lunedì 6 giugno 2016

E se le elezioni le avesse perse il M5S?

Il primo turno delle elezioni amministrative nelle grandi città d'Italia è andato esattamente come mi aspettavo. Più o meno, certo. Mi aspettavo che Raggi vincesse a Roma, anche se pensavo con qualche punto in meno. Ma anche a Giachetti davo qualche punto in meno. A Napoli era già tutto previsto, come cantava Riccardo Cocciante. A Milano il testa a testa tra i due manager non è certo una sorpresa e a Torino si sapeva che Chiara Appendino, largamente la più dotata dei candidati sindaci M5S, avrebbe disturbato i sonni di un Piero Fassino peraltro in ottima forma. Quanto a Bologna, Virginio Merola poteva fare meglio, ma tutti sapevano che comunque non avrebbe vinto al primo turno.
In realtà vincere al primo turno ormai è difficilissimo: la moltiplicazione dei candidati sindaci e delle liste porta a una frammentazione del voto sempre più estrema. E non è un caso che dove si è vinto al primo turno il M5S non aveva presentato liste (Rimini e Salerno) o ha avuto risultati imbarazzanti (il 9.2 a Cagliari e il 4.4 a Cosenza).
Come collocazione temporale questa consultazione era una specie di mid term election. E le elezioni di metà mandato, si sa, sono tradizionalmente negative per le forze di governo, come hanno confermato i recenti dati in Francia e Germania. In più gli scandali veri (Roma) e quelli presunti (trivellopoli) hanno aumentato il clima di ostilità verso le istituzioni, spianando la strada alle opposizioni e particolarmente ai populismi.
La moltitudine di liste civiche di supporto impedisce anche di fare confronti con le precedenti elezioni, con poche eccezioni. A Milano ad esempio il PD conferma il 29 per cento di cinque anni fa, mentre a Roma il 17.2 incassato dai Dem è francamente un miracolo, viste le premesse.
Un'altra certezza è che le "praterie" a sinistra del PD non esistono. Sempre a Milano nel 2011 Sel da sola prese il 4.7 e Rifondazione - PdCI il 3.1. Ieri la lista di Basilio Rizzo sostenuta dai dissidenti di Sel e da tutti i cespugli di sinistra, compresa Rifondazione, ha avuto un misero 3.5 per cento. A Roma Stefano Fassina non arriva al quattro e mezzo. A Torino Airaudo è fermo al 3.7.
I grillisti cantano vittoria e mediaticamente l'hanno ottenuta, perché il primato di Raggi ha avuto grande eco anche all'estero. Appendino fa meno notizia, eppure in termini di qualità politica Raggi le spiccia casa, come si dice a Roma. Ma la politica negli anni '10 è così, si sa.
Guardando i numeri veri però le cose per la Casaleggio Associati non sono andate affatto bene. Il Movimento ha perso molti punti percentuali quasi ovunque. A Napoli è passato dal 25.2 delle regionali di un anno fa al 9.6 di ieri, voti passati evidentemente all'altro leader populista De Magistris. A Bologna Massimo Bugani, coccolatissimo dallo staff e primo nemico di Pizzarotti, è rimasto appeso a un deludente 16.6 per cento. A parte Roma e Torino l'unico comune capoluogo dove i grillisti sono arrivati al ballottaggio - e per un solo punto - è Carbonia, un paesotto di 29mila abitanti.
Da parte sua il PD è al ballottaggio ovunque tranne Napoli e Isernia, oltre ad avere perso al primo turno a Cosenza e avere vinto a Cagliari, Rimini e Salerno. Naturalmente per Renzi non è un trionfo e lo ha detto lui stesso commentando il voto. Il PD sta vivendo una crisi palpabile, ma non un tracollo. La destra invece sembra sul baratro. La Lega resta una forza regionale (2.7% a Roma, con tutto quel fracasso e gli show nei campi Rom). Forza Italia è esanime e un progetto comune delle forze conservatrici sembra ormai impossibile, con l'eccezione di Milano dove Parisi abilmente ha tenuto bene a bada gli eccessi xenofobi. E Milano è uno dei pochi casi in cui Forza Italia resiste e incassa il doppio dei voti della Lega.
Il dato nazionale del M5S non è raffrontabile, perché in molte città i Casaleggios non hanno concesso il simbolo alle liste locali, in altre hanno scelto di autoescludersi. Ma, dove si presenta, il Movimento perde voti ovunque non solo rispetto al successo delle politiche del 2013, ma anche a confronto con il più modesto risultato delle europee 2014. Certo, Virginia Raggi si è guadagnata i titoli di oggi. Ancora una volta la comunicazione distorce la realtà, la notizia del giorno è Roma e tutto il resto passa in secondo piano. Ma nelle città e nei territori la rappresentanza grillista regredisce e resta forza di minoranza, quando c'è. Passata l'euforia per il trionfo della Raggi forse tra Milano e Genova lo staff dovrebbe fare una riflessione articolata.

1 commento:

  1. Non sono un amante dei numeri in Politica (anche se fanno la differenza) e di solito non mi cimento in analisi di voto, ma in questo caso non riesco ad esimermi nel notare che il confronto non può che essere fatto con le precedenti amministrative, perché è noto quanto il voto per il proprio municipio sia svincolato dalle questioni nazionali od europee e dipenda fortemente dall'idea che l'elettorato ha del governo del proprio cortile, dunque un voto molto più guidato da valutazioni pragmatiche che ideali. Per questo questi risultati vanno confrontati solo con le precedenti amministrative per cui, nonostante la palese e manifesta incompetenza di tanti suoi esponenti, il Movimento 5Stelle è indiscutibilmente cresciuto, riuscendo a conquistare una fiducia "di rimessa", cioè dovuta alla simmetrica perdita di fiducia delle forze tradizionali, a partire dal Partito Democratico, che prosegue nel calo generalizzato di voti (in termini assoluti prima che percentuali) già iniziato con il precedente Segretario. Insomma, è un sconfitta sonora per il PD, per non parlare dell'ectoplasma che è ormai FI, ridotto ormai ad una forza marginale. Ciò che è a sinistra del PD non ha, semplicemente, trovato un sua rappresentanza e non ha quindi votato, il che è peggio del non esistere e non garantisce neppure la commiserazione dovuta ai vinti.

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