giovedì 4 dicembre 2014

Le coop, la corruzione e gli inviti a cena

La voragine politica aperta dopo le rivelazioni sulla corruzione e le infiltrazioni mafiose nell'amministrazione di Roma provoca reazioni giustamente centrate sullo sdegno e il disgusto. Il coro è unanime o quasi, questa volta minimizzare sarebbe davvero fuori luogo. Solo Alemanno ci prova. Renzi, come segretario del PD, commissaria il partito romano, dopo le dimissioni del segretario comunale.
Alcuni chiedono anche il commissariamento del Comune di Roma. Altri, come Gad Lerner, allargano la riflessione alla corruzione come sistema nel mondo delle coop, citando tra gli altri i casi recenti dell'Expo milanese e del Mose di Venezia. Argomenti importanti su cui è certamente utile aprire una discussione. L'unica cosa inutile è concentrarsi su una cena di quattro anni fa dove gli indagati della "cupola" romana sono a cena con il sindaco di Roma e il presidente delle cooperative. La pruderie è ovviamente amplificata dal fatto che oggi il presidente delle cooperative è ministro del lavoro. Ma Poletti ha ragione quando replica: «Sono stufo di essere tirato in ballo per quella foto del 2010. Come presidente della Lega coop partecipavo a migliaia di iniziative e non potevo conoscere tutti coloro che incontravo. E in ogni caso non c'è alcuna mia responsabilità (...) Se fai il presidente delle Coop o di Confindustria e della Confartigianato o di qualsiasi associazione di qualche rilievo, è ovvio che partecipi a tante iniziative e incontri tante persone». E stupisce davvero che oggi Roberto Saviano insista sul tema con un pezzo pubblicato su Repubblica dal titolo Ministro Poletti ci spieghi quella cena nel quale Saviano utilizza il classico principio: il presidente di Lega Coop "non poteva non sapere". Concetto spesso evocato anche in sede giudiziaria, basta pensare ai processi con Berlusconi imputato. Ma quanti sono quelli che "non potevano non sapere"? Tra i Romani, ad esempio. La "potenza" di Salvatore Buzzi e della cooperativa 29 giugno non era certo sconosciuta agli abitanti della città dove svolgeva gran parte dei suoi (mal)affari. Perché Poletti dovrebbe essere il capro espiatorio omissivo, a fronte della silenziosa indifferenza di tutta la classe politica capitolina, degli imprenditori locali, delle banche, dei vertici delle coop laziali, degli ambienti della stampa romana e di ampi settori delle stesse autorità investigative?




Nessun commento:

Posta un commento