mercoledì 5 maggio 2010

Il canto di Yvo

Si sono conclusi ieri a Petersberg, vicino Bonn, tre giorni di colloqui sul clima organizzati congiuntamente dalla Germania padrone di casa e dal Messico, che ospiterà a fine anno la COP 16.
A Petersberg erano presenti 43 delegazioni in rappresentanza di tutti i continenti e dei vari gruppi costituiti all'interno delle Nazioni Unite. Nella lista dei delegati c'èra anche Presty, la nostra ministra invisibile dell'ambiente. Presty era rientrata il 2 maggio da Shangai, dove aveva inaugurato a nome del governo il padiglione italiano all'Expo. Sul sito del ministero c'è un dettagliato resoconto del taglio del nastro in Cina ma nemmeno una riga sull'evento climatico tedesco. Non sono riuscito a trovare notizie di stampa che attestino la presenza della ministra invisibile a Petersburg. Il mio fondato sospetto è che alla fine abbia fatto un "no show", per dirla in gergo aeroportuale. Spero di essere smentito.
Comunque il mattatore di Petersburg è stato Yvo De Boer, che lascerà il 30 giugno la carica di segretario della UNFCCC e che in queste ultime apparizioni pubbliche si dimostra molto meno diplomatico che in passato. Nel suo lungo intervento (il testo integrale è qui) De Boer ha elencato molte delle ragioni per cui i negoziati sul clima non hanno trovato una conclusione a Copenhagen lo scorso dicembre. Ha citato il fatto che spesso i negoziatori esprimevano posizioni diverse da quelle dei loro governi e che l'impegno a livello ministeriale non può limitarsi ai soli giorni della COP, o magari a una porzione di questa. De Boer ha poi giudicato insufficienti gli impegni presi dai paesi industrializzati che hanno sottoscritto il Copenhagen Accord, lamentando anche la scarsa concretezza sul tema delle risorse finanziarie da destinare ai paesi poveri. Questo scenario avrebbe reso i paesi in via di sviluppo molto riluttanti e aumentato il loro scetticismo sul fatto che scegliere la green economy sia il modo migliore per garantire lo sviluppo delle loro nazioni.
De Boer ha anche detto che Copenhagen ha subito una "iperpoliticizzazione" e che sarebbe opportuno e probabilmente più produttivo mantenere un giusto bilanciamento tra ambiti politici e scientifici.

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