Adolfo Guzzini rilancia le dichiarazioni del ministro Rutelli su "l'Italia dei geometri" in un recente intervento sul Corriere Adriatico. L'industriale di Recanati, fresco di laurea honoris causa in economia, parla come presidente nazionale Inarch, gloriosa istituzione che difende la qualità del progetto architettonico dal 1959.
Al di là di alcune considerazioni generali Guzzini ribadisce una richiesta condivisa da molti: la riforma del Codice degli Appalti. Questo impianto di norme deriva dalla cosiddetta Legge Merloni, varata dal ministro marchigiano negli anni post-tangentopoli. La Merloni, figlia dei tempi in cui fu scritta, era una legge fondamentalmente difensiva e poliziesca che anteponeva le esigenze di trasparenza e di buona gestione pubblica a ogni altro concetto. Introduceva il principio dei compensi extra per i tecnici dipendenti pubblici che fanno progetti, anche se in realtà sarebbe solo parte dei loro compiti. Istituiva il massimo ribasso come criterio guida di ogni affidamento, ignorando i criteri di qualità e la affidabilità delle imprese. Indicava la selezione dei progettisti esterni sull base dei curricula, escludendo di fatto i giovani da ogni incarico pubblico. Insomma la legge, perseguendo il lodevole scopo di prevenire le tentazioni tangentare, ha provocato disastrosi effetti collaterali.
Quindici anni dopo, i princìpi della legge Merloni sono ancora praticamente tutti saldamente incastonati nel Codice degli Appalti, che per giunta ha reso alcune procedure anche più complesse e bizantine. Gli ordini professionali e il mondo intellettuale criticano da tempo questo approccio, ma Antonio Di Pietro, ministro competente, non ha mai mostrato particolare sensibilità per i concetti di qualità e di cultura.
Le opere pubbliche di oggi sono i monumenti di domani. I nostri legislatori dovrebbero ricordarselo.
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