Negli ultimi cinquanta anni il consumo di carne è raddoppiato e le proiezioni dicono che raddoppierà di nuovo entro il 2050. Mucche, maiali e polli per ingrassare devono mangiare, e mangiano molto, considerando che per ogni chilo di carne servono almeno sette chili di mangime.
Jeremy Rifkin nei suoi discorsi ricorda spesso che sulla terra non ci sarebbe un'emergenza cibo se un terzo delle coltivazioni non fossero destinate a mangimi animali. Lo stesso vale per il pesce: secondo uno studio recente il 37% del pescato globale (31,5 milioni di tonnellate) finisce nei mangimi. Circa la metà è destinato al pesce d'allevamento il resto diviso tra suini e polli. Si tratta per lo più di pesci di scarsa qualità, sardine o piccole aringhe menhaden, ma di questi si nutrono i mammiferi e gli uccelli marini, oltre che naturalmente i pesci più grossi. Così polli e maiali - così come noi umani che li mangiamo - entrano in diretta competizione alimentare con capodogli, foche e cormorani.
Per ogni chilo di salmone di allevamento servono tre chili di pesce. Per non parlare del pesce destinato al cibo per cani e per gatti, un mercato in espansione esponenziale. In Australia i gatti mangiano 14 kg di pesce a testa l'anno, gli uomini solo 11.
Questa perversa catena non è sostenibile e rischia di provocare danni irreversibili all'ecosistema degli oceani. Sarebbe opportuno mangiare meno carne, ingrassare meno gli animali di allevamento e riconvertire buona parte della produzione agricola all'alimentazione umana. Ci guadagnerebbe anche la salute, con una sostanziale riduzione del rischio cardiaco.
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