Estendere il protocollo di Kyoto, che scade alla fine del 2012, non rappresenta solo una necessità per la lotta ai cambiamenti climatici ma permette di mantenere in vita gli strumenti operativi del trattato globale sulle emissioni, compresi quelli finanziari. A causa della crisi economica in occidente i valori dei certificati di emissione sono calati del 41% nell'ultimo anno, ma il mercato del carbonio è ancora una fonte importante di risorse per i paesi in via di sviluppo attraverso il Clean Development Mechanism (CDM) o Meccanismo di Sviluppo Pulito. Ma il mercato dei certificati e il CDM sono funzionali al raggiungimento degli obiettivi del protocollo di Kyoto. Scaduto il trattato non avrebbero più senso di esistere, almeno secondo l'interpetazione della Cina. La pensa all'opposto Artur Runge-Metzer (al centro nella foto), capodelegazione dell'Unione Europea ai negoziati sul clima: "Il sistema del CDM si autofinanzia e non c'è motivo per cui debba concludersi con lo scadere del periodo di applicazione del protocollo di Kyoto".
Le regole del mercato del carbonio sono state adottate dall'Unione Europea e dalla Nuova Zelanda e nel 2010 sono stati emessi 13 milardi di Euro di certificati di riduzione delle emissioni, con cui le aziende occidentali bilanciano i loro sforamenti secondo il sistema del cap and trade. A beneficiarne è soprattutto la Cina, che ha generato il 57% dei crediti dal 2003 ad oggi. Quindi la Cina ha tutto l'interesse a mantenere in vita Kyoto, ma non intende assumere impegni per la riduzione delle proprie emissioni.
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