Oggi se lo chiede anche Il Sole: che fine ha fatto il nucleare del governo Berlusconi, sbandierato come l'unica soluzione ai problemi energetici italiani?
Siamo ormai vicini alla metà del mandato di questo governo e sul fronte atomico non è stato ottenuto nessun risultato concreto.
Sul libretto di propaganda appena edito da Berlù c'è una pagina che celebra il "ritorno al nucleare", ma le ultime notizie risalgono a settimane fa e riguardano la possibile candidatura di Umberto Veronesi alla presidenza dell'agenzia dedicata. Niente altro, malgrado che la fiaccola atomica che Scajola ha dovuto mollare sia stata raccolta con entusiasmo dal ministro invisibile dell'ambiente Prestigiacomo, la quale però fa pellegrinaggi alle centrali atomiche francesi, partecipa ai convegni della lobby nucleare nazionale ma come al solito combina poco o niente (per una volta la cosa fa piacere).
Tutti i dubbi sul nucleare italiano restano, a cominciare dalla scelta dei luoghi dove costruire le centrali e l'impianto per lo stoccaggio delle scorie radioattive (non ci sono volontari, neanche tra le fedelissime amministrazioni leghiste). E i mesi passano. Così oggi il quotidiano di Confindustria lamenta come l'esecutivo sia "in ritardo sull'agenda nucleare". Perché una cosa va detta: le grandi maggioranze di cui dispone questo governo evaporano di fronte ai problemi e alle crisi politiche. I distinguo dei Finiani e i dubbi sulla nomina di Paolo Romani a ministro dello sviluppo economico perché troppo legato alla Fininvest hanno di fatto bloccato qualunque iniziativa. Meglio così.