La reale portata dell'investitura di Barack Obama come 44esimo presidente degli Stati Uniti d'America non è così semplice da capire da una prospettiva europea, ancora meno dal punto di vista italiano.
I commenti apparsi sulla stampa americana sono pervasi da una emotività che colpisce chi, come noi, assiste quasi impassibile da sempre all'alternarsi delle coalizioni di governo nazionale.
Le sensazioni vissute dai due milioni di persone presenti a Washington possono essere condensate in un articolo di Garrison Keillor, scrittore e opinionista, che racconta il suo viaggio verso Capitol Hill cominciato con un treno preso a Baltimora alle cinque di mattina, con le banchine dei binari già affollate di persone che, come lui, non volevano perdersi lo spettacolo.
Keillor ha condiviso il viaggio con un gruppo di donne nere partite dalla Virginia all'una di notte per essere sicure di prendere il treno. Quando il capotreno ha annunciato all'altoparlante "Union Station, Washington" una delle donne ha guardato le altre e si sono tutte messe a piangere.
La fila per i controlli di sicurezza, racconta Keillor, era lunga sei isolati. "Ma non c'è niente di più piacevole dello stare in fila in una folla di gente felice quando tu condividi i motivi della loro felicità".
Nel 1969 Howard N. Lee, un afroamericano, fu eletto sindaco di Chapel Hill, una città di 12.000 abitanti del Nord Carolina dove i neri erano il 10% della popolazione. Quaranta anni dopo un afroamericano, il cui secondo nome è Hussein, è eletto presidente degli Stati Uniti.
Le donne della Virginia e i quattro milioni di occhi che hanno visto Barack Hussein Obama entrare alla Casa Bianca hanno tutti i motivi di piangere di gioia. Noi non sapremo mai cosa voglia dire condividere una simile emozione.
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