Lunedì 7 agosto io e il segretario
comunale del PD Stefano Perilli scriviamo un comunicato stampa in cui
lamentiamo la decisione di riprendere il carico e scarico di merci
metalliche (rottami ferrosi e alluminio) nelle banchine del porto
storico di Ancona, di fronte allo splendido Arco di Traiano. Nel
comunicato e nelle successive dichiarazioni alla stampa precisiamo
che non si mettono in discussione il traffico delle merci e i diritti
del concessionario, ma si critica la scelta di utilizzare quelle
specifiche banchine, da lungo tempo praticamente abbandonate.
Il molo Rizzo, quello di fronte alla
zona monumentale del porto di Ancona, è infatti sottoutilizzato da
anni. Spostare altrove i pochi traffici che vi si svolgono
permetterebbe di restituire all'uso urbano tutta la zona Nord, dalla
ex mensa del cantiere navale alla lanterna, passando per gli archi
Traiano e Clementino, il corridore sulle mura e il bastione
vanvitelliano della Lanterna. Uno spazio pregiatissimo e molto
importante, il cui riutilizzo potrebbe rappresentare il primo segnale
di trasformazione dell'area portuale, oggi mortificata da sbarramenti
in cemento e reti metalliche.
Le reazioni all'intervento di Perilli e
me erano prevedibili, e infatti arrivano puntuali. A parte i commenti
di matrice politica, le repliche negative sono tutte di persone con
interessi diretti: l'Autorità Portuale, i rappresentanti di
categoria degli agenti marittimi e dei trasportatori. Il segretario
dell'Autorità Portuale T.V. si fa fotografare sorridente di fronte a
dei pacchi di cartone così precisi e puliti che mancherebbe solo un
nastro rosso con il fiocco e poi potrebbero andare sotto l'albero di
Natale. Sarebbero le cosiddette bramme di alluminio. “Vi sembra
ferraglia questa?” dichiara.
Di fronte a questa propaganda io diffondo alla
stampa delle foto scattate a maggio, dove si vedono mucchi di
ferraglia accumulati sul molo e movimentati da ruspe e camion. I
camion passano a pochi metri dall'Arco di Traiano. L'impatto
paesaggistico e ambientale delle immagini è micidiale. A questo
punto risponde pubblicamente il concessionario delle banchine P.G., che precisa che la
ferraglia è composta da “panetti di nichel e non rottami ferrosi”
e che la movimentazione dei rottami comincerà solo a settembre.
Quindi io ho sbagliato: queste montagne di robaccia a cento metri dal
più importante arco di trionfo romano fuori di Roma non sono
rottami, i veri rottami ferrosi devono ancora arrivare. A posto, farò
altre foto. A me sembravano già mortificanti quei mucchi di metallo
grigio. Ad peiora paratus.
Ho ripetuto più volte che i diritti
del concessionario non sono mai stati in discussione, ma che si
chiedeva una decisione concertata e condivisa con l'amministrazione
comunale. Il piccatissimo concessionario P.G. dice invece ai giornali
che io “già nel 2000” avevo avuto da ridire sullo scarico di
tronchi sulla stessa banchina (e lo credo) e che questo avrebbe
provocato lo spostamento dei traffici di legname su altri porti. Mi scopro
improvvisamente potentissimo. Magari i tronchi davanti a Traiano
fossero spariti per merito mio. E comunque il messaggio è chiaro:
chi osa mettere il becco su quanto succede nel porto di Ancona è
marchiato a fuoco. Dopo 13 (tredici) anni al concessionario delle banchine P.G. il mio
intervento, svolto nell'anno 2000 in un consiglio comunale aperto sul tema del
porto, non è ancora andato giù.
L'intrusione sulle questioni portuali di soggetti
esterni, come chi scrive, ha provocato critiche
immediate, al solito. Chi governa e opera nel porto non ha mai
gradito interferenze, anche se con grande fatica il Comune di Ancona
riuscì a realizzare, primo in Italia, un Piano Urbanistico del Porto
condiviso con la Autorità Portuale. Piano ancora in attesa di attuazione.
Interessante invece che non ci siano state risposte nel merito.
Interessante invece che non ci siano state risposte nel merito.
La prima questione di merito è: queste
poche navi che dovranno attraccare nel porto monumentale non potrebbero
essere spostate altrove? Si parla di 3-4 navi al mese. Il porto di Ancona è piccolo, ma gli spazi
per movimentare centomila tonnellate l'anno, un'inezia in termini
logistici, secondo me ci sarebbero.
La seconda questione di merito è: in
termini di rapporto costi benefici, qual è l'incidenza economica di
queste centomila tonnellate di metallo più o meno rottamato sul
bilancio del porto? E quale potrebbe essere il valore aggiunto in
termini di posti di lavoro e di fatturato della restituzione di
quella porzione del porto storico alla città? Sotto questo profilo
ricordo che il famigerato rigassificatore API a Falconara (che fa
parte del porto di Ancona) aveva una previsione di occupazione di
8-10 persone, meno di uno stabilimento balneare.
Sulle questioni di merito appena citate
Autorità Portuale e operatori non hanno speso una parola. La
riflessione finale è che quella che era una sensazione sta
diventando una certezza: il porto di Ancona sta perdendo occasioni
importanti e si avvita in processi decisionali autoreferenziali e
conservatori, assolutamente impermeabili ai suggerimenti altrui e
alle necessità della città. Ogni osservazione, ogni proposta è
recepita con fastidio e sufficienza. Nel frattempo il porto perde da
anni merci e passeggeri, ma di riconversione non si parla. Si
continua a prendere quello che viene, senza una visione, senza
priorità o programmi. Di questi giorni la notizia che i fondi
europei per la piattaforma logistica sono andati perduti. La ormai vecchia "nuova
banchina lineare", appaltata dall'Autorità Portuale e prevista ultimata nel
2003, è ancora un'incompiuta. “Del resto per il waterfront non c'è
un progetto” ripetono i dirigenti dell'Autorità Portuale. Ma
infatti.
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