Gelando le aspettative degli Egiziani e smentendo le indiscrezioni trapelate ieri Hosni Mubarak ha confermato di non avere alcuna intenzione di dimettersi, provocando sconcerto e proteste in tutto il mondo occidentale, Stati Uniti in testa.
Per alcuni però la permanenza del leader al potere potrebbe essere il modo migliore per non compromettere le possibilità di una nuova democrazia in Egitto.
Cerchiamo di capire perché, anche se occorre prenderla un po' larga. L'analisi parte dalla carestia in Cina, dove quest'anno è previsto un raccolto di cereali inferiore di 4 milioni di tonnellate rispetto al 2010. Anche i raccolti di Russia e Canada, altri grandi produttori, non sembrano promettenti. Le riserve globali di cereali dovrebbero calare del 15 percento entro giugno, con la conseguenza di un inevitabile aumento dei prezzi. I più colpiti dai rincari saranno i paesi poveri, dove potrebbero verificarsi proteste popolari. Le recenti manifestazioni di piazza in Tunisia e Algeria hanno avuto come scintilla proprio l'aumento del pane.
Tutto questo lo racconta Francesco Sisci in un articolo pubblicato ieri su Il Sole 24 Ore che sintetizza con efficacia il problema delle materie prime nell'economia globalizzata. Sisci conclude:
A giugno, se il governo al potere in Egitto, con o senza Mubarak, non troverà il modo di prevenire la prevedibile inflazione alimentare, potrebbe essere sbalzato di sella e si aprirebbe la strada a nuove rischiose evoluzioni politiche in tutta la regione. La prospettiva della carestia cinese dovrebbe quindi spingere a mantenere Mubarak al potere in Egitto fino a dopo l'estate, perché se un governo moderato fosse instaurato prima di allora, potrebbe comunque essere travolto da nuove proteste, forse spinte da forze musulmane più radicali.
Aggiornamento delle 17:00: Mubarak si è dimesso, never mind.
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