Sabato scorso il presidente polacco Lech Kaczynski ha sottoscritto il trattato di Lisbona. Non è stata certo una decisione frettolosa, visto che il parlamento polacco aveva dato il suo via libera 557 giorni fa. Kaczynsky aveva annunciato che il suo si sarebbe dipeso dall'esito del referendum irlandese ed è stato di parola.
La sigla del trattato, alla presenza di Barroso e della presidenza di turno svedese, è stata condita da un fuori programma interessante, quando la prima penna usata da Kaczynski non voleva saperne di funzionare. La seconda però non offriva scuse.
Per ratificare il trattato di Lisbona manca un solo paese, la Cekia. Che il mondo chiama Repubblica Ceca per oscuri motivi, visto che non parliamo di Repubblica Slovacca o di Regno di Spagna.
A Praga c'è un bizzarro presidente della repubblica, Vaclav Klaus, che rifiuta di esporre la bandiera dell'Europa sulla sua residenza e nega l'esistenza dei cambiamenti climatici. Il semestre di presidenza ceca della prima metà del 2009 è stato uno dei più imbarazzanti della storia d'Europa, assieme a quello italiano del 2003.
Il parlamento ceco ha già approvato il trattato, ma serve la ratifica del presidente. Oggi Klaus sa di non avere più scuse, ma alza il prezzo e chiede modifiche dell'ultima ora al trattato. In una dichiarazione ufficiale il presidente ceco definisce il trattato "un passo nella direzione sbagliata" e lamenta le conseguenze giuridiche, particolarmente per le possibili rivendicazioni dei Cechi di origine tedesca espulsi dal paese dopo il 1945. Klaus la definisce "una minaccia ai diritti di proprietà".
La Francia e la Bulgaria hanno già chiarito che nessuna modifica o postilla al trattato di Lisbona è più ammissibile. L'Europa punta a una ratifica del trattato entro l'anno. Praga per ora non commenta.
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