Oggi la Fondazione Giuseppe Saragat (sito web aggiornato - si fa per dire - a settembre 2007) e l'Associazione Nucleare Italiana (anche questo sito web è inchiodato a dicembre 2007) hanno organizzato a Roma a Palazzo San Macuto un seminario riservato ai parlamentari sullo stimolante tema “Il nucleare oggi in Italia”. L'argomento è di grande attualità, visti i proclami di Berlù e dei suoi ministri, Scajola e Brunetta in testa (a proposito: ciao Titti!).
A rafforzare il paradigma atomico contribuisce anche il Sole 24 Ore, che oggi intervista Francesco Troiani, coordinatore della ricerca nucleare dell'ENEA. Al foglio di Confindustria Troiani dice che "in dieci anni potremo avere le prime centrali", minimizza l'aumento esponenziale dei costi dell'uranio e contabilizza i costi di produzione dell'energia nucleare senza considerare le altissime spese per lo smaltimento delle scorie. Eppure Troiani è anche presidente di Nucleco, una società partecipata da Sogin ed ENEA che si occupa proprio della "gestione" delle scorie nucleari.
La passione di Confindustria per il revival nucleare resta misteriosa. La tecnologia di settore in Italia è quasi assente, quindi le ricadute produttive sarebbero minime. I tempi non permettono di sperare in un contributo atomico alla produzione energetica nazionale prima del 2020, neppure ad essere ottimisti come Troiani. Resta quindi un "frattempo" di molti anni in cui dovremo, secondo gli accordi sottoscritti in sede europea, ridurre le emissioni del 20%, aumentare l'efficienza energetica della stessa percentuale e portare la nostra quota di energia da fonti rinnovabili al 17%, contro l'attuale 5.2. Perché i nostri industriali non si buttano a capofitto in queste sfide, che rappresenano le grandi opportunità di sviluppo del prossimo decennio? In Germania, Spagna, Regno Unito e nel resto d'Europa il capitale privato sta scommettendo sulle fonti rinnovabili e sull'innovazione energetica. Gli imprenditori europei non lo fanno per la salvaguardia dell 'ambiente ma per banali questioni di profitto. Perché vedono in questo settore enormi possibilità di sviluppo. Dalle nostre parti gli "industriali", dalla presidenta Marcegaglia in giù, lamentano solo gli alti costi dell'energia, come ci si lamenta della siccità o dei contributi previdenziali. Il nostro declino comincia da qui, dalla incapacità della nostra classe imprenditoriale di cogliere le occasioni, di guardare un poco più lontano.
Intanto, guarda le coincidenze, in Francia si registra oggi il terzo incidente nucleare in due settimane, con un centinaio di operai "leggermente contaminati" dalla fuga di materiale radioattivo di una centrale. Niente di serio, ma l'emotività non si comanda. E sarà proprio la componente emotiva a decidere se il nucleare potrà tornare in Italia. A Trino Vercellese, Caorso e Montalto di Castro sono già cominciate le mobilitazioni, solo sulla base del sospetto che i siti delle vecchie centrali sarebbero i più semplici per ospitare le nuove. Il governo non ha anticipato nulla, ma la gente non è cretina e capisce che è più facile imbrattare dove è già sporco.
Francesco Troiani dice che per le prime centrali potrebbero bastare dieci anni se "saremo efficaci e veloci nel ricostruire il cosiddetto sistema paese e riacquistare il consenso della gente".
Dieci anni potrebbero bastare in Finlandia, forse. In Italia facciamo 25, e non se ne parla più.
Ma c'è quel "frattempo", di cui nessuno al governo parla. Ed è esattamente il periodo in cui tutto succederà. Poveri noi.
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