mercoledì 26 dicembre 2012

C'è chi scende e c'è chi sale


Chissà se l'idea e sua o di qualche spin doctor. Di certo il termine salire in politica utilizzato oggi da Mario Monti non mi sembra particolarmente evocativo, nè innovatore. Certo, l'immagine corrente di scendere in politica è un retaggio di terminologia bellicosa o perlomeno agonistica: si scende nell'arena, si combattono gli avversari, se va bene si vince. Altrimenti si ritorna da dove si è venuti.
Vocabolario obsoleto, according to M.M. Il premier ormai ex tecnico contrappone una visione "alta" e nobile secondo la quale in politica non si scende ma si sale. Monti lo ha detto con la soddisfazione di chi ha inventato chissà cosa, ma la novità lessicale a mio avviso è risibile e anche controproducente. Intanto perché qualcuno vorrà subito sapere attraverso quale strumento avviene l'elevazione. Nomina divina, plebiscito, acclamazione, promuoveatur ut moveatur? Si potrebbe poi obiettare che si è in grado di salire quando si è raggiunto un consenso indiscutibile. Non il caso di Monti, per ora. Qualcuno potrebbe anche evocare poco nobili riferimenti ferrotranvieri: salire sul tram, sul treno, insomma approfittare del passaggio.
L'altra affermazione incomprensibile di oggi è di P.L. Bersani, che dopo i cinguettii di M.M. replica immediatamente augurandosi che il premier sia "neutrale" o "al di sopra delle parti". Un ossimoro. Chi entra in politica (può farlo salendo o scendendo, poco cambia) diventa necessariamente uomo di parte. Anzi, di partito. Forse che dichiararsi centrista significa essere meno di parte? Naturalmente no.
Secondo me sia M.M. che P.L.B. hanno ancora sullo stomaco il pranzo di Natale.

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