I tre giorni di negoziati sul clima di Bonn erano cominciati venerdì con quattro tonnellate di frammenti di vetro scaricati davanti all'ingresso e la scritta "Copenhagen, è ora di raccogliere i pezzi". Sono finiti oggi con poche decisioni prese dalle 175 delegazioni governative presenti, almeno a giudicare dagli scarni resoconti già diffusi, complice anche la conclusione domenicale.
L'agenda dell'incontro era fondamentalmente operativa, destinata a definire date e sedi delle sessioni vere di negoziati (che durano di norma due settimane) da svolgere prima della COP 16 che avrà inizio a Cancun in Messico il 29 novembre. Nella realtà si è discusso molto se continuare sulla base del Copenhagen Accord, approvato lo scorso dicembre e sottoscritto ormai da 120 nazioni, o ripartire dalla cosiddetta Bali Roadmap, che nel 2007 aveva istituito due sessioni negoziali e tracciato un percorso verso il nuovo trattato che dovrà sostituire Kyoto, in scadenza nel 2012. La prima posizione è sostenuta dagli USA, mentre Cina e gli altri paesi in via di sviluppo propendono per la seconda. L'Europa, marginalizzata a Copenhagen, spinge per un nuovo trattato e accusa USA e Cina di non collaborare. Gli Americani hanno detto chiaramente che non intendono sottoscrivere un accordo che non preveda obblighi anche per la Cina. Il capo negoziatore cinese Yu Qingtai ha replicato che "la differenza fondamentale tra gli USA e i paesi in via di sviluppo è che loro hanno creato il problema e gli altri ne pagano le conseguenze".
Yvo de Boer, che lascerà la guida dei negoziati ONU alla fine di giugno, ha dichiarato di ritenere impossibile che a Cancun si possa raggiungere un accordo. Negli anni passati aveva sempre manifestato ottimismo, anche nei giorni convulsi di Copenhagen. Secondo de Boer la COP 16 messicana farà bene a concentrarsi su "questioni pratiche", rimandando gli accordi ad occasioni successive. Che sarebbero la COP 17 in programma in Sudafrica nel 2011 oppure, secondo alcuni, addirittura l'Earth Summit ONU di Rio de Janeiro 2012.
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