Martedì scorso sono iniziati i negoziati ufficiali tra la Serbia e l'Unione Europea per l'ingresso di Belgrado nella UE. La delegazione Serba a Bruxelles era guidata dal primo ministro Ivica Dacic. La roadmap indicata da Belgrado vorrebe la conclusione dei 35 protocolli negoziali entro il 2018 e l'ingresso a pieno titolo della Serbia nell'Unione per il 2020, in tempo per essere inserita nel prossimo settennato economico europeo 2021-2027. Sei anni per molti osservatori non basteranno: la Croazia, entrata sei mesi fa come 28° stato membro, ne ha impiegati quasi dieci.
L'economia serba sta lentamente migliorando. Dopo anni di recessione per il 2014 è attesa una crescita sopra l'uno per cento. Il debito pubblico è al 60% del PIL, ma la disoccupazione supera il venti per cento, con il salario medio fermo a 400 Euro.
Sui negoziati pesa la questione del Kosovo, che nel 2008 ha dichiarato unilateralmente la sua indipendenza da Belgrado. La stessa Europa deve ancora risolvere il problema, visto che cinque paesi (Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna) non hanno riconosciuto il governo di Priština o Приштина, come si scrive appunto in serbo. Neppure la Bosnia-Herzegovina lo ha fatto, per l'opposizione della fazione serba. Ad oggi 107 paesi hanno riconosciuto il Kosovo (l'ultimo è stato Tonga, dieci giorni fa), dove vivono 120.000 serbi concentrati nel nord del paese e affatto integrati con la maggioranza di etnia albanese. Lo scorso aprile, dietro la spinta dell'Europa, un primo incontro tra Serbia e Kosovo ha portato a garanzie di maggiore autonomia per la minoranza serba in cambio del riconoscimento dell'autorità del governo kosovaro. Tra gli elementi negativi c'è poi da registrare la generica ostilità della maggior parte degli europei all'ulteriore allargamento dell'Unione (52% per cento contro e 37% a favore, secondo l'ultima rilevazione di Eurobarometer dello scorso autunno).
Con l'apertura ufficiale dei negoziati la Serbia precede la Macedonia, ancora bloccata dall'ostilità della Grecia, e segue il Montenegro, che ha avviato le trattative con la Commissione Europea nel 2012.
L'economia serba sta lentamente migliorando. Dopo anni di recessione per il 2014 è attesa una crescita sopra l'uno per cento. Il debito pubblico è al 60% del PIL, ma la disoccupazione supera il venti per cento, con il salario medio fermo a 400 Euro.
Sui negoziati pesa la questione del Kosovo, che nel 2008 ha dichiarato unilateralmente la sua indipendenza da Belgrado. La stessa Europa deve ancora risolvere il problema, visto che cinque paesi (Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna) non hanno riconosciuto il governo di Priština o Приштина, come si scrive appunto in serbo. Neppure la Bosnia-Herzegovina lo ha fatto, per l'opposizione della fazione serba. Ad oggi 107 paesi hanno riconosciuto il Kosovo (l'ultimo è stato Tonga, dieci giorni fa), dove vivono 120.000 serbi concentrati nel nord del paese e affatto integrati con la maggioranza di etnia albanese. Lo scorso aprile, dietro la spinta dell'Europa, un primo incontro tra Serbia e Kosovo ha portato a garanzie di maggiore autonomia per la minoranza serba in cambio del riconoscimento dell'autorità del governo kosovaro. Tra gli elementi negativi c'è poi da registrare la generica ostilità della maggior parte degli europei all'ulteriore allargamento dell'Unione (52% per cento contro e 37% a favore, secondo l'ultima rilevazione di Eurobarometer dello scorso autunno).
Con l'apertura ufficiale dei negoziati la Serbia precede la Macedonia, ancora bloccata dall'ostilità della Grecia, e segue il Montenegro, che ha avviato le trattative con la Commissione Europea nel 2012.
Nessun commento:
Posta un commento