Cosa ha da dire il ministero degli esteri italiano sulla ferocissima repressione che sta provocando un bagno di sangue in Libia? Niente. «Per quanto riguarda la Libia abbiamo ricevuto l’ordine di tenere un “silenzio stampa” fino a lunedì...» sembra abbia confidato un funzionario della Farnesina.
L'imbarazzante silenzio di Frattini non ha eguali negli altri paesi europei. Eppure lo scorso settembre il ministro non aveva esitato a lanciarsi in dichiarazioni entusiaste come "Gheddafi ci apre le porte di tutta l'Africa". L'8 gennaio a Che tempo che fa aveva detto che "Se la Libia non avesse una politica antiterrorismo di controllo forte come quella che ha, nell'area di Bengasi le cellule del terrorismo sarebbero tremendamente vicine a casa nostra" (secondo le ultime notizie a Bengasi nelle manifestazioni di ieri ci sarebbero stati almeno 250 morti).
Frattini adora il colonnello. Il 17 gennaio in una intervista al Corriere della Sera aveva definito Gheddafi "un modello di dialogo con le popolazioni di un Paese arabo". Nella stessa intervista il ministro Frattini-Zerbini indicava il dittatore libico come un innovatore della governance democratica: «Faccio l' esempio di Gheddafi. Ha realizzato una riforma che chiama dei "Congressi provinciali del popolo": distretto per distretto si riuniscono assemblee di tribù e potentati locali, discutono e avanzano richieste al governo e al leader. Cercando una via tra un sistema parlamentare, che non è quello che abbiamo in testa noi, e uno in cui lo sfogatoio della base popolare non esisteva, come in Tunisia. Ogni settimana Gheddafi va lì e ascolta. Per me sono segnali positivi».
Ma infatti.
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