Oggi è il 31 gennaio, la scadenza che il Copenhagen Accord aveva stabilito per la definizione dei livelli di riduzione delle emissioni di CO2 da parte delle singole nazioni.
Le Nazioni Unite hanno dichiarato l'intenzione di pubblicare domani, lunedì 1 febbraio, un elenco dei paesi che hanno manifestato le loro intenzioni. Ma nel frattempo hanno anche voluto puntualizzare che la scadenza è "flessibile".
In molti casi gli impegni presi sono la conferma di quanto annunciato a Copenhagen. L'Europa resta sull'obiettivo del 20% di riduzioni al 2020 rispetto ai livelli del 1990, che potrebbero aumentare al 30% nel caso di impegni paragonabili presi da altri paesi. Gli USA, nell'attesa del passaggio al senato del climate bill, avevano formalizzato giovedì scorso l'adesione all'accordo con l'obiettivo di ridurre le emissioni del 17% entro il 2020 rispetto ai livelli del 2005. Il Giappone conferma quello che per ora è il target più ambizioso, la riduzione del 25% rispetto ai livelli del 1990. La Cina conferma una riduzione rapportata al PIL del 40-45% nel rapporto tra 2005 e 2020 (quindi non una riduzione in termini assoluti ma conteggiata sulle emissioni prodotte per unità). Lo stesso fa l'India, ma con una soglia meno ambiziosa del 20-25%. L'ultima notizia di oggi è che anche il Canada (che come gli USA non aveva mai sottoscritto il protocollo di Kyoto) si allinea all'America con un -17% al 2020 rispetto al 2005.
Una girandola di numeri e di date che comunque non segnano neppure un timido passo avanti rispetto a quanto discusso a Copenhagen. E non sembrano in grado di aprire la strada verso l'obiettivo principale del Copenhagen Accord, il contenimento del riscaldamento del pianeta entro i due gradi nel corso di questo secolo.
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