Praticamente ignorati dai grandi media italiani, dopo due settimane di lavori si sono conclusi i negoziati di Bonn sul clima, che hanno visto 186 nazioni impegnate a tracciare le linee guida del nuovo protocollo globale che dovrà sostituire il trattato di Kyoto, in scadenza nel 2012.
La sessione è stata più tattica che sostanziale, con i vari paesi impegnati a difendere le proprie posizioni e accusare gli altri dei modesti progressi. Le schermaglie diplomatiche erano legate anche a una scadenza precisa: il 17 giugno. Le procedure della United Nations Framework Convention on Climate Change prevedono infatti che ogni proposta di modifica o emendamento debba essere presentato alle nazioni almeno sei mesi prima della data di approvazione del testo. Il nuovo protocollo sul clima dovrebbe essere - speriamo - approvato nell'ultima sessione della COP 15 di Copenhagen il 18 dicembre prossimo. L'ultimatum sta quindi per scadere ed ecco che la bozza di testo presentata a Bonn, inizialmente di 50 pagine, ora è diventata un corposo dossier di oltre duecento, infarcito di ripetizioni ed elementi contraddittori. Il tempo per eliminare il superfluo ci sarà, per ora tutti gli interessati hanno voluto aggiungere qualcosa di proprio.
Nella conferenza stampa conclusiva il segretario esecutivo dell'UNFCCC Yvo de Boer ha descritto la sessione come "un significativo passo avanti" (podcast).
Sotto il profilo tecnico la novità più importante è il (quasi) accordo per includere nel nuovo protocollo le azioni per ridurre le emissioni causate dalla deforestazione dei paesi in via di sviluppo (REDD), punto sul quale il Brasile e altri avevano molto insistito.
Non sono ancora chiarite le questioni che riguardano il ruolo delle città e degli enti locali e io non ho ancora letto la nuova maxi bozza di 200 pagine. Alcuni osservatori seguono con circospezione i contatti tra USA e Cina, temendo che le due potenze che da sole producono il 40% di emissioni di gas serra del pianeta possano trovare un accordo diretto che vincolerebbe qualunque iniziativa presa dalle Nazioni Unite.
I paesi in via di sviluppo chiedono a gran voce che l'occidente prima di pretendere da loro un impegno formale dia il buon esempio e riduca del 40% entro il 2020 le emissioni rispetto al 1990, quota indicata dagli scienziati dell'UNFCCC come livello minimo per mantenere il riscaldamento globale sotto i 2°. La Cina ha anche chiesto alle nazioni del G8 di destinare l'1% del PIL per aiutare i paesi più poveri nella lotta ai cambiamenti climatici. Non sara così. Il Giappone ha dichiarato di impegnarsi a ridurre le emissioni solo dell'8%, gli USA di Obama per ora si sono posti l'obiettivo di tornare entro il 2020 ai livelli del 1990. L'Europa ha programmato una riduzione del 20%, considerando la possibilità di aumentarla al 30% nel caso di un accordo globale.
Malgrado tutto Yvo de Boer non perde l'ottimismo e commenta: "E' rimasto poco tempo, ma c'è ancora tempo". Secondo il Financial Times da domani tutti aspetteranno le mosse della Cina.
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