Si è aperta ieri a Cochabamba, in Bolivia, la Conferenza Mondiale dei Popoli per il Cambiamento Climatico e i Diritti della Madre Terra. La Bolivia è una delle sette nazioni che non ha voluto sottoscrivere il Copenhagen Accord e che ora deve fare fronte alla proposta americana di escludere i dissidenti dagli aiuti internazionali. Per il paese sudamericano si tratta di due milioni e mezzo di dollari.
L'evento si concluderà simbolicamente giovedì 22, giornata mondiale della Terra, con il discorso conclusivo del presidente boliviano Evo Morales Ayma.
A Cochabamba secondo i resoconti di stampa sono presenti ventimila delegati di circa cento paesi, con dieci nazioni rappresentate dai capi di stato. L'evento boliviano è disponibile in diretta sul web su One Climate e sul sito ufficiale del convegno. C'è anche una pagina su facebook.
Nel merito dei contenuti sono in programma dibattiti su tutti i temi cruciali del dibattito globale sul clima, con una attenzione particolare alle popolazioni indigene, alle migrazioni e alla forestazione. Tra le proposte anche la creazione di un tribunale mondiale per la giustizia climatica.
Sotto il profilo politico questo è il summit dei paesi che non hanno accettato gli esiti di Copenhagen, di cui contestano le decisioni prese nelle riunioni riservate ai potenti del mondo. L'intransigenza di Bolivia, Venezuela, Cuba, Nicaragua, Guatemala, Sudan e Tuvalu nasce da posizioni rispettabili, ma ha ridotto al minimo gli esiti della COP-15 e riportato i negoziati sul clima nella assoluta incertezza.
La domanda che ci si pone è sempre la stessa: meglio un accordo di basso profilo o nessun accordo? Secondo gli organizzatori di questo summit meglio rovesciare il tavolo.
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