giovedì 6 agosto 2009

Pandemia, etica, profitto

L'influenza suina sta avviluppando il pianeta, come previsto. Non ci sono particolari allarmi, per ora. Gli occhi sono puntati sull'emisfero sud, dove adesso è inverno e l'influenza è al suo picco. In Argentina sono confermati 337 morti su 700.000 casi noti, una percentuale inferiore alla solita influenza stagionale. Pochi se ne rendono conto, ma le stime della WHO/OMS parlano di un numero di decessi tra 250.000 e 500.000 all'anno per l'influenza classica, che causa da tre a cinque milioni di casi gravi ogni inverno.
Per ora l'influenza suina non sembra un problema, anche se i media soffiano sul fuoco e aspettano la mutazione del virus, che sarebbe la notizia del secolo.
Sotto un altra prospettiva l'influenza suina è un grande affare. Prendiamo il punto di vista della Roche, che produce il Tamiflu (foto), farmaco finora in grado di contrastare il virus della H1N1. Il Tamiflu, per chi non lo ricordasse, era anche il rimedio della influenza aviaria, altro fantasma pandemico che guadagnò le prime pagine nel 2004/2005.
Presseurop, che Sostenibilitalia aveva segnalato tempo fa, rilancia un articolo di The Independent in cui si racconta l'opposizione della Roche, che ha brevettato il Tamiflu, alla possibilità di produrre dei farmaci generici con lo stesso principio destinati ai paesi in via di sviluppo. Il principio attivo del Tamiflu si chiama Oseltamivir e potrebbe essere riprodotto con costi irrisori per limitare la mortalità della influenza H1N1 nei paesi poveri.
La Roche non ha nessuna intenzione di cedere il brevetto, seguendo la linea dei produttori di farmaci retrovirali che impedirono al Sudafrica di limitare la mortalità dell'AIDS.
La morale è che il diavolo fa le pentole e le case farmaceutiche fanno i coperchi.

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