Yvo de Boer
è stato segretario generale della UNFCCC dal 2006 al 2010. Rassegnò le
dimissioni dopo il fallimento della COP 15 di Copenhagen e fu sostituito
dalla costaricana Christiana Figueres,
tuttora in carica. "Credo che l'elefante nella stanza siano ancora i
finanziamenti" ha confidato l'olandese dalle orecchie a sventola a
Reuters. Il futuro del clima del pianeta passa dai soldi, nel bene e nel
male. Nel bene, ad esempio, perché molte delle grandi multinazionali
hanno fiutato il business dell'economia verde investendo nelle energie
rinnovabili, nell'economia circolare e nella ricerca, superando di fatto
lo stallo della politica. Non lo fanno per motivi etici, ma per lucide
scelte di profitto. Lo stesso segretario delle Nazioni Unite Ban
Ki-moon, che non è noto per la sua lungimiranza, aveva anticipato al
Summit sullo Sviluppo Sostenibile di Rio De Janeiro del 2012 che non
sarebbero stati gli accordi diplomatici a salvare il pianeta, ma le
nuove prospettive della green economy. Prospettiva anticipata da tempo
da Jeremy Rifkin, che da anni fa il periplo del pianeta parlando di Terza Rivoluzione Industriale.
Gli accordi di Durban 2011 prevedono che i paesi meno sviluppati ricevano annualmente 100 miliardi di dollari a partire dal 2020. fondi destinati allo sviluppo di nuove tecnologie energetiche per il contenimento delle emissioni. Ma il Green Climate Fund delle Nazioni Unite, lo strumento principale per la raccolta e la devoluzione dei finanziamenti, è ancora fermo a soli 12 miliardi, quando al 2020 mancano solo quattro anni. I paesi occidentali, con gli USA in testa, vorrebbero che i contributi provenissero anche da paesi in via di sviluppo ormai diventati potenze mondiali, come la Cina.
Un problema ulteriore che pone il technology transfer nei paesi meno sviluppati è quello dei brevetti e della proprietà intellettuale. Molte nazioni, a cominciare dall'India, non intendono spendere denaro per l'acquisto dei brevetti e chiedono che le nuove tecnologie verdi siano considerate beni comuni e quindi esentate dal pagamento per il loro utilizzo.
Gli accordi di Durban 2011 prevedono che i paesi meno sviluppati ricevano annualmente 100 miliardi di dollari a partire dal 2020. fondi destinati allo sviluppo di nuove tecnologie energetiche per il contenimento delle emissioni. Ma il Green Climate Fund delle Nazioni Unite, lo strumento principale per la raccolta e la devoluzione dei finanziamenti, è ancora fermo a soli 12 miliardi, quando al 2020 mancano solo quattro anni. I paesi occidentali, con gli USA in testa, vorrebbero che i contributi provenissero anche da paesi in via di sviluppo ormai diventati potenze mondiali, come la Cina.
Un problema ulteriore che pone il technology transfer nei paesi meno sviluppati è quello dei brevetti e della proprietà intellettuale. Molte nazioni, a cominciare dall'India, non intendono spendere denaro per l'acquisto dei brevetti e chiedono che le nuove tecnologie verdi siano considerate beni comuni e quindi esentate dal pagamento per il loro utilizzo.
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