Oggi alle 15:30 l'Ucraina ha chiuso i rubinetti del suo gasdotto verso l'Ungheria. L'Ungheria importa l'80% del gas e ha un contratto di fornitura di 10 milioni di metri cubi al giorno verso la Serbia e la Bosnia. Le riserve ungheresi di gas ammontano a 3.6 miliardi di metri cubi ed equivalgono, al tasso di consumo attuale del paese, a 51 giorni di autonomia.
L'Ucraina ha tagliato le forniture di gas anche a Bulgaria, Grecia, Macedonia, Romania, Turchia e Croazia. Secondo gli Ucraini la colpa è della Russia, che rifiuta ogni addebito. La controversia economica tra Ucraina e Russia è nota, ma i fatti dicono che il monopolista russo Gazprom oggi ha trasferito in Ucraina, con destino Europa occidentale, solo 72 milioni di metri cubi di gas, contro i 260 di ieri e i 300 milioni di fornitura media abituale.
L'Austria ha dichiarato di ricevere solo il 10% della fornitura, che poi trasferisce ad altri paesi tra i quali l'Italia. L'Eni ha fatto sapere che la riduzione della fornitura russa (pari a circa un quinto del fabbisogno italiano) è stata pari a circa il 90%, confermando i dati austriaci. Il nostro ministro per le attività produttive Scajola ha detto oggi che "la situazione non presenta particolari preoccupazioni" grazie ai livelli di stoccaggio e a consumi relativamente bassi, che possono "assicurare riserve per alcune settimane".
Alcune settimane?
Situazioni come questa dovrebbero far riflettere Scajola e tutto il governo sulla necessità di una politica energetica nazionale in grado di non farci tenere il fiato sospeso per una lite economica tra Ucraina e Russia. La soluzione non viene certo dal nucleare, che anche per chi lo vuole non potrà essere operativo prima di quindici anni, con un calcolo ottimista.
La soluzione sono piccoli impianti locali, filiere corte, autonomia e riduzione dei consumi. Triste che su questo la presidenta di Confindustria Marcegaglia non abbia niente da dire. Deprimente che il governo non incoraggi le regioni e i territori a intraprendere percorsi innovativi.
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