L'annuncio del presidente francese Sarkozy di introdurre una carbon tax dal 2010 ha provocato la prevedibile opposizione della maggioranza del paese.
Di carbon tax si parla da sempre e secondo molti osservatori il tributo rappresenta l'unica vera arma per scoraggiare l'utilizzo di combustibili fossili e incentivate la diffusione delle fonti rinnovabili.
In pratica il contrario di quanto succede in Italia, dove il governo offre incentivi per la conversione di alcuni settori (edilizia, veicoli) ma non interferisce con lo stato di fatto, particolarmente nei distretti industriali. Al contrario, Berlusconi ha preteso dilazioni per il computo delle emissioni dei settori della ceramica, dei laterizi e del cemento, senza peraltro nemmeno tentare una politica di riconversione.
Una carbon tax, ovvero una tassa sulle emissioni prodotte, porta naturalmente alla scelta di energie rinnovabili. Gli incentivi mirati sulla riconversione di singoli settori o distretti non producono lo stesso effetto, perché non cambiano lo status di chi non è interessato a utilizzarli e preferisce mantenere lo status quo.
La carbon tax è senza dubbio impopolare e secondo i sondaggi due terzi dei Francesi non la vogliono. Ma è uno strumento che spinge verso l'innovazione e la ricerca di alternative. La carbon tax non ha un colore politico. La sostengono autorevoli voci della stampa conservatrice come l'Economist, la mette in pratica il governo di centro destra francese, con l'opposizione socialista contraria.
Sarkozy reclama anche una carbon tax europea, che fisserebbe dei limiti anche per i beni di importazione. Un modo per spingere anche i paesi emergenti, Cina e India in testa, a cambiamenti virtuosi.
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