Ieri pomeriggio la grande sala della plenaria era completamente esaurita per l'apertura della sessione di alto livello nella quale tradizionalmente, mentre i rappresentanti delle 194 nazioni presenti sfilano sul palco, nelle stanze i negoziatori tentano di ricucire le fila del negoziato, di eliminare le famigerate parentesi quadre e di arrivare entro venerdì, al massimo sabato, con un testo concordato da approvare nella plenaria conclusiva.
La disposizione era la solita: davanti le delegazioni nazionali, che hanno diritto a quattro posti, due al tavolo e due in seconda fila, che sono già quasi 800 sedie. Poi le agenzie ONU e le istituzioni internazionali come OCSE e Banca Mondiale, con un posto a testa. Dietro gli osservatori, con cento posti riservati alla società civile. Di questi cento nove destinati ai rappresentanti delle autorità locali, tra i quali il vostro cronista. Dietro ancora i delegati in esubero che non vogliono perdersi l'evento, i giornalisti e gli imboscati.
La cerimonia di oggi prevedeva tre discorsi di apertura, da parte rispettivamente di Christiana Figueres, segretario della UNFCCC, del segretario generale ONU Ban Ki-moon e del presidente messicano Felipe Calderon. Tutti e tre abbastanza ispirati, tutti e tre a sottolineare la necessità di raggiungere un accordo.
Ban Ki-moon, con la solita faccia dal perenne sorriso inespressivo, si è presentato vestito con una improbabile guayabera, la camicia tradizionale messicana. Una nota ufficiale dell'organizzazione della conferenza, diffusa pochi giorni prima dell'inizio, esentava i delegati maschi dalla formalità di giacca e cravatta e incoraggiava i partecipanti a indossare una guayabera. Devo dire che in giro ne vedo pochissime.
Tralasciando l'abbigliamento Ban ha detto che "non possiamo permettere che il perfetto si contrapponga al buono" che non è altro che una parafrasi del già citato mantra "se non siamo d'accordo su tutto non è detto che non si possa essere d'accordo su niente". Insomma, un accordo va ricercato a tutti i costi. Il segretario ONU ha concluso così: "Confido nella leadership, nella flessibilità e nel compromesso".
Christiana Figueres aveva toccato gli stessi temi. Rivolgendosi ai ministri aveva detto "Se la vostra posizione governativa si oppone ad un altra non chiedete un compromesso, pensate al bene comune e siate i primi a proporlo: Raggiungere un accordo a Cancun non garantirà tutti gli interessi nazionali a breve termine, ma non riuscire a siglarlo significherebbe mettere in pericolo il benessere a lungo termine di tutti noi."
Intanto nei corridoi si parla della nuova apertura cinese, ovvero della dichiarata disponibilità di Pechino a dotarsi di obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni. Ma si tratterebbe di decisioni unilaterali, perché la Cina non ha nessuna intenzione di modficare il protocollo di Kyoto, del quale non fa parte. Anzi, ribadisce che si porrà obiettivi di riduzione solo se il protocollo avrà un seguito così come è, lasciando fuori i paesi emergenti.
Molti avevano considerato estremamente positiva l'apertura cinese di lunedì, quando alcune agenzie avevano lanciato la dichiarazione di Pechino di accettare impegni vincolanti e verifiche sul processo di riduzione delle emissioni. Ieri è stato il viceministro degli esteri Liu Zhenmin a precisare la posizione cinese in una conferenza stampa, e per evitare di essere frainteso lo ha fatto parlando in inglese. "Stiamo discutendo di impegni volontari e autonomi. Volontari e autonomi significa non negoziabili" ha scandito Liu in riferimento a programmi cinesi di riduzione (o meglio, di rallentamento della crescita) delle emissioni.
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