martedì 7 aprile 2009

Resilienza

Il terremoto abruzzese lascia una scia di rabbia e dolore difficile da superare. Quanto accaduto riporta in primo piano la necessità di realizzare comunità resilienti in grado di resistere e reagire alle calamità naturali. La gestione dei disastri naturali (ovvero la protezione civile 2.0) sarebbe molto più semplice sul territorio di una comunità resiliente.
La resilienza rientra nella grande sfera della prevenzione, argomento cruciale ma poco gradito dai governanti perché prevenire costa caro e non produce risultati vistosi. I risultati - agghiaccianti come nel caso del terremoto d'Abruzzo - li produce piuttosto la mancata prevenzione. Ma davanti a catastrofi di questa dimensione le colpe sono di tutti, quindi di nessuno.
La resilienza ha varie accezioni. Essere resilienti in generale significa avere la capacità di reagire a situazioni impreviste, di resistere a crisi gravi, di tornare alle condizioni precedenti la calamità.
Tutti i programmi di ricostruzione, gli interventi di messa in sicurezza, i finanziamenti e le leggi che saranno dedicate al terremoto d'Abruzzo dovrebbero essere improntati su una logica di resilienza. Non si tratta solo di emanare regole e direttive tecniche per la ricostruzione. La resilienza di una comunità si misura con la sua capacità di coinvolgere i cittadini, nella partecipazione alle scelte, nel privilegiare la ricomposizione della ricchezza sociale e culturale precedente al disastro. Inutile ricostruire bene, se gli anziani del paese se ne sono andati altrove e le loro residenze diventano seconde case da villeggiatura.
Ai due leader decisionisti che non devono chiedere mai e tantomeno ascoltare, la coppia BeBé (Berlusconi-Bertolaso), l'Italia sostenibile chiede questo: resilienza.

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