Facebook entra in borsa con una capitalizzazione record stimata attorno ai 75 miliardi di dollari. Ma il suo capitale siamo noi, gli 850 milioni di iscritti. Anzi, i nostri dati. Le tracce che ognuno di noi lascia nei social network vengono aggregate e creano un profilo, che non necessariamente corrisponde all'immagine di noi che vorremmo. Di questa immagine possono servirsi i nostri datori di lavoro, le banche, le compagnie di credito. In Europa la tutela dei dati è maggiore che negli Stati Uniti, ma ad esempio chi ha un account Gmail si trova sulla barra a destra delle inserzioni mirate, costruite sulle proprie preferenze e sulla localizzazione. Lo stesso accade su facebook. I dati aggregati sommano le informazioni dei nostri "mi piace", delle inserzioni che clicchiamo, delle parole che cerchiamo su Google e delle mille altre tracce che lasciamo nel web.
Dobbiamo preoccuparci? In qualche modo sì, anche se i nostri "dati aggregati" non sono altro che la somma di quello che facciamo in rete. Molte persone vivono internet come una zona franca, utilizzando nella comunicazione in rete modi e linguaggi più disinibiti della vita reale. Tutto questo resta nel web, registrato e archiviato. La prima regola quindi dovrebbe essere l'autocensura, la capacità di contenersi ed evitare l'ebbrezza da condivisione. Prima di postare, rileggere e contare fino a cinque.
Dobbiamo preoccuparci? In qualche modo sì, anche se i nostri "dati aggregati" non sono altro che la somma di quello che facciamo in rete. Molte persone vivono internet come una zona franca, utilizzando nella comunicazione in rete modi e linguaggi più disinibiti della vita reale. Tutto questo resta nel web, registrato e archiviato. La prima regola quindi dovrebbe essere l'autocensura, la capacità di contenersi ed evitare l'ebbrezza da condivisione. Prima di postare, rileggere e contare fino a cinque.
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