Prima la Tunisia, poi l'Egitto, la
Libia e la Siria. La geopolitica mediterranea è cambiata più negli
ultimi dieci mesi che nei venti anni precedenti, con conseguenze e
opportunità di grande rilievo per l'Europa e soprattutto per i
grandi paesi meridionali dell'Unione: Francia, Italia e Spagna.
Invece ancora una volta il governo
italiano ha mostrato la sua inconsistenza in politica estera,
lasciando alla Francia il ruolo da protagonista.
L'importanza della questione
mediterranea era stata intuita da Nicholas Sarkozy fin dalla
campagna elettorale presidenziale, entrando tra le priorità del suo
programma. Così nel 2008, appena assunta la presidenza di turno
dell'Unione Europea, Sarko chiama a Parigi i 43 capi di stato dei
paesi UE, balcanici, nord africani e mediorentali per formalizzare la
creazione della Unione per il Mediterraneo. Alla convocazione
rispondono tutti i capi di stato, esclusi i re di Giordania e
Marocco.
L'Unione per il Mediterraneo è un
progetto ambizioso e soffre i problemi irrisolti della regione. In
primis la crisi permanente tra Israele e Palestina, ma anche le
tensioni tra Cipro e Turchia e le riserve della stessa Turchia, che
vede il processo come una alternativa al suo ingresso nella UE. Il
piano viene comunque approvato, anche se ridimensionato rispetto alle
ambizioni di Sarkozy. Da struttura autonoma si trasforma in uno
strumento del "processo di Barcellona", il trattato sulla
cooperazione Euro-Mediterranea sottoscritto nel 1995.
Il 13 luglio 2008 l'Unione per il
Mediterraneo si costituisce formalmente. Avrà due presidenti di
turno, uno UE e uno extra, e un segretariato permanente a Barcellona
presieduto da un rappresentante non europeo, coadiuvato da sei
vicesegretari. La Francia avrebbe voluto la sede a Marsiglia, ma
accetta la mediazione.
L'attività dell'Unione per il
Mediterraneo si concentra sui quattro temi del trattato di Barcellona
del 1995: politica e sicurezza, economia e commercio, attività
socio-culturali, giustizia e affari interni. Nel novembre 2008
l'Unione si riunisce a Marsiglia e decide sei iniziative concrete su
cui lavorare: disinquinamento del Mediterraneo, autostrade del mare e
di terra, protezione civile, energie alternative e piano solare
mediterraneo, educazione ricerca e università euromediterranea,
sviluppo dell'imprenditoria mediterranea. Programma interessante ed
ambizioso, ci sarebbe da lavorare per decenni. Qual è il ruolo
dell'Italia? Politicamente il nostro paese non dà alcun risalto
all'iniziativa e le cronache nazionali ne parlano pochissimo. Come
sede della istituzione città quali Napoli o Palermo avrebbero avuto
tutti i titoli per candidarsi, ma la proposta non viene neppure
avanzata. Siamo il secondo paese del bacino per dimensioni e PIL e ci
viene assegnato solo uno dei sei vicesegretariati, quello
all'economia (gli altri cinque vanno a Grecia, Israele, Turchia,
Malta e Autorità Palestinese).
Sono passati quasi tre anni e nelle
gerarchie diplomatiche poco è cambiato. Sarkozy ha annunciato la
convocazione di una conferenza internazionale sulla Libia il 1
settembre a Parigi "in pieno accordo con David Cameron",
senza citare l'Italia. Hanno confermato la presenza Clinton, Merkel e anche il premier italiano.
Berlusconi qualche giorno fa ha incontrato a sua volta
il leader dell'opposizione Libica Jibril, al quale ha promesso lo
scongelamento di parte dei fondi libici in Italia e la fornitura di
carburanti in cambio del rispetto degli accordi con ENI per lo
sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio. Scaroni, presente
all'incontro, ha commentato soddisfatto.
Mentre l'Italia naviga a vista e cerca
con affanno una continuità tra Gheddafi e il governo ribelle, la
soluzione politica e le nuove strategie per il Mediterraneo saranno
decise ancora una volta a Parigi. Del resto lo scorso 17 gennaio il
ministro degli esteri Frattini in una intervista al Corriere della
Sera aveva definito Gheddafi "un modello di dialogo con le
popolazioni di un Paese arabo". E il 21 febbraio da Bruxelles
dichiarava che "La sorte di Gheddafi non sarà decisa né
dall'Italia né dall'Europa. C'è pieno rispetto da parte italiana ed
europea per la ownership libica." Quando il 10 marzo la Francia
ha riconosciuto il governo ribelle di Bengasi Frattini ha detto: "Parlare di riconoscimento oggi è qualcosa di assolutamente
estemporaneo: sarà l'Europa a prendere la decisione politica, e
prima o poi avverrà".
La nostra attività diplomatica nella
crisi libica è stata sempre sostanzialmente difensiva e mai
propositiva. Abbiamo lamentato con la commissione europea il rischio
di una escalation dell'immigrazione clandestina, ricevendo da
Bruxelles risposte sdegnate per la reiterata assenza dell'Italia dai
tavoli comunitari sul tema. Adesso ci preoccupiamo per le commesse
firmate dal regime di Gheddafi con le aziende nazionali, promettendo
e barattando aiuti in cambio del loro rispetto.
Le scelte politiche ed economiche della
nuova Libia si prenderanno altrove, tra Parigi, Washington, Londra e
Berlino. Il nostro governo invece resterà alla storia per essere
stato l'ultimo a permettere al deposto dittatore di piantare tenda e
baracconi nel proprio territorio, in pieno centro di Roma. Al seguito
c'erano anche 30 cavalli arabi e lo stuolo di amazzoni adoranti, che oggi si dichiarano pentite e abusate.
Berlusconi ricevette Gheddafi con tutti gli onori, anzi qualcosa di più. Per ossequiarlo fu anche messo in scena il carosello dei carabinieri a cavallo: 130 cavalli, due squadroni e una fanfara. Sembra impossibile ma erano gli ultimi giorni di agosto 2010, giusto un anno fa. Quante cose succedono in un anno.
Berlusconi ricevette Gheddafi con tutti gli onori, anzi qualcosa di più. Per ossequiarlo fu anche messo in scena il carosello dei carabinieri a cavallo: 130 cavalli, due squadroni e una fanfara. Sembra impossibile ma erano gli ultimi giorni di agosto 2010, giusto un anno fa. Quante cose succedono in un anno.
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