La sbandierata abolizione di un certo numero di provincie diventerà probabilmemte l'esempio più calzante della inconsistenza della manovra economica del governo. La prima stesura, annunciata con grande rilievo mediatico, si basava sul criterio della popolazione, che doveva superare i trecentomila residenti, e cancellava 38 provincie compresa la provincia-regione di Aosta. La seconda versione, declinata a ferragosto dal ministro Calderoli, aggiungeva una variabile territoriale, che salverebbe quelle sopra i tremila Kmq tra le quali le province alpine di Sondrio e Belluno. Resterebbero 29 condannate, nove delle quali appena costituite.
Sempre Calderoli però ha tenuto a precisare che il conto della popolazione residente che farà fede è quello del prossimo censimento nazionale di novembre 2011, i cui "primi dati" secondo ISTAT non saranno disponibili prima della primavera 2012. Ma a primavera in alcune delle province a rischio si vota, come a La Spezia: seggi, collegi, liste e candidati dovranno essere stabiliti ben prima che l'ISTAT emetta il fatidico verdetto.
Resta poi il mistero sulle deleghe e i famosi "accorpamenti". La logica vorrebbe che due o più provincie adiacenti sottodimensionate siano accorpate per formarne una che soddisfi i parametri. Sarebbe il caso di Verbania-Vercelli-Biella, Savona-Imperia, Trieste-Gorizia, Fermo-Ascoli Piceno, Isernia-Campobasso, Enna-Caltanissetta. Le cose si complicano di più con provincie contigue di regioni diverse, come nel caso di La Spezia-Massa Carrara e Terni-Rieti.
Si tratta comunque di puri esercizi e di allarmi inutili. Il decreto legge predispone solo una delega al governo per procedere alla riduzione delle amministrazioni provinciali. Sarà il decreto delegato attuativo a decidere modalità e tempi. Intanto però sono già partiti i campanilismi, le lamentele, i benaltrismi di ogni tipo. Cito come esempio la nota di oggi di Fulvio Tocco, il presidente della provincia sarda del Medio Campidano che ha 102.000 abitanti, 28 comuni e due capoluoghi: Villacidro (14.000 abitanti) e Sanluri (9.000).
Prima di cancellare le provincie che non rispettano i criteri (ancora non ufficiali) il governo dovrà decidere come accorparle. Il personale dipendente vorrà sapere come e dove sarà rilocalizzato. Tutti gli appalti e i contratti in essere dovranno essere formalmente trasferiti ai nuovi enti di riferimento. E sarà necessario anche occuparsi del destino degli altri enti e agenzie territoriali di pari livello. Le prefetture restano? E se sì perché, visto che le loro competenze potrebbero facilmente essere distribuite tra questure e comuni? E le Camere di Commercio, le direzioni del lavoro, i PRA, i distaccamenti militari ecc.ecc.? Dato che ci siamo non sarebbe il caso di mettere mano anche alle circoscrizioni giudiziarie?
Tranquilli, siamo in Italia. Con un decreto delega promulgato adesso nessuna provincia sarà abolita prima delle elezioni provinciali della prossima primavera. Il governo istituirà delle commissioni per valutare il da farsi e procedere alla stesura del decreto delegato. Nel frattempo si avvicinerà la campagna elettorale per le politiche 2013, certo non la stagione opportuna per prendere decisioni impopolari.
Qualcuno poi ha già fatto notare come la Costituzione (art. 133) preveda che il mutamento delle circoscrizioni provinciali avvenga su iniziativa dei comuni e non dello stato. I ricorsi ai tribunali amministrativi e alla Consulta sono già annunciati. Li faranno le stesse provincie, ovvio. E saranno altri costi a carico dei cittadini.
Ricordate la pubblicità dei diamanti? Una provincia è per sempre.
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