Sto tornando da Torino. Ero andato al Lingotto con aspettative abbastanza modeste, ma avevo deciso comunque di andare. Queste occasioni, male che vada, servono per rivedere un sacco di amici sparsi per l'Italia. Homecoming, come dicono in America.
Al termine dei tre giorni il mio giudizio personale è molto positivo. Il meeting del Lingotto è andato decisamente oltre le previsioni. Non solo in termini di partecipazione, comunque notevole, ma di contenuti politici. Le ripartenze non sono mai semplici e i rischi che si corrono sono molteplici: revanscismo, deja vu, arroccamento, anacronismo, negazione dell'evidenza.
Al Lingotto non è stato così. Al contrario, si è fatta molta chiarezza e si è consolidata una comunità politica che io, nativo del PD, non avevo mai visto così unita prima. Il "merito", probabilmente, va diviso tra la consapevolezza della sconfitta del 4 dicembre, la continuità politica del governo Gentiloni (che è segnale importante di solidità istituzionale) ma soprattutto l'isterico strappo dei pochi fuggitivi del gruppetto di Bersani e D'Alema.
Non è un caso che gli interventi politicamente più significativi siano venuti dai tanti rappresentanti della filiera nata nel PCI e passata da PDS e DS. Da Chiamparino a Minniti, da Berlinguer a Fassino. Oltre ai contributi importanti dei più giovani, come Maurizio Martina e Sandro Gozi. I "senatori" della discendenza DS hanno dimostrato come il Partito Democratico non sia più una fusione a freddo, come qualcuno l'aveva definita, ma una comunità politica con senso di appartenenza, rispetto delle regole e condivisione di gioie e di dolori. "Andarsene adesso sarebbe da vigliacchi" ha detto Chiamparino. "Basta con la sindrome di Crono, che mangiava i suoi figli, abbiamo bisogno di una leadership forte", ha chiosato Minniti.
Il PD esce dal Lingotto molto rafforzato. Vale non solo per chi sostiene Renzi, ma per tutto il partito. Paradossalmente, i fuggitivi sono stati la medicina che ha guarito il PD dal morbo delle divisioni interne e ha finalmente permesso di realizzare quella trasversalità vista e ascoltata al Lingotto per Renzi, ma avvertibile anche tra i sostenitori di Orlando, tra i quali non mancano quelli di area popolare. Sulla mozione Emiliano taccio. Basta il nome: Resistenza.
Matteo Renzi dovrà fare tesoro di questa ritrovata unità, particolarmente in un momento politico così delicato. Non sembra avere avvertito compiutamente la necessità di un cambio di passo. Malgrado l'evidente volontà di "collettivizzare" la direzione politica, anche nel suo intervento di chiusura di oggi è stato troppo divisivo, troppo indulgente alla tentazione di dire l'ultima parola. E poi basta elenchi di cose fatte, prepariamo piuttosto elenchi di cose da fare.
Tuttavia, per tornare in loop alle prime righe di questo post, tutto mi è sembrato migliore e più nitido del previsto. Come cantavano i Timbuk 3, il futuro è così luminoso che sarà meglio mettersi gli occhiali da sole.
Al termine dei tre giorni il mio giudizio personale è molto positivo. Il meeting del Lingotto è andato decisamente oltre le previsioni. Non solo in termini di partecipazione, comunque notevole, ma di contenuti politici. Le ripartenze non sono mai semplici e i rischi che si corrono sono molteplici: revanscismo, deja vu, arroccamento, anacronismo, negazione dell'evidenza.
Al Lingotto non è stato così. Al contrario, si è fatta molta chiarezza e si è consolidata una comunità politica che io, nativo del PD, non avevo mai visto così unita prima. Il "merito", probabilmente, va diviso tra la consapevolezza della sconfitta del 4 dicembre, la continuità politica del governo Gentiloni (che è segnale importante di solidità istituzionale) ma soprattutto l'isterico strappo dei pochi fuggitivi del gruppetto di Bersani e D'Alema.
Non è un caso che gli interventi politicamente più significativi siano venuti dai tanti rappresentanti della filiera nata nel PCI e passata da PDS e DS. Da Chiamparino a Minniti, da Berlinguer a Fassino. Oltre ai contributi importanti dei più giovani, come Maurizio Martina e Sandro Gozi. I "senatori" della discendenza DS hanno dimostrato come il Partito Democratico non sia più una fusione a freddo, come qualcuno l'aveva definita, ma una comunità politica con senso di appartenenza, rispetto delle regole e condivisione di gioie e di dolori. "Andarsene adesso sarebbe da vigliacchi" ha detto Chiamparino. "Basta con la sindrome di Crono, che mangiava i suoi figli, abbiamo bisogno di una leadership forte", ha chiosato Minniti.
Il PD esce dal Lingotto molto rafforzato. Vale non solo per chi sostiene Renzi, ma per tutto il partito. Paradossalmente, i fuggitivi sono stati la medicina che ha guarito il PD dal morbo delle divisioni interne e ha finalmente permesso di realizzare quella trasversalità vista e ascoltata al Lingotto per Renzi, ma avvertibile anche tra i sostenitori di Orlando, tra i quali non mancano quelli di area popolare. Sulla mozione Emiliano taccio. Basta il nome: Resistenza.
Matteo Renzi dovrà fare tesoro di questa ritrovata unità, particolarmente in un momento politico così delicato. Non sembra avere avvertito compiutamente la necessità di un cambio di passo. Malgrado l'evidente volontà di "collettivizzare" la direzione politica, anche nel suo intervento di chiusura di oggi è stato troppo divisivo, troppo indulgente alla tentazione di dire l'ultima parola. E poi basta elenchi di cose fatte, prepariamo piuttosto elenchi di cose da fare.
Tuttavia, per tornare in loop alle prime righe di questo post, tutto mi è sembrato migliore e più nitido del previsto. Come cantavano i Timbuk 3, il futuro è così luminoso che sarà meglio mettersi gli occhiali da sole.
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