Il 23 luglio l'Islanda ha presentato formalmente la richiesta di ingresso nell'Unione Europea e due giorni dopo (!) i ministri degli esteri dei 27 paesi UE hanno dato il loro benestare. Adesso la parola passa alla Commissione Europea di Bruxelles, che dovrà valutare se Reykjavik soddisfa i requisti per l'ingresso, verdetto annunciato e previsto entro l'anno.
Tutta questa fretta verso l'isola peripolare non è particolarmente gradita alle nostre latitudini. La Turchia ha richiesto l'ingresso nella Ue nel 1999 e ha avuto accesso ai negoziati solo nel 2005. La Macedonia ha ricevuto lo status di paese candidato ma non ha ancora avviato i negoziati per il veto della Grecia, che pretende che cambi nome. La Croazia, da tempo in fase negoziale, subisce i veti della Slovenia per una vecchia questione di acque territoriali. La povera Albania ha richiesto formalmente l'ingresso nell'Unione lo scorso aprile, senza avere risposta.
Il processo negoziale per l'ingresso in Europa è farraginoso e irto di ostacoli. La Slovenia stoppa le ambizioni croate, ma anche Cipro ha bloccato otto capitoli per l'accesso della Turchia, che ne ha aperti solo undici sui 35 totali.
L'Islanda, che fa già parte del trattato di Schenghen e dell'EFTA, potrà partire con il vantaggio di 22 dei 35 capitoli già risolti. A Bruxelles in molti giurano che l'Islanda entrerà nell'Unione prima della Croazia.
L'Islanda, appena reduce da una crisi economica e finanziaria devastante, è indipendente dal 1944 dopo un lungo periodo di colonialismo danese. Fa parte della NATO, ma anche l'Albania è membro dell'alleanza. Il collasso finanziario ha dimezzato il valore della moneta nazionale, l'inflazione è salita al 12% e la borsa ha perso l'89%. Metà delle imprese del paese sono entrate in una condizione di insolvenza e tutto questo nel giro di pochi mesi. Prima della crisi gli Islandesi si opponevano fieramente all'ingresso in Europa. La scelta di formalizzare la candidatura è stata presa dopo un dibattito parlamentare durato una settimana, concluso con 33 favorevoli e 28 contrari.
L'ultima parola spetterà a un referendum popolare. Sul fronte dei negoziati il tema sensibile è quello dei diritti di pesca, settore economico fondamentale per l'Islanda, che ne fa una specie di orgoglio nazionale.
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