Vero, purtroppo
(...) Di Pietro e i suoi sodali si sentono accusare spesso di essere «la polizza vita» di Berlusconi. Ma è vero pure il reciproco. Berlusconi è la polizza dei Di Pietro. La loro è una politica a tariffa you and me: Silvio e Tonino, Grillo e Gasparri, Ghedini e Barbato, e via accoppiando. Negli anni questa compagnia ha progressivamente imposto la lotta con la clava a tutto il resto della compagnia. E, naturalmente, la colpa è in primo luogo di chi, nella politica come nel giornalismo, se l’è fatta imporre, senza mai trovare la formula giusta per non farsi stritolare da questa tenaglia e cercando quasi sempre di sfuggire con espedienti di giornata.
In questo senso la vicenda Mirafiori è esemplare. Il dramma di un partito con le dimensioni e le ambizioni del Partito democratico non è la presenza di posizioni diverse al proprio interno. Questo è fisiologico. Il dramma è scegliere di non scegliere. E sparire. Stretto tra il giubilo di un governo accondiscendente con la Fiat e gli strepiti anti-Marchionne, il Partito democratico ha creduto di poter mascherare le proprie divisioni interne posizionandosi su una arzigogolata mediana (bene l’investimento, male la parte sui diritti), dove gli aggettivi «accettabile» e «inaccettabile» ricorrono con pari frequenza e spesso sulle medesime bocche. Risultato: metà dell’opinione pubblica non ha capito bene quale sia la linea del Pd, l’altra metà ha capito che una linea non c’è. A contendersi la scena restano così solo i professionisti della più rozza propaganda: ministri che parlano della Fiom come delle Brigate rosse, Vendola che a Marchionne dà di schiavista, Di Pietro che gli dà di fascista. Se il Partito democratico ritiene che l’accordo lede «i diritti della democrazia» - come hanno sostenuto, non a torto, numerosi e autorevoli suoi esponenti - avrebbe dovuto dire no, senza per questo mischiarsi alle brutali campagne dei “clavisti”. Questa è la terra di mezzo possibile, non il «ma anche», il balbettio, lo zig zag. Perché quando si deplora la lotta con la clava, non è per suggerire compromessi al ribasso e indecisionismo. (...)
Dall'editoriale di Stefano Cappellini, che da oggi ha sostituito Antonio Polito come direttore de Il Riformista.
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