Il dopo elezioni regionali in Emilia e Calabria è solo analisi sull'astensione. Le vittorie molto nette di Bonaccini e Oliverio erano ampiamente previste e non fanno notizia. Colpisce invece il dato dei pochi votanti, in particolare in Emilia Romagna. Secondo molti commentatori la colpa di questa disaffezione andrebbe imputata al premier e segretario del PD. Più della metà degli elettori che lo hanno trionfalmente votato alle europee di sei mesi fa lo avrebbero ripudiato per motivi politici, ideologici, sindacali. Questa tesi piace al piccolo elettorato di sinistra diviso tra Vendola e Tsipras (7% in Emilia Romagna, 5.5% in Calabria). Piace alla destra, che vorrebbe vedere nella bassa affluenza l'inizio di una parabola discendente di Renzi. Piace alle minoranze PD, che già domenica a mezzogiorno avevano iniziato ad agitarsi.
Così, invece della solita, trita analisi del voto, tenterò un'analisi del non voto. Limitata all'Emilia Romagna, perché la Calabria fa da sempre storia a sé e perché il 61% del presidente Oliverio è spartito tra otto liste, molte non riconducibili ai partiti tradizionali. In Emilia Bonaccini ha vinto con il 49%, contro il 52% di Errani nel 2010. Rispetto alle Europee di sei mesi fa il PD scende dal 52.5 al 44.5 per cento. L'alta astensione trasforma questo risultato, seppure ancora molto alto in percentuale, in una voragine di voti in meno, poco meno di settecentomila. L'astensione colpisce tutti i partiti, che perdono molti consensi. L'unica in controtendenza è la Lega, che guadagna 115mila voti (ma i partiti con cui è coalizzata, FI e FdI, ne perdono rispettivamente 170 mila e 40mila). In termini percentuali, rispetto alle europee di maggio, il risultato peggiore è di Grillo con un terzo dei consensi in meno, dal 19.2 al 13.3 (ovviamente sul sacro blog il comico scrive che "l'astensionismo non ha colpito il M5S"). Il tracollo di Forza Italia, ridotta a quarto partito, dovrebbe dimostrare qualcosa a tutti coloro che accusavano Renzi di avere rinvigorito Berlusconi con il Patto del Nazareno.
Il dato fondamentale resta comunque l'astensione senza precedenti. Colpa di Renzi? La sentenza sembra piuttosto frettolosa, anche perché molti di coloro che oggi additano il premier come responsabile unico sono gli stessi che, ai tempi del trionfale 40.8% delle europee di maggio scorso, ripetevano che la vittoria era "merito di tutto il PD". Ma in Italia, come sappiamo, si vince tutti assieme e si perde sempre da soli. Perché per gente come Bersani o Civati avere vinto con una bassa affluenza sarebbe una sconfitta.
Il calo dei votanti è ormai costante dal secolo scorso e la tendenza certo non cambierà. Il tracollo improvviso dei votanti emiliani colpisce, ma conviene ricordare che la regione ha votato solo sei mesi fa per le europee e per le comunali in 255 comuni su 340, compresi cinque capoluoghi. Se si aggiungono le dimissioni del presidente Errani per le note questioni giudiziarie e la scarsa fiducia riposta nella istituzione regionale, il dato appare meno sorprendente. Anche un candidato "di filiera" come Bonaccini di certo non accende gli entusiasmi. Lo stesso Matteo Renzi, secondo quanto scrive Repubblica, si aspettava un'affluenza attorno al 40% (il dato finale è il 37.7%).
Le elezioni europee di maggio 2014 hanno registrato una affluenza alle urne del 42.5%, anche questo un minimo storico. I dati nazionali sono molto disomogenei, dal 90% di Belgio e Lussemburgo al 13% della Slovacchia. In democrazie "mature" come Gran Bretagna, Olanda, Francia e Germania l'affluenza è stata rispettivamente del 36, 37, 43 e 48 per cento. Lo scorso anno Bill De Blasio è stato eletto sindaco di New York con un affluenza alle urne del 24% gli aventi diritto, anche questo un record minimo.
In Italia la gente ad ogni scadenza elettorale vota sempre meno, come in Europa e negli USA. Le regionali della prossima primavera saranno un test probante per verificare se il crollo verticale dei votanti in Emilia sia un episodio isolato o un evento antesignano. Di certo attribuire a qualcuno la "colpa" di questo trend consolidato è davvero bizzarro. Anche perché l'astensione può essere letta al contrario come delega in bianco, come volontà di non cambiare lo status quo. Può essere anche sintomo di rassegnazione e mancata volontà di partecipare ai processi democratici, certo. Ma la "astensione di protesta" di centinaia di migliaia di persone è pura demagogia, e chi cerca di intestarsela è in malafede.
Così, invece della solita, trita analisi del voto, tenterò un'analisi del non voto. Limitata all'Emilia Romagna, perché la Calabria fa da sempre storia a sé e perché il 61% del presidente Oliverio è spartito tra otto liste, molte non riconducibili ai partiti tradizionali. In Emilia Bonaccini ha vinto con il 49%, contro il 52% di Errani nel 2010. Rispetto alle Europee di sei mesi fa il PD scende dal 52.5 al 44.5 per cento. L'alta astensione trasforma questo risultato, seppure ancora molto alto in percentuale, in una voragine di voti in meno, poco meno di settecentomila. L'astensione colpisce tutti i partiti, che perdono molti consensi. L'unica in controtendenza è la Lega, che guadagna 115mila voti (ma i partiti con cui è coalizzata, FI e FdI, ne perdono rispettivamente 170 mila e 40mila). In termini percentuali, rispetto alle europee di maggio, il risultato peggiore è di Grillo con un terzo dei consensi in meno, dal 19.2 al 13.3 (ovviamente sul sacro blog il comico scrive che "l'astensionismo non ha colpito il M5S"). Il tracollo di Forza Italia, ridotta a quarto partito, dovrebbe dimostrare qualcosa a tutti coloro che accusavano Renzi di avere rinvigorito Berlusconi con il Patto del Nazareno.
Il dato fondamentale resta comunque l'astensione senza precedenti. Colpa di Renzi? La sentenza sembra piuttosto frettolosa, anche perché molti di coloro che oggi additano il premier come responsabile unico sono gli stessi che, ai tempi del trionfale 40.8% delle europee di maggio scorso, ripetevano che la vittoria era "merito di tutto il PD". Ma in Italia, come sappiamo, si vince tutti assieme e si perde sempre da soli. Perché per gente come Bersani o Civati avere vinto con una bassa affluenza sarebbe una sconfitta.
Il calo dei votanti è ormai costante dal secolo scorso e la tendenza certo non cambierà. Il tracollo improvviso dei votanti emiliani colpisce, ma conviene ricordare che la regione ha votato solo sei mesi fa per le europee e per le comunali in 255 comuni su 340, compresi cinque capoluoghi. Se si aggiungono le dimissioni del presidente Errani per le note questioni giudiziarie e la scarsa fiducia riposta nella istituzione regionale, il dato appare meno sorprendente. Anche un candidato "di filiera" come Bonaccini di certo non accende gli entusiasmi. Lo stesso Matteo Renzi, secondo quanto scrive Repubblica, si aspettava un'affluenza attorno al 40% (il dato finale è il 37.7%).
Le elezioni europee di maggio 2014 hanno registrato una affluenza alle urne del 42.5%, anche questo un minimo storico. I dati nazionali sono molto disomogenei, dal 90% di Belgio e Lussemburgo al 13% della Slovacchia. In democrazie "mature" come Gran Bretagna, Olanda, Francia e Germania l'affluenza è stata rispettivamente del 36, 37, 43 e 48 per cento. Lo scorso anno Bill De Blasio è stato eletto sindaco di New York con un affluenza alle urne del 24% gli aventi diritto, anche questo un record minimo.
In Italia la gente ad ogni scadenza elettorale vota sempre meno, come in Europa e negli USA. Le regionali della prossima primavera saranno un test probante per verificare se il crollo verticale dei votanti in Emilia sia un episodio isolato o un evento antesignano. Di certo attribuire a qualcuno la "colpa" di questo trend consolidato è davvero bizzarro. Anche perché l'astensione può essere letta al contrario come delega in bianco, come volontà di non cambiare lo status quo. Può essere anche sintomo di rassegnazione e mancata volontà di partecipare ai processi democratici, certo. Ma la "astensione di protesta" di centinaia di migliaia di persone è pura demagogia, e chi cerca di intestarsela è in malafede.
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