Quanti sono gli elettori del PD che domenica voteranno No al referendum? Non molti, probabilmente. Secondo un sondaggio di metà novembre il 67% degli elettori PD era per il Sì, il 16 per il No e il 17 per cento ancora indeciso. I sondaggi non pubblicabili degli ultimi giorni indicano che grande parte dell'elettorato indeciso sta virando verso il Sì.
La cosiddetta "minoranza" del PD, quella estromessa dalla cabina di regia del partito dopo l'avvento di Matteo Renzi, voterà No. Anzi, fa anche una vivace campagna elettorale per il No. Da Bersani a Speranza, da D'Alema a Zoggia, da Gotor a Zanonato. Il motivo dichiarato di questa scelta sarebbe il famigerato combinato disposto tra riforma costituzionale e nuova legge elettorale. Il motivo reale probabilmente è solo politico: continuare ad opporsi alla stagione di Renzi cercando di riconquistare spazi in vista del prossimo congresso del partito. Del resto per uno come Bersani, che la riforma alla Camera l'ha votata tre volte, l'unica giustificazione per dire che adesso non va più bene è quella di cercare improbabili combinazioni con l'Italicum (peraltro votato anche quello da Bersani e molti del fronte PD del No).
Per smontare l'obiezione del combinato disposto la Direzione Nazionale del PD ha insediato una commissione, con il mandato di proporre modifiche alla legge elettorale come richiesto dalla minoranza del partito, che nella commissione era rappresentata da Gianni Cuperlo. In tempi rapidi la Commissione ha prodotto una serie di proposte che Renzi e la maggioranza si sono impegnati a promuovere nel dibattito parlamentare dopo il referendum, fatto salvo che il PD da solo non ha i numeri per cambiare una legge, quindi servirà un accordo politico. La minoranza PD per il No ha rifiutato la mediazione, sostanzialmente delegittimando il povero Cuperlo. Bersani e i suoi fidi hanno definito l'accordo "una paginetta fumosa".
La conferma del fronte interno del No ha dimostrato come la minoranza PD non avesse alcuna intenzione di mediare e cercare un accordo, chiarendo che il voto è davvero solo politico. La conseguenza è stata che Gianni Cuperlo, che per la mediazione si era speso, ha deciso di schierarsi con il Sì, seppure distinguendosi politicamente. Le posizioni sempre più radicali e l'impegno diretto per il No di gente come D'Alema e Bersani hanno portato personaggi swinging del PD a scegliere il Sì, come ha fatto Fabrizio Barca. Da ultimo ieri è arrivato l'endorsement per i Sì da parte di Romano Prodi, il padre nobile del PD che la minoranza aveva spesso evocato come suo silenzioso mentore.
A parte i nomi di rilievo nazionale, conosco alcuni iscritti e simpatizzanti PD che voteranno No. Alcuni sono nell'orbita (anche professionale) della Cgil, altri hanno un gene antagonista che comunque impedisce loro di stare in maggioranza, altri ancora semplicemente detestano Renzi e l'attuale classe dirigente del PD e si augurano una loro débâcle. Nel merito della riforma in genere non hanno molto da dire, a parte i soliti slogan che sentiamo ripetere da mesi e che, sviscerati punto per punto, si smontano più facilmente delle astronavi Lego Star Wars di mio figlio.
Per un elettore del PD, ancora di più per un militante o un dirigente, votare No al referendum è un chiaro suicidio politico. Ecco perché non capisco come personaggi navigati come quelli citati sopra continuino con ostinazione a rifiutare la linea del PD e fare campagna contro. "Non lascio il No alla destra" ha detto ieri Bersani in uno dei suoi commenti lunari.
Se al referendum di domenica prevarrà il No la vittoria non sarà certo di D'Alema o Bersani, ma di Grillo, Salvini e Berlusconi. Questo lo sappiamo tutti. Sarà la vittoria delle opposizioni, contro Renzi, il governo e la maggioranza parlamentare a guida PD. Non basta: se vincerà il No per Renzi sarà una sonora batosta, ma i voti del Sì saranno tutti suoi e solo suoi. Neppure del PD, perché parte del partito gli ha fatto campagna contro. Quindi il segretario/presidente ne uscirà paradossalmente rafforzato, anche se perdente. Probabilmente si dimetterà da Palazzo Chigi, ma sarà sempre lui a dare le carte, nel PD e nel Paese. L'inevitabile redde rationem che seguirà renderà sempre più marginali e irrilevanti coloro che, dall'interno del partito, hanno lavorato per la sconfitta. Per dirla breve: Renzi resterà dov'è, chi ha votato No sarà davvero all'ultimo giro di giostra.
Ecco perché non riesco a capire il senso di questa storia, come direbbe Vasco. Anche considerando i rancori di D'Alema, il revanscismo di Bersani, non riesco a comprendere un comportamento politico che, comunque vada, danneggerà loro per primi. Oltre che tutto il PD, ovvio.
La cosiddetta "minoranza" del PD, quella estromessa dalla cabina di regia del partito dopo l'avvento di Matteo Renzi, voterà No. Anzi, fa anche una vivace campagna elettorale per il No. Da Bersani a Speranza, da D'Alema a Zoggia, da Gotor a Zanonato. Il motivo dichiarato di questa scelta sarebbe il famigerato combinato disposto tra riforma costituzionale e nuova legge elettorale. Il motivo reale probabilmente è solo politico: continuare ad opporsi alla stagione di Renzi cercando di riconquistare spazi in vista del prossimo congresso del partito. Del resto per uno come Bersani, che la riforma alla Camera l'ha votata tre volte, l'unica giustificazione per dire che adesso non va più bene è quella di cercare improbabili combinazioni con l'Italicum (peraltro votato anche quello da Bersani e molti del fronte PD del No).
Per smontare l'obiezione del combinato disposto la Direzione Nazionale del PD ha insediato una commissione, con il mandato di proporre modifiche alla legge elettorale come richiesto dalla minoranza del partito, che nella commissione era rappresentata da Gianni Cuperlo. In tempi rapidi la Commissione ha prodotto una serie di proposte che Renzi e la maggioranza si sono impegnati a promuovere nel dibattito parlamentare dopo il referendum, fatto salvo che il PD da solo non ha i numeri per cambiare una legge, quindi servirà un accordo politico. La minoranza PD per il No ha rifiutato la mediazione, sostanzialmente delegittimando il povero Cuperlo. Bersani e i suoi fidi hanno definito l'accordo "una paginetta fumosa".
La conferma del fronte interno del No ha dimostrato come la minoranza PD non avesse alcuna intenzione di mediare e cercare un accordo, chiarendo che il voto è davvero solo politico. La conseguenza è stata che Gianni Cuperlo, che per la mediazione si era speso, ha deciso di schierarsi con il Sì, seppure distinguendosi politicamente. Le posizioni sempre più radicali e l'impegno diretto per il No di gente come D'Alema e Bersani hanno portato personaggi swinging del PD a scegliere il Sì, come ha fatto Fabrizio Barca. Da ultimo ieri è arrivato l'endorsement per i Sì da parte di Romano Prodi, il padre nobile del PD che la minoranza aveva spesso evocato come suo silenzioso mentore.
A parte i nomi di rilievo nazionale, conosco alcuni iscritti e simpatizzanti PD che voteranno No. Alcuni sono nell'orbita (anche professionale) della Cgil, altri hanno un gene antagonista che comunque impedisce loro di stare in maggioranza, altri ancora semplicemente detestano Renzi e l'attuale classe dirigente del PD e si augurano una loro débâcle. Nel merito della riforma in genere non hanno molto da dire, a parte i soliti slogan che sentiamo ripetere da mesi e che, sviscerati punto per punto, si smontano più facilmente delle astronavi Lego Star Wars di mio figlio.
Per un elettore del PD, ancora di più per un militante o un dirigente, votare No al referendum è un chiaro suicidio politico. Ecco perché non capisco come personaggi navigati come quelli citati sopra continuino con ostinazione a rifiutare la linea del PD e fare campagna contro. "Non lascio il No alla destra" ha detto ieri Bersani in uno dei suoi commenti lunari.
Se al referendum di domenica prevarrà il No la vittoria non sarà certo di D'Alema o Bersani, ma di Grillo, Salvini e Berlusconi. Questo lo sappiamo tutti. Sarà la vittoria delle opposizioni, contro Renzi, il governo e la maggioranza parlamentare a guida PD. Non basta: se vincerà il No per Renzi sarà una sonora batosta, ma i voti del Sì saranno tutti suoi e solo suoi. Neppure del PD, perché parte del partito gli ha fatto campagna contro. Quindi il segretario/presidente ne uscirà paradossalmente rafforzato, anche se perdente. Probabilmente si dimetterà da Palazzo Chigi, ma sarà sempre lui a dare le carte, nel PD e nel Paese. L'inevitabile redde rationem che seguirà renderà sempre più marginali e irrilevanti coloro che, dall'interno del partito, hanno lavorato per la sconfitta. Per dirla breve: Renzi resterà dov'è, chi ha votato No sarà davvero all'ultimo giro di giostra.
Ecco perché non riesco a capire il senso di questa storia, come direbbe Vasco. Anche considerando i rancori di D'Alema, il revanscismo di Bersani, non riesco a comprendere un comportamento politico che, comunque vada, danneggerà loro per primi. Oltre che tutto il PD, ovvio.
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