Ieri a Cancun si è riunita la plenaria della Conference of the Parties e la discussione è subito partita su un binario di inattesa concretezza. Grenada, in rappresentanza della agguerrita associazione dei piccoli stati insulari (OASIS) ha chiesto che la discussione fosse centrata sulla definizione della struttura legale del nuovo accordo, chiedendo la costituzione di un gruppo di lavoro dedicato. Sorprendentemente nessuno dei 194 paesi presenti ha posto obiezioni, mentre proprio il tema della legal form era stato uno di quelli in cui più ci si era incartati lo scorso anno a Copenhagen. Il gruppo di lavoro dovrebbe definire: la struttura legale (o legislativa, se preferite) dell'accordo, le interconnessioni con gli altri strumenti legislativi esistenti e soprattutto una strategia per adottare un accordo legalmente vincolante alla COP 17 di Durban 2011.
Questa improvvisa virata verso la definizione pratica del nuovo strumento legislativo su cui basare il dopo Kyoto non è del tutto una sorpresa, perché si era già percepito che alcuni dei grandi paesi in via di sviluppo, che a Copenhagen si erano fortemente oposti ad obblighi vincolanti, sembrano ora disposti almeno a discuterne. Sto parlando di Cina, India e altri soggetti politici fondamentali per la definizione di un accordo globale. Insomma, potrebbe concretizzarsi il fatto che a Cancun, senza i grandi leader e i riflettori dei media mondiali, si possa riuscire ad essere più concreti e operativi.
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