Uno degli effetti collaterali del dopo Copenhagen potrebbe essere l'introduzione a larga scala di una Carbon Tax, ovvero della tassazione del CO2 risultante dalla produzione di energia.
Uno dei pochi punti fermi del Copenhagen Accord è quello finanziario, che prevede un intervento economico dei paesi occidentali per sostenere quelli in via di sviluppo. Inoltre entro la fine di questo mese i sottoscrittori dell'accordo (tutte le nazioni presenti alla COP-15 meno Venezuela, Bolivia, Cuba, Nicaragua, Costarica, Sudan e Tuvalu) dovranno indicare i loro limiti di emissione. Anche sotto questo profilo uno strumento come la Carbon Tax sembra il migliore incentivo per la riconversione civile e industriale.
Forse la pensa così anche Nicholas Sarkozy, che dopo la bocciatura costituzionale del suo progetto di Carbon Tax (17 Euro/t, originariamente previsto per l'inizio dell'anno) ha dichiarato oggi che un nuovo provvedimento entrerà in vigore tra sei mesi, il 1 luglio. Dallo scorso 10 dicembre una Carbon Tax di 15 Euro/t è stata introdotta in Irlanda per benzina e diesel e da maggio 2010 sarà estesa a gas e gasolio da riscaldamento. Altri modelli di Carbon Tax sono in vigore da tempo in Svezia, Norvegia e Finlandia che non a caso sono tra le nazioni europee all'avanguardia nelle politiche energetiche.
La Carbon Tax non è sostenuta dagli ecologisti barricaderi, ma da molti autorevoli esperti di finanza, a partire dalle firme dell'Economist. Secondo molti è decisamente più efficace dei "permessi di emissione" del Protocollo di Kyoto, che si sono rivelati uno strumento che limita l'innovazione e gli investimenti nelle nuove tecnologie.
Inutile dire che i permessi di emissione sono stati difesi a spada tratta dal governo Berlusconi, che ha puntato i piedi per permettere una proroga alla contabilizzazione del CO2 prodotto dal settore ceramico/laterizio.
Uno dei sostenitori della Carbon Tax è Dennis Snower, direttore dell'Istituto per l'Economia Mondiale dell'Università di Kiel. Snower parte dal presupposto che "le conseguenze delle emissioni di CO2 sono uguali su tutto il pianeta, indipendentemente da dove vengono prodotte" e quindi giudica la Carbon Tax equa e applicabile ovunque "sia nei paesi occidentali che in quelli in via di sviluppo e senza riferimenti alle emissioni prodotte in passato". Anche Richard Tol, economista ambientale e professore universitario a Dublino, sostiene la Carbon Tax e critica il sistema dei diritti di emissione, che secondo lui potrebbero funzionare se fossero messi all'asta e non ceduti gratuitamente come accade oggi in Italia e in larga parte dell'Europa.
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