Qualche settimana fa Civati, presentando il suo micropartito personale, ha annunciato la promozione di otto referendum abrogativi, con l'obiettivo di raccogliere le firme entro il 30 settembre per potere, nel caso la Consulta ammettesse i quesiti, votare nella finestra elettorale della primavera del prossimo anno. I quesiti riguardano la legge elettorale, il jobs act, la legge sbloccaitalia e la riforma della scuola.
La campagna referendaria è iniziata in modo abbastanza fantozziano: i moduli distribuiti, molti già portati a vidimare nelle segreterie comunali, erano sbagliati. Sono stati ritirati e si è ricominciato da capo. Nella mia città ad esempio il comitato locale civatissimo annuncia stasera, 27 luglio, l'inizio della campagna. Per presentare in Cassazione le firme entro il 30 settembre i moduli vanno ritirati e collezionati nella sede centrale della campagna con qualche giorno di anticipo. Quindi il tempo di raccolta delle firme è ormai di due mesi, anche scarsi. Si può firmare presso le segreterie comunali, se i moduli sono stati depositati, oppure nei classici banchetti, dove però serve un pubblico ufficiale che faccia da vidimatore (un politico eletto o un notaio).
All'annuncio dei referendum molti dei potenziali alleati di Civati hanno preso subito le distanze dall'iniziativa. Da Sel a Landini, da Fassina alla Cgil (qui sopra la dichiarazione di Camusso a Il Manifesto, in una intervista di venerdì scorso). I sindacati della scuola hanno tutti o quasi criticato l'iniziativa. Si sono schierati pubblicamente con Civati solo Antonio Ingroia e il direttore de Il Fatto Marco Travaglio.
Come sanno bene i Radicali, che di referendum se ne intendono, per garantire mezzo milione di firme valide occorre depositarne almeno seicentomila. Visto che la campagna degli otto referendum di Civati deve ancora iniziare, questo significa almeno diecimila al giorno, domeniche e ferragosto compresi. Un obiettivo palesemente impraticabile. Resta misteriosa l'insistenza (dalle mie parti si chiama tigna) con la quale Pippo e il suo ristretto fan club, senza altri appoggi di rilievo, tenacemente intendono proseguire una iniziativa votata al martirio, con pochi banchetti piazzati in deserte piazze assolate, con le segreterie comunali in assetto balneare e la gente distratta e con la voglia di essere distratta, perché ad agosto in Italia la politica va in vacanza, e la gente cerca di dimenticare anche i problemi. Il martirio non riguarda solo i poveri volontari che si presteranno al sacrificio, ma anche la stessa immagine politica di Civati, che con questi referendum ha messo in moto la prima operazione "in proprio" da quando è uscito dal PD sbattendo la porta. E l'esito non aumenterà la sua credibilità.
Ma la tattica non sembra il lato forte di Pippo, che in questi giorni ha anche innescato una violenta polemica politica in Sardegna sul tema della riconferma di Zedda a sindaco di Cagliari. L'assioma civatissimo è: "Zedda è bravo, ma se lo sostiene il PD io non lo voto". Insomma, per Civati la discriminante non è la capacità del sindaco, ma la presenza del PD nella coalizione che lo sostiene. Risultato: Sel lo smentisce, la sinistra sarda si spacca. Insomma, sembrano proprio mancare i fondamentali.
più che altro sembra proprio mancare un minimo di buona fede: i radicali hanno dato una mano a preparare i quesiti, Sel si è detta favorevole ai referendum. La violenta polemica è venuta da una parte di Sel, evidentemente non molto convinta della linea scelta dal suo leader Vendola, che ha parlato di costruire un'alternativa al Pd. L'unica tigna è quella di provare a restituire la parola ai cittadini su leggi che riguardano la loro vita, il nostro Paese, la nostra democrazia
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