La Direzione del Partito Democratico di ieri sera resterà probabilmente negli annali della politica italiana del primo XXI secolo. Il premier/segretario Matteo Renzi doveva presentare il famoso (o famigerato, a seconda dei punti di vista) Jobs Act, termine anglofono che definisce una riforma del mercato del lavoro. La riunione è stata trasmessa in streaming su YouDem e sui siti web dei maggiori quotidiani.
Cominciamo criticando la prassi che vuole che le riunioni di direzione abbiano inizio molto, ma molto più tardi dell'orario di convocazione. Alla fine però si comincia, con la relazione di apertura di Matteo Renzi. Niente di particolare, secondo me. Renzi ha il pregio (o il limite, anche qui dipende dai punti di vista) di usare lo stesso linguaggio in una riunione di partito come in un talk show televisivo. Snocciola le cose già dette in varie altre occasioni: tempistica urgente, emergenza occupazione, risposte Europa, inadeguatezza sindacati, riforme necessarie.
Gli interventi che seguono sono vari e interessanti. L'impressione è che il PD sia un partito vero, probabilmente l'ultimo partito che permette una dialettica interna. Un ambito politico dove si discute e ci si confronta. Gianni Cuperlo fa un intervento attendista, ma certo non concessivo. Marini si svela novello renziano. Poi prende la parola D'Alema, con un intervento tagliente che non risparmia critiche a Renzi. Del resto ieri, in una intervista al Corriere della Sera, lo aveva definito eterodiretto da Verdini di Forza Italia. Segue Civati, con un intervento piuttosto scialbo di cui resta memorabile solo la frase che Renzi "dice cose di destra". Seguono altri pro e contro. Fassina resistibile e impreciso, Gentiloni concessivo. Soru molto empatico, al solito, a sostegno di Renzi. Bersani non memorabile, intervento vecchio stile pieno di parole tronche e di paternalismo, in cui però all'inizio parla di "metodo Boffo" riferito probabilmente a se stesso, anche se non esplicita. Giachetti polemico con D'Alema e Bersani. Epifani, ecumenico e scaltro, si smarca dai grandi vecchi dei DS e dà consigli a Renzi.
Si conclude con la replica del segretario e con il voto di una mozione, che viene presentata da Filippo Taddei. Prima del voto D'Attorre deposita un documento, che non viene presentato né descritto. Dovrebbe trattarsi del famoso documento congiunto delle minoranze, elaborato da Bindi-Fassina-D'Attorre-Boccia-Civati. Piuttosto bizzarro presentarlo a discussione già chiusa. Altrettanto bizzarro che nessuno dei redattori lo abbia citato nel corso del suo intervento.
Dopo una richiesta di votare la mozione del segretario per parti (rifiutata) l'esito della direzione è questo: 130 voti a favore, 11 astenuti e 20 contrari. Votano contro Civati e aficionados, ma anche Cuperlo e Bersani con qualche seguace. Due commenti sono doverosi. Il primo è che i due candidati sconfitti delle primarie, Cuperlo e Civati, proseguono con una strategia di opposizione che però non arriva al 14% totale dei voti. Il secondo è che Bersani, votando contro, dimostra i suoi limiti, se ancora ce ne fosse bisogno. Un ex segretario non vota contro la linea del suo successore. Può uscire dalla direzione, magari astenersi, ma un voto contrario è il segnale di una acredine inutile. E i numeri dimostrano che è anche una posizione residuale.
Cominciamo criticando la prassi che vuole che le riunioni di direzione abbiano inizio molto, ma molto più tardi dell'orario di convocazione. Alla fine però si comincia, con la relazione di apertura di Matteo Renzi. Niente di particolare, secondo me. Renzi ha il pregio (o il limite, anche qui dipende dai punti di vista) di usare lo stesso linguaggio in una riunione di partito come in un talk show televisivo. Snocciola le cose già dette in varie altre occasioni: tempistica urgente, emergenza occupazione, risposte Europa, inadeguatezza sindacati, riforme necessarie.
Gli interventi che seguono sono vari e interessanti. L'impressione è che il PD sia un partito vero, probabilmente l'ultimo partito che permette una dialettica interna. Un ambito politico dove si discute e ci si confronta. Gianni Cuperlo fa un intervento attendista, ma certo non concessivo. Marini si svela novello renziano. Poi prende la parola D'Alema, con un intervento tagliente che non risparmia critiche a Renzi. Del resto ieri, in una intervista al Corriere della Sera, lo aveva definito eterodiretto da Verdini di Forza Italia. Segue Civati, con un intervento piuttosto scialbo di cui resta memorabile solo la frase che Renzi "dice cose di destra". Seguono altri pro e contro. Fassina resistibile e impreciso, Gentiloni concessivo. Soru molto empatico, al solito, a sostegno di Renzi. Bersani non memorabile, intervento vecchio stile pieno di parole tronche e di paternalismo, in cui però all'inizio parla di "metodo Boffo" riferito probabilmente a se stesso, anche se non esplicita. Giachetti polemico con D'Alema e Bersani. Epifani, ecumenico e scaltro, si smarca dai grandi vecchi dei DS e dà consigli a Renzi.
Si conclude con la replica del segretario e con il voto di una mozione, che viene presentata da Filippo Taddei. Prima del voto D'Attorre deposita un documento, che non viene presentato né descritto. Dovrebbe trattarsi del famoso documento congiunto delle minoranze, elaborato da Bindi-Fassina-D'Attorre-Boccia-Civati. Piuttosto bizzarro presentarlo a discussione già chiusa. Altrettanto bizzarro che nessuno dei redattori lo abbia citato nel corso del suo intervento.
Dopo una richiesta di votare la mozione del segretario per parti (rifiutata) l'esito della direzione è questo: 130 voti a favore, 11 astenuti e 20 contrari. Votano contro Civati e aficionados, ma anche Cuperlo e Bersani con qualche seguace. Due commenti sono doverosi. Il primo è che i due candidati sconfitti delle primarie, Cuperlo e Civati, proseguono con una strategia di opposizione che però non arriva al 14% totale dei voti. Il secondo è che Bersani, votando contro, dimostra i suoi limiti, se ancora ce ne fosse bisogno. Un ex segretario non vota contro la linea del suo successore. Può uscire dalla direzione, magari astenersi, ma un voto contrario è il segnale di una acredine inutile. E i numeri dimostrano che è anche una posizione residuale.