Dal 1 maggio la Cina ha imposto il divieto di fumo in molti spazi pubblici come bar, ristoranti, luoghi di spettacolo, stazioni e aeroporti. Finora l'unico divieto riguardava le fabbriche. Nella grande maggioranza dei luoghi di lavoro invece si potrà continuare a fumare.
La mossa è comunque importante per una nazione che con oltre 300 milioni di fumatori rappresenta il primo mercato globale del tabacco. La Cina produce un quarto del tabacco del mondo e si calcola che nel paese vengano accese tre milioni di sigarette al minuto. Esistono marche esclusive e molto costose come le Panda, mentre i pacchetti standard costano attorno a 1.50 Euro, una cifra comunque elevata per i salari cinesi.
I dati dell'OMS/WHO dicono che il 67% della popolazione maschile cinese fuma, mentre tra le donne la sigaretta è molto meno diffusa (4%). Il 68% dei medici e il 65% degli insegnanti fumano. Secondo uno studio delle autorità sanitarie nel 2005 1.2 milioni di Cinesi sono morti per cause legate al fumo e nel 2030 saranno 3.5 milioni.
Le restrizioni sono destinate ad avere un impatto fiscale, visto che le tasse sulle sigarette incidono per l'8-10% sulle entrate dello stato. Tuttavia, sempre secondo l'OMS, per ogni yuan di entrate fiscali dal tabacco se ne spendono 1.56 in spese sanitarie e sociali per malattie legate al fumo.
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