Il IV governo Berlusconi tratta la lotta ai cambiamenti climatici come una vacanza alle Maldive: se ci sono i soldi si può fare, altrimenti meglio rinviare a data da destinarsi. Questa la posizione espressa nei giorni scorsi dai ministri Prestigiacomo, Ronchi e Frattini e ribadita ieri da Berlù in persona alla seduta del Consiglio Europeo dedicata all'argomento. "Le nostre imprese non sono assolutamente in grado di addossarsi i costi di una regolamentazione come quella che era stata ipotizzata l'anno passato" ha detto il nostro Presidente del consiglio, che dopo una telefonata con Marcegaglia ha aggiunto che il 'pacchetto clima' Ue costerà all'industria automobilistica italiana "dai 160 ai 180 miliardi di vecchie lire" (come tutti i vecchi, Berlù si ostina a ignorare l'Euro e fa i conti ancora in lire).
La posizione italiana ha trovato un alleato impresentabile nel presidente polacco Lech Kaczynski, mentre gli altri grandi paesi europei sostengono il "pacchetto clima" in pieno accordo con la Commissione di Bruxelles e il Parlamento Europeo. Gran Bretagna e Spagna non hanno dubbi, la Germania è meno convinta ma il provvedimento fu approvato lo scorso anno dalla presidenza di turno tedesca e la Francia vuole concludere il suo attuale semestre di presidenza con l'approvazione delle norme. Olanda, Scandinavia e anche la Grecia del commissario all'ambiente Dimas sono in sintonia.
Restano i paesi dell'est, la cui posizione però è molto diversa da quella del governo italiano. Mentre Berlù & Co. infatti mettono in discussione i famosi obiettivi del 20+20+20, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovakia e Ungheria chiedono che i target di riduzione non siano calcolati sulla base del 2005 ma sul 1990. Tutti i paesi dell'ex blocco sovietico infatti hanno ridotto le loro emissioni dal 1990 al 2005 (l'Ungheria del 30%, la Lituania quasi del 50%). Questi paesi rivendicano che la gran parte della riduzione delle emissioni nocive dell'Europa è stata ottenuta grazie a loro e chiedono che vengano riconosciuti "gli alti costi economici e sociali" che ne sono derivati.
Le minacce di veto di Italia e Polonia non hanno modificato la strategia dell'Europa e la nota ufficiale di stamane chiarisce che "il Consiglio Europeo conferma la sua determinazione nel voler tenere fede agli ambiziosi impegni presi in tema di clima e politiche energetiche". Ribadita anche la volontà di raggiungere un accordo definitivo in un vertice da convocare entro dicembre, quindi sotto la presidenza francese. Alle resistenze italiane e polacche viene assicurata "un’applicazione del pacchetto in un modo da tener rigorosamente conto del rapporto costi-benefici per tutti i settori dell’economia europea e per tutti gli Stati membri". Quest'ultima frase ha un senso diplomatico ma evidentemente molta poca sostanza.
La linea dell'Europa non cambia di una virgola, gli obiettivi sono confermati e la tempistica pure. Non mi stupirei se Berlù cercasse di far passare la decisione come una sua vittoria, rivendicando la frase di circostanza inserita per evitare polemiche in giornate così delicate. Vorrà dire che per una volta saremo d'accordo.
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