Dopo avere abbandonato il PD Pippo Civati ha presentato otto quesiti referendari, tra i quali anche uno che riguarda la riforma della scuola, in particolare il potere di chiamata dei presidi. Nelle intenzioni di Civati la raccolta delle firme dovà concludersi entro il 30 settembre, ultima data utile perché i referendum, nel caso fossero dichiarati ammissibili dalla Consulta, possano essere indetti nella primavera del prossimo anno. Altrimenti tutto slitta al 2017, oppure oltre in caso di elezioni anticipate.
Per un referendum servono 500mila firme autenticate e, come sanno bene i professionisti del genere, ad esempio i radicali, ne vanno raccolte molte di più per avere la certezza che le molte annullate facciano scendere il totale sotto la fatidica soglia del mezzo milione. Si raccomanda almeno seicentomila, per essere proprio tranquilli meglio 700mila.
Le firme devono essere certificate da un eletto, tipo consigliere comunale. Oppure si può firmare nelle segreterie degli ottomila e passa comuni, dove i moduli vanno recapitati a cura degli organizzatori. Insomma, non è uno scherzo raccogliere seicentomila firme in 70 giorni. Se poi tra questi settanta giorni ci sono tutte le vacanze estive, ferragosto compreso, il compito sembra davvero improbo. Servono quasi diecimila firme al giorno, compresi i festivi. Lo scorso anno i quattro referendum contro austerità e fiscal compact promossi nei mesi estivi finirono in un flop, malgrado fossero sostenuti anche dalla Cgil che ha 5 milioni di iscritti (Possibile, il neo partitino di Civati, ne dichiara cinquemila).
I consiglieri eletti e i notai sui quale può contare una organizzazione esile e appena nata come quella di Civati sono davvero pochi. Per incamerare le firme servono altri soggetti più strutturati e con una presenza radicata nel territorio, come i sindacati, i grandi partiti le reti civiche. Ma il comitato nazionale Leadership alla scuola ha presentato un proprio quesito per un referendum contro la nuova legge, e non ha gradito l'iniziativa solitaria di Civati. Il Comitato accusa l'ex PD di avere "calato dall'alto" il quesito senza consultare a priori il mondo della scuola. I Comitati LiP riuniti a Roma il 12 luglio hanno scelto di mobilitarsi a settembre. Il Coordinamento Democrazia Costituzionale in merito alla riunione LiP scrive: "Sui referendum, in sostanza si è criticata l’accelerazione di Civati e anche la possibile strumentalizzazione di un referendum convocato per sostenere una eventuale presenza alle elezioni amministrative, e ovviamente l’impossibilità di raggiungere l’obiettivo entro il 30 settembre." Il comunicato ufficiale dell'assemblea Scuola del 12 luglio dice: "L'assemblea, quindi, si esprime negativamente sull'ipotesi di organizzare il referendum entro il 30 settembre, a scuole chiuse, con quesiti incompleti,con una tempistica ingestibile e con risultati incerti, se non ancora peggio dannosi, per il proseguimento della lotta comune".
Marina Boscaino su Micromega critica Civati senza mezzi termini. Anche Maurizio Landini, ai margini dell'assemblea nazionale FIOM, aveva detto di prendere in considerazione l'ipotesi referendum per scuola e Jobs Act ma "a partire dalle persone che lavorano nella scuola". A sua volta SEL ha preso le distanze da Civati, rimandando la scelta di cosa fare alla propria convention di ottobre.
Di fronte a questa levata di scudi Civati, che con questi referendum segna la prima iniziativa politica personale da quando è uscito dal PD, ha annunciato che non raccoglierà più le firme sul referendum sulla scuola affermando in modo abbastanza sibillino che i referendum "da otto sono diventati sette più uno". Certo che non contare sull'appeal della riforma della scuola riduce parecchio la platea dei potenziali firmatari degli altri sette quesiti. "Per ora sono solo. Ho parlato con Sel, con Maurizio Landini e con i sindacati ma per ora nessuna chiara risposta" ha confessato Civati in una intervista con Luca De Carolis ne Il Fatto di venerdì scorso.
Nel frattempo arrivano due endorsement convinti, anche se non esattamente di buon auspicio: Il Fatto ha sposato la causa dei referendum civatissimi con un editoriale del direttore Travaglio e Antonio Ingroia ha confermato che appoggerà i referendum con il suo movimento Azione Civile.
Per un referendum servono 500mila firme autenticate e, come sanno bene i professionisti del genere, ad esempio i radicali, ne vanno raccolte molte di più per avere la certezza che le molte annullate facciano scendere il totale sotto la fatidica soglia del mezzo milione. Si raccomanda almeno seicentomila, per essere proprio tranquilli meglio 700mila.
Le firme devono essere certificate da un eletto, tipo consigliere comunale. Oppure si può firmare nelle segreterie degli ottomila e passa comuni, dove i moduli vanno recapitati a cura degli organizzatori. Insomma, non è uno scherzo raccogliere seicentomila firme in 70 giorni. Se poi tra questi settanta giorni ci sono tutte le vacanze estive, ferragosto compreso, il compito sembra davvero improbo. Servono quasi diecimila firme al giorno, compresi i festivi. Lo scorso anno i quattro referendum contro austerità e fiscal compact promossi nei mesi estivi finirono in un flop, malgrado fossero sostenuti anche dalla Cgil che ha 5 milioni di iscritti (Possibile, il neo partitino di Civati, ne dichiara cinquemila).
I consiglieri eletti e i notai sui quale può contare una organizzazione esile e appena nata come quella di Civati sono davvero pochi. Per incamerare le firme servono altri soggetti più strutturati e con una presenza radicata nel territorio, come i sindacati, i grandi partiti le reti civiche. Ma il comitato nazionale Leadership alla scuola ha presentato un proprio quesito per un referendum contro la nuova legge, e non ha gradito l'iniziativa solitaria di Civati. Il Comitato accusa l'ex PD di avere "calato dall'alto" il quesito senza consultare a priori il mondo della scuola. I Comitati LiP riuniti a Roma il 12 luglio hanno scelto di mobilitarsi a settembre. Il Coordinamento Democrazia Costituzionale in merito alla riunione LiP scrive: "Sui referendum, in sostanza si è criticata l’accelerazione di Civati e anche la possibile strumentalizzazione di un referendum convocato per sostenere una eventuale presenza alle elezioni amministrative, e ovviamente l’impossibilità di raggiungere l’obiettivo entro il 30 settembre." Il comunicato ufficiale dell'assemblea Scuola del 12 luglio dice: "L'assemblea, quindi, si esprime negativamente sull'ipotesi di organizzare il referendum entro il 30 settembre, a scuole chiuse, con quesiti incompleti,con una tempistica ingestibile e con risultati incerti, se non ancora peggio dannosi, per il proseguimento della lotta comune".
Marina Boscaino su Micromega critica Civati senza mezzi termini. Anche Maurizio Landini, ai margini dell'assemblea nazionale FIOM, aveva detto di prendere in considerazione l'ipotesi referendum per scuola e Jobs Act ma "a partire dalle persone che lavorano nella scuola". A sua volta SEL ha preso le distanze da Civati, rimandando la scelta di cosa fare alla propria convention di ottobre.
Di fronte a questa levata di scudi Civati, che con questi referendum segna la prima iniziativa politica personale da quando è uscito dal PD, ha annunciato che non raccoglierà più le firme sul referendum sulla scuola affermando in modo abbastanza sibillino che i referendum "da otto sono diventati sette più uno". Certo che non contare sull'appeal della riforma della scuola riduce parecchio la platea dei potenziali firmatari degli altri sette quesiti. "Per ora sono solo. Ho parlato con Sel, con Maurizio Landini e con i sindacati ma per ora nessuna chiara risposta" ha confessato Civati in una intervista con Luca De Carolis ne Il Fatto di venerdì scorso.
Nel frattempo arrivano due endorsement convinti, anche se non esattamente di buon auspicio: Il Fatto ha sposato la causa dei referendum civatissimi con un editoriale del direttore Travaglio e Antonio Ingroia ha confermato che appoggerà i referendum con il suo movimento Azione Civile.
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