Sono a Valencia, in Spagna. Oggi la pagina 3 de La Vanguardia, il quotidiano di Barcellona, era quella che vedete nella foto qui sopra. Un articolo a piena pagina, che prosegue anche nella successiva, sull'eliminazione delle provincie prevista dal governo e confermata dal disegno di legge approvato ieri in consiglio dei ministri.
Il quotidiano catalano ricorda come le province esistano dalla
nascita dello stato italiano, ovvero da 150 anni. Si sottolinea come il
provvedimento sia motivato da "una evidente volontà di austerità nella
gestione dello stato". In Spagna le province sono 50 e nessuno osa
discuterne la valenza istituzionale.
E in Italia sono davvero così
inutili le province? Di certo meno inutili delle prefetture, organi
periferici dello stato dal sapore arcaico, dirette da funzionari
statali che rappresentano al meglio una delle tante caste nazionali. Le
prefetture, oltre a ricevere i fax del governo centrale, svolgono
funzioni che potrebbero facilmente essere trasferite alle questure e ai
comuni. I fax ormai sono roba da secolo scorso, facciamo in modo che
Roma mandi e-mail direttamente a tutti i comuni.
Le competenze
delle province sono molte, e il governo prevede che dovranno passare
alle regioni. Un ritorno alle origini, perche molto del business
provinciale deriva proprio da deleghe a suo tempo trasferite dagli enti
regionali. Il ritorno di queste deleghe alle regioni in pratica
sancisce la trasformazione delle province in strutture tecniche,
gestite da funzionari regionali. Una sorta di prefetture al sedicesimo,
teoricamente controllate e politicamente indirizzate da un assessore
regionale delegato ("controllo e indirizzo" scriveva Bassanini). Quanto
tempo dedicherà l'assessore competente alla gestione periferica del
territorio? Il sindaco di un piccolo comune mi ha detto: "Ho già
difficoltà oggi ad essere ascoltato dal presidente della provincia. Il
presidente della regione quando mai troverà un momento per ricevermi?"
In
Piemonte, ad esempio, i comuni sono 1.206. Anche riuscendo a mettere in
pratica un progetto di accorpamento dei più piccoli, come si gestisce
una realtà amministrativa così frammentata attraverso un solo
riferimento regionale?
Eliminare le province, accorpare i piccoli
comuni. Decimare le comunità montane e le circoscrizioni delle città,
ridurre i consiglieri e gli assessori dei comuni maggiori. Queste le
decisioni roboanti del "taglio dei costi della politica" del governo.
Le regioni invece non sono minacciate da riduzioni, malgrado esempi di
ipertrofia rappresentativa come la Sardegna: 80 consiglieri regionali e
dodici assessori più il presidente (che evidentemente quando si siede
al tavolo di giunta non è superstizioso).
Ma soprattutto il
governo non tocca il parlamento. I progetti di ridurre - qualcuno
diceva addirittura dimezzare - il numero degli eletti sono stati
riposti. La questione dei privilegi, a partire dai vitalizi, rimandata.
La riduzione di indennità per chi svolge una professione fortemente
ridimensionata.
Allora sarebbe davvero utile che l'opposizione di
centrosinistra offrisse un segnale, una scelta forte. Se il parlamento
non si riduce, almeno si rinnovi profondamente. Se i privilegi e le
laute indennità non possono essere scalfiti, almeno ne possano
usufruire menti e corpi freschi, evitando la perpetuazione. Manteniamo
con rigore il vincolo dei tre mandati, come prevede lo staturo del
Partito Democratico. Con un bel gesto, che in questi tempi di rivolta
antipolitica non passerebbe inosservato, rinunciamo alla percentuale di
deroghe possibili. Portiamo in parlamento tante facce nuove che
producano idee e progetti, che sappiano ascoltare e rappresentare, che
pongano le basi per il futuro del paese. Se lo faranno, saremo tutti
felici di pagarli quanto si meritano.
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