Alle 8:30 del mattino di sabato 15 la plenaria della conferenza di Bali riprende con la distribuzione di un documento licenziato alle due di notte da un gruppo di esausti negoziatori. Per tutta la giornata le posizioni non cambiano, malgrado gli appelli fatti nei loro interventi dal segretario ONU e dal presidente indonesiano, oltre alla crisi di nervi del direttore UNPCCC Yvo de Boer (per l'occasione con una vistosa fioratissima camicia batik) scoppiato in lacrime per le accuse del delegato cinese di negoziati pilotati.
Alle 16:30 Paula Dobrianski, capo della delegazione americana (a destra nella foto), dichiara che gli USA accettano il testo del documento finale. Grandi applausi in sala e molti a chiedersi se fosse stato proprio necessario arrivare a 22 ore dopo la fine prevista dei lavori per ottenere questo risultato. Il prezzo del "sì" americano è la mancanza nel documento finale degli indici numerici del 25-40% di riduzione delle emissioni entro il 2020, come avrebbe voluto l'Unione Europea.
Non è stato un vero e proprio colpo di scena, anche se la posizione USA era sembrata a lungo irremovibile. I dietrologi però avevano già fatto notare che il precipitoso ritorno a Bali del segretario generale ONU Ban Ki-moon significava che qualcosa di importante stava per accadere. Altrettanto influente la pressione esercitata sul governo americano dai sindaci e governatori (anche ieri Bloomberg ha ribadito che le città americane non sono in linea con Bush) e dalle imprese USA che fiutano grandi business nel mercato delle energie alternative. Senza dimenticare infine il grande rilievo mediatico del durissimo intervento fatto da Al Gore a Bali giovedì scorso.
Ma è bello invece pensare che la svolta sia dipesa dall'intervento "ruspante" del delegato di Papua New Guinea che, senza troppe formalità, ha invitato gli americani a "guidare, seguire o togliersi di mezzo". Ora la road map per i prossimi due anni è delineata e si concluderà con il nuovo protocollo da adottare alla COP 15 di Copenhagen 2009. Dovrà essere insediato un gruppo di lavoro ad hoc, da convocare non più tardi dell'aprile 2008.
Alle 18:27, esattamente un giorno oltre le previsioni, il ministro indonesiano all'ambiente e presidente dell'assemblea Witoelar ha dichiarato chiusi i lavori tra gli applausi generali.
Chi se ne va contento da Bali? Innanzitutto il presidente/musicista indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono (a destra nella foto sotto con il fiorato de Boer e Ban Ki-moon), perché la conferenza sarà ricordata come un passo fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici. Ma anche l'Italia e l'Unione Europea e le stesse Nazioni Unite, mentre resta interlocutoria la posizione di India e Cina che, anche se non ancora direttamente coinvolte nel processo di Kyoto, vedono però avvicinarsi il momento in cui dovranno prendere impegni seri.
L'unico vero sconfitto è il governo Bush, abbandonato nel finale anche da Canada e Giappone, oltre che dalla opinione pubblica americana.
I più tristi in assoluto invece sono i Polacchi: la road map biennale che si concluderà a Copenhagen svuota di gran parte del suo significato la COP 14 in programma a Pozdam nel dicembre 2008.
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