L'improvvisa lite sui rifiuti tra Lega e M5S porta alla ribalta un tema scottante che l'Italia è molto lontana dal risolvere. L'emergenza è nazionale, ma particolarmente concentrata nel meridione. Questo non vuole essere un post tecnico, ma politico. Perché il compito principale della politica e della amministrazione pubblica è quello di dare risposte coerenti e puntuali.
I due vicepremier da giorni si fronteggiano a colpi di proclami. Ha iniziato Salvini, puntando il dito sulla situazione rifiuti in Campania e invocando un inceneritore in ogni provincia. Ha risposto Di Maio, con un coro grillista a seguire, ribadendo il NO assoluto a impianti di termovalorizzazione. Qualche giorno fa il ministro dell'ambiente Costa (M5S) ha detto: "Noi dobbiamo produrre meno rifiuti e quello
che produciamo va riciclato o riusato. Basta con l'incenerimento." Belle parole.
I dati dicono altro. La raccolta differenziata in Italia è attorno al 52 per cento, con punte virtuose al centro nord e dati molto bassi al sud (a Napoli è al 37 per cento). Quindi metà dei rifiuti nazionali non viene riciclato e va smaltito, cioè bruciato o sotterrato. L'Europa ha posto come obiettivo il 65 per cento di raccolta differenziata entro il 2021, ma soprattuto la Direttiva Rifiuti impone di smaltire in discarica al massimo il dieci per cento dei rifiuti entro il 2035. La scadenza può sembrare lontana, ma in termini di programmazione politica il 2035 è dopodomani.
L'articolo 35 della legge Sblocca
Italia del 2014 prevedeva la costruzione di dodici inceneritori. Seguendo la tradizione nazionale la legge
ha avuto un iter complicato: nel 2016, nella conferenza Stato-Regioni, gli impianti sono stati ridotti da dodici a otto
"subordinati anche ad intese interregionali". Lo scorso aprile poi il TAR del Lazio
ha sospeso il provvedimento e lo ha trasmesso alla Corte di Giustizia
Europea per una valutazione nel merito. Bocce ferme e nulla di fatto.
L'emergenza c'è e la politica deve essere in grado di affrontarla.
Oggi il vicepresidente Di Maio dice che gli inceneritori sono "vintage", ma per l'Italia rimarranno l'unica via di uscita ancora per decenni. Le regioni che non li hanno portano i loro rifiuti a bruciare altrove, risolvendo il problema con costi altissimi per la collettività e danni ambientali enormi (basta pensare ai milioni di Km percorsi dai camion colmi di spazzatura). Eppure, sempre oggi e con beata incoscienza,
il grillista Paragone invoca la chiusura di TUTTI gli inceneritori italiani. Non è chiaro dove finirebbero i rifiuti. In discarica no perché, come detto sopra, il seppellimento dovrà ridursi drasticamente. Nel frattempo
la risposta immediata del governatore della Lombardia Fontana (Lega) è stata quella di rifiutare l'uso dei tredici impianti lombardi per la combustione di rifiuti provenienti da altre regioni.
Colpisce l'approsimazione e la leggerezza con cui il governo affronta (e si scontra) su una questione così importante. Il famoso contratto di governo tra Lega e M5S prevede il "superamento" dei termovalorizzatori, poco più di un buon proposito. L'economia circolare nel frattempo non decolla, i capannoni sono pieni di plastica e carta che il mercato del riciclo non assorbe e che spesso si avvia a sua volta agli inceneritori. Altrettanto succede per l'organico, che è la frazione più ingente della raccolta differenziata (in Campania c'è un solo impianto pubblico di compostaggio). Dal governo, a parte i massimalismi, i litigi e le dichiarazioni di buoni propositi, non ci sono segnali concreti di strategie e azioni, né a breve né a lungo termine.