
La GWS Tech ha messo sul mercato Kinesis K3, un caricabatteria portatile ibrido, che funziona con un pannello solare e una piccola pala eolica. Il funzionamento del gadget è descritto in questo video.
Con Kinesis, che è dotato di una presa USB, si puà ricaricare qualunque telefono, iPod o macchina fotografica.
La brutta notizia è che in USA è in vendita a 99.95 dollari, più di 70 Euro, decisamente troppo.
Con Kinesis, che è dotato di una presa USB, si puà ricaricare qualunque telefono, iPod o macchina fotografica.
La brutta notizia è che in USA è in vendita a 99.95 dollari, più di 70 Euro, decisamente troppo.
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