martedì 17 gennaio 2012

Lo Standard & Poor's che c'è in me

L'articolo di oggi di Massimo Gramellini si intitola La prevalenza dello Schettino ed è stato molto gradito dagli internauti, con oltre 2000 condivisioni su facebook e quasi 200 su twitter. A me Gramellini non piace troppo quando scivola sulla china del perbenismo populista, come mi sembra faccia oggi, ma probabilmente è un mio problema.
In ogni caso noi Italiani abbiamo già trovato l'antidoto a Schettino, mettendo subito la corona di alloro in testa all'eroico De Falco, comandante della capitaneria di Livorno.
Gramellini chiude il pezzo scrivendo: "Parafrasando Giorgio Gaber, non mi preoccupa lo Schettino in sé, mi preoccupa lo Schettino in me". Frase spesso riattualizzata, originariamente concepita da Gaber per Berlusconi.
Allora io vorrei lasciare Schettino nelle fiamme dell'inferno e occuparmi degli altri cattivi di questi giorni: le agenzie di rating, a partire da Standard and Poor's, colpevole di averci retrocesso in serie B (niente più derby con la Francia). Oggi il neoeletto presidente del parlamento europeo Martin Schultz ha pronunciato un ottimo discorso di insediamento, nel quale ha anche biasimato come soggetti economici privati quali le agenzie di rating abbiano ormai un potere superiore a quello dei governi sovrani. E non hanno obbligo di privilegiare l'interesse pubblico, aggiungo io.
Ma l'autorevolezza di queste aziende l'abbiamo consolidata anche noi. Se S&P, Moody's o Fitch dispensano downgrade agli Stati a titolo gratuito, si fanno invece pagare bene per certificare gli altri soggetti, a cominciare dagli enti locali e dalle società partecipate. Qualche anno fa, quando in Italia eravamo convinti di essere ricchi o perlomeno stabili, province e comuni non resistevano alla tentazione di sottopordi alla valutazione dell'auditor. A quei tempi le A fioccavano, come le fatture dei certificatori. Per citare qualche esempio la Provincia di Roma era in A+ con outlook stabile e la stessa valutazione era assegnata alla Provincia di Bologna.
Le relazioni venivano presentate con orgoglio dagli enti locali in conferenze stampa nelle quali i referenti italiani di S&P o Moody's illustravano con toni autorevoli un malloppo di tabelle e grafici in cui i profani si districavano a fatica. Eravamo tutti contenti, allora: il rating del comune, della provincia o della regione costava un po' caro ma era così gratificante. La favola è durata fino al 2009, più o meno. Non parliamo di secoli fa. Ecco perché io non mi preoccupo per lo Schettino che c'è in me, quanto per lo Standard & Poor's che c'è in me.

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