venerdì 9 settembre 2011

Tutti cancellati, o ridotti. Gli altri

Sono a Valencia, in Spagna. Oggi la pagina 3 de La Vanguardia, il quotidiano di Barcellona, era quella che vedete nella foto qui sopra. Un articolo a piena pagina, che prosegue anche nella successiva, sull'eliminazione delle provincie prevista dal governo e confermata dal disegno di legge approvato ieri in consiglio dei ministri.
Il quotidiano catalano ricorda come le province esistano dalla nascita dello stato italiano, ovvero da 150 anni. Si sottolinea come il provvedimento sia motivato da "una evidente volontà di austerità nella gestione dello stato". In Spagna le province sono 50 e nessuno osa discuterne la valenza istituzionale.
E in Italia sono davvero così inutili le province? Di certo meno inutili delle prefetture, organi periferici dello stato dal sapore arcaico, dirette da funzionari statali che rappresentano al meglio una delle tante caste nazionali. Le prefetture, oltre a ricevere i fax del governo centrale, svolgono funzioni che potrebbero facilmente essere trasferite alle questure e ai comuni. I fax ormai sono roba da secolo scorso, facciamo in modo che Roma mandi e-mail direttamente a tutti i comuni.
Le competenze delle province sono molte, e il governo prevede che dovranno passare alle regioni. Un ritorno alle origini, perche molto del business provinciale deriva proprio da deleghe a suo tempo trasferite dagli enti regionali. Il ritorno di queste deleghe alle regioni in pratica sancisce la trasformazione delle province in strutture tecniche, gestite da funzionari regionali. Una sorta di prefetture al sedicesimo, teoricamente controllate e politicamente indirizzate da un assessore regionale delegato ("controllo e indirizzo" scriveva Bassanini). Quanto tempo dedicherà l'assessore competente alla gestione periferica del territorio? Il sindaco di un piccolo comune mi ha detto: "Ho già difficoltà oggi ad essere ascoltato dal presidente della provincia. Il presidente della regione quando mai troverà un momento per ricevermi?"
In Piemonte, ad esempio, i comuni sono 1.206. Anche riuscendo a mettere in pratica un progetto di accorpamento dei più piccoli, come si gestisce una realtà amministrativa così frammentata attraverso un solo riferimento regionale?
Eliminare le province, accorpare i piccoli comuni. Decimare le comunità montane e le circoscrizioni delle città, ridurre i consiglieri e gli assessori dei comuni maggiori. Queste le decisioni roboanti del "taglio dei costi della politica" del governo. Le regioni invece non sono minacciate da riduzioni, malgrado esempi di ipertrofia rappresentativa come la Sardegna: 80 consiglieri regionali e dodici assessori più il presidente (che evidentemente quando si siede al tavolo di giunta non è superstizioso).
Ma soprattutto il governo non tocca il parlamento. I progetti di ridurre - qualcuno diceva addirittura dimezzare - il numero degli eletti sono stati riposti. La questione dei privilegi, a partire dai vitalizi, rimandata. La riduzione di indennità per chi svolge una professione fortemente ridimensionata.
Allora sarebbe davvero utile che l'opposizione di centrosinistra offrisse un segnale, una scelta forte. Se il parlamento non si riduce, almeno si rinnovi profondamente. Se i privilegi e le laute indennità non possono essere scalfiti, almeno ne possano usufruire menti e corpi freschi, evitando la perpetuazione. Manteniamo con rigore il vincolo dei tre mandati, come prevede lo staturo del Partito Democratico. Con un bel gesto, che in questi tempi di rivolta antipolitica non passerebbe inosservato, rinunciamo alla percentuale di deroghe possibili. Portiamo in parlamento tante facce nuove che producano idee e progetti, che sappiano ascoltare e rappresentare, che pongano le basi per il futuro del paese. Se lo faranno, saremo tutti felici di pagarli quanto si meritano.

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