Il 3 giugno avra inizio a Boon la nuova sessione di negoziati globali sul clima, che durerà due settimane. Nel frattempo ha provocato stupore l'annuncio che in Cina la influente Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme abbia proposto un tetto massimo per le emissioni di CO2 del paese. Secondo il Guardian la Commissione indica "il 13° piano quinquennale" per l'attuazione, cioè il periodo 2016-2020 (link in cinese).
La proposta deve essere approvata dall'esecutivo politico cinese, ma la Commissione è l'organismo che pianifica la crescita socio economica e le sue indicazioni vengono normalmente seguite dai leader di Pechino.
La Cina ha già avviato unilateralmente un programma di "riduzione della intensità" delle emissioni di CO2. In pratica le emissioni devono essere ridotte progressivamente sulla base di un punto di PIL, fino al 45% entro il 2020. Il che però, con i dati di crescita della rampante economia cinese, non impedisce un loro aumento globale. La Cina produce oggi circa un quarto del CO2 del pianeta, anche se i livelli procapite sono un quarto rispetto a quelli degli Stati Uniti.
Se la proposta della commissione avrà la conferma politica di Pechino lo scenario mondiale dei negoziati sul clima potrebbe cambiare radicalmente. Fino ad oggi USA, Canada, Russia e altri avevano sempre messo all'indice la mancanza di limiti alle emissioni delle nuove potenze come Cina e India, giustificando con questo la loro posizione contraria al Protocollo di Kyoto e ad altri trattati che imponessero vincoli solo ai paesi occidentali. La roadmap approvata alla COP 17 di Durban nel 2011 (Durban Outcomes) prevede la ratifica di un nuovo accordo globale entro il 2015, tra poco più di due anni. La Francia ha da poco formalizzato la richiesta di ospitare a Parigi la COP 21 del 2015. Potrebbe essere la conferenza della svolta.
La proposta deve essere approvata dall'esecutivo politico cinese, ma la Commissione è l'organismo che pianifica la crescita socio economica e le sue indicazioni vengono normalmente seguite dai leader di Pechino.
La Cina ha già avviato unilateralmente un programma di "riduzione della intensità" delle emissioni di CO2. In pratica le emissioni devono essere ridotte progressivamente sulla base di un punto di PIL, fino al 45% entro il 2020. Il che però, con i dati di crescita della rampante economia cinese, non impedisce un loro aumento globale. La Cina produce oggi circa un quarto del CO2 del pianeta, anche se i livelli procapite sono un quarto rispetto a quelli degli Stati Uniti.
Se la proposta della commissione avrà la conferma politica di Pechino lo scenario mondiale dei negoziati sul clima potrebbe cambiare radicalmente. Fino ad oggi USA, Canada, Russia e altri avevano sempre messo all'indice la mancanza di limiti alle emissioni delle nuove potenze come Cina e India, giustificando con questo la loro posizione contraria al Protocollo di Kyoto e ad altri trattati che imponessero vincoli solo ai paesi occidentali. La roadmap approvata alla COP 17 di Durban nel 2011 (Durban Outcomes) prevede la ratifica di un nuovo accordo globale entro il 2015, tra poco più di due anni. La Francia ha da poco formalizzato la richiesta di ospitare a Parigi la COP 21 del 2015. Potrebbe essere la conferenza della svolta.
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