lunedì 30 giugno 2008
New cleare/4
Il governo Berlusconi IV continua a proclamare la volontà di un rapido ritorno al'energia nucleare. Il più sparato è il ministro allo sviluppo Claudio Scajola che, dopo alcuni giorni di silenzio, è tornato a magnificare l'energia atomica prima intervenendo all'assemblea di Confesercenti, poi in una intervista pubblicata sul benevolo Panorama. Scajola parla di "costruire un gruppo di centrali di nuova generazione" addirittura entro questa legislatura.
Nel suo piccolo Sostenibilitalia ha cercato di indagare con obiettività e rigore sul new cleare italiano, riportando dati e argomenti con diretti riferimenti alle fonti, generalmente molto autorevoli.
Scajola invece parla di temi pesanti come il nucleare con una approssimazione intollerabile. Dichiarare di iniziare la costruzione di una centrale nucleare in quattro anni e mezzo è assurdo. Un ministro ha il diritto di essere incompetente ma dovrebbe avere perlomeno dei consulenti scientifici esperti della materia. A Panorama Scajola annuncia un "mix energetico" in cui, "entro 20-30 anni" il nucleare dovrebbe contribuire addirittura per il 25%. Stupidaggini.
Perché è impossibile aprire il cantiere di una centrale nucleare in quattro anni? Non lo sostiene qualche scalmananto ambientalista ma l'Autorità per la Sicurezza Nucleare Francese, che in un recente documento ammonisce dai facili entusiasmi atomici. Secondo l'ASN ci vogliono almeno cinque anni solo per redigere un quadro normativo, creare una Autorità, renderla operativa e mobilitare le competenze in tema di sicurezza e controllo. Inoltre, continuano gli esperti dell'agenzia statale francese, "l'esperienza internazionale dimostra che l'istruttoria da parte di questa Autorità di una domanda di autorizzazione alla costruzione di una centrale dura da un minimo di due a un massimo di dieci anni". Conoscendo l'Italia, dove non si riesce nemmeno a piazzare una discarica, quali sono i tempi prevedibili per concludere il processo autorizzativo?
L'ASN calcola poi in cinque anni i tempi di costruzione, concludendo che dall'apertura della pratica alla operatività di una centrale nucleare passano "almeno quindici anni". La sentenza arriva dalla nazione più nuclearista d'Europa.
Le stime francesi sono le stesse fatte dai nuclearisti di Edison ed ENEA in Italia e ripetute anche la scorsa settimana in occasione del workshop Rinnovabili e Nucleare: due percorsi paralleli organizzato a Roma da ISES Italia.
La pratica è chiusa, perché entro 15 anni (anzi prima, nel 2020) noi dovremo avere ridotto le emissioni del 20% e aumentato al 20% la quota di energia rinnovabile, oggi al 5,2%. Ricordando che in ogni caso il commissario europeo all'energia Piebalgs ha ribadito che il nucleare non ha nulla a che vedere con le energie rinnovabili.
Qualcuno dovrebbe riferire le conclusioni dell'ASN all'entusiasta Scajola, al capoclasse Tremonti e al quasi-Nobel Brunetta. Credo che la persona più adatta sia Titti, come al solito.
Nel suo piccolo Sostenibilitalia ha cercato di indagare con obiettività e rigore sul new cleare italiano, riportando dati e argomenti con diretti riferimenti alle fonti, generalmente molto autorevoli.
Scajola invece parla di temi pesanti come il nucleare con una approssimazione intollerabile. Dichiarare di iniziare la costruzione di una centrale nucleare in quattro anni e mezzo è assurdo. Un ministro ha il diritto di essere incompetente ma dovrebbe avere perlomeno dei consulenti scientifici esperti della materia. A Panorama Scajola annuncia un "mix energetico" in cui, "entro 20-30 anni" il nucleare dovrebbe contribuire addirittura per il 25%. Stupidaggini.
Perché è impossibile aprire il cantiere di una centrale nucleare in quattro anni? Non lo sostiene qualche scalmananto ambientalista ma l'Autorità per la Sicurezza Nucleare Francese, che in un recente documento ammonisce dai facili entusiasmi atomici. Secondo l'ASN ci vogliono almeno cinque anni solo per redigere un quadro normativo, creare una Autorità, renderla operativa e mobilitare le competenze in tema di sicurezza e controllo. Inoltre, continuano gli esperti dell'agenzia statale francese, "l'esperienza internazionale dimostra che l'istruttoria da parte di questa Autorità di una domanda di autorizzazione alla costruzione di una centrale dura da un minimo di due a un massimo di dieci anni". Conoscendo l'Italia, dove non si riesce nemmeno a piazzare una discarica, quali sono i tempi prevedibili per concludere il processo autorizzativo?
L'ASN calcola poi in cinque anni i tempi di costruzione, concludendo che dall'apertura della pratica alla operatività di una centrale nucleare passano "almeno quindici anni". La sentenza arriva dalla nazione più nuclearista d'Europa.
Le stime francesi sono le stesse fatte dai nuclearisti di Edison ed ENEA in Italia e ripetute anche la scorsa settimana in occasione del workshop Rinnovabili e Nucleare: due percorsi paralleli organizzato a Roma da ISES Italia.
La pratica è chiusa, perché entro 15 anni (anzi prima, nel 2020) noi dovremo avere ridotto le emissioni del 20% e aumentato al 20% la quota di energia rinnovabile, oggi al 5,2%. Ricordando che in ogni caso il commissario europeo all'energia Piebalgs ha ribadito che il nucleare non ha nulla a che vedere con le energie rinnovabili.
Qualcuno dovrebbe riferire le conclusioni dell'ASN all'entusiasta Scajola, al capoclasse Tremonti e al quasi-Nobel Brunetta. Credo che la persona più adatta sia Titti, come al solito.
domenica 29 giugno 2008
venerdì 27 giugno 2008
Capitalismo sostenibile
Tutti la considerano una delle testate più autorevoli della stampa economica mondiale. Meno Berlù, nei confronti del quale il periodico non ha mai nascosto la sua avversione. Sull'Economist di questa settimana c'è un dossier speciale di sedici pagine dedicato all'energia che analizza il futuro di petrolio, solare, eolico, geotermico, nucleare e così via. Il settimanale usa il solito linguaggio diretto e ironico, capace di trasformare le notizie in commenti o viceversa. Per esempio lo stoccaggio di CO2 viene liquidato con “nel migliore dei casi è costoso, nel peggiore potrebbe non funzionare”. In onore del ministro capoclasse Tremonti tutte le illustrazioni dell'inserto hanno come protagonista Don Chisciotte.
Il pezzo più interessante però è fuori del dossier, si intitola Il futuro dell'energia ed è inserito a pagina 16, tra gli editoriali che aprono la rivista. L'Economist non è esattamente una newsletter ambientalista, l'analisi che propone è strettamente economica e quindi molto interessante. Secondo l'autore (come sempre anonimo, noblesse oblige) le energie rinnovabili rappresentano una tra le più importanti realtà su cui investire, anche alla luce del fatto che le aziende impegnate nel settore non riescono a soddisfare una domanda in crescita costante. La crescita del rinnovabile sul mercato mondiale ha beneficiato dell'impennata dei prezzi petroliferi che questa volta, al contrario degli anni '70, non è causata da una bolla speculativa ma da un aumento massiccio e costante della domanda globale, che quindi rende improbabile una inversione di tendenza. Infatti l'OPEC ha appena dichiarato che il prezzo del petrolio è ancora basso e raggiungerà i 170 dollari al barile entro l'estate.
Ai prezzi odierni l'energia elettrica e i biocarburanti sono già competitivi con il petrolio. Quanto alle fonti, l'energia eolica sta rapidamente riducendo il suo costo, ormai paragonabile al metano, che è aumentato seguendo l'onda del petrolio. Il fotovoltaico è ancora un po' più caro, ma in calo. Insomma, produrre energia eletttrica da fonti rinnovabili è ormai conveniente non solo per gli effetti ecologici, ma anche sotto il profilo economico. Così non ci sarà bisogno di creare nuove filiere, come vorrebbero i sostenitori dell'idrogeno, ma semplicemente di attaccare la spina per ricaricare batterie con l'elettricità prodotta da fonti pulite.
Per agevolare il passaggio alle tecnologie rinnovabili l'Economist propone l'introduzione di una tassa sulle emissioni di CO2 che penalizzi il carbone, tuttora la fonte più economica di energia, ma anche la più inquinante. Tuttavia alcuni ricercatori già oggi sostengono l'esistenza di tecnologie in grado di produrre energia da fonti rinnovabili a costi più bassi del carbone. Secondo l'autore l'introduzione di una carbon tax è utile e necessaria, anche con la consapevolezza che Cina e India non faranno niente di simile.
Poi – conclude l'Economist – il mercato farà il resto, perché le compagnie rampanti che lavorano nelle energie rinnovabili sono in concorrenza tra loro quanto lo sono con le multinazionali del petrolio. Il futuro potrebbe essere molto più vicino di quanto si creda.
Il pezzo più interessante però è fuori del dossier, si intitola Il futuro dell'energia ed è inserito a pagina 16, tra gli editoriali che aprono la rivista. L'Economist non è esattamente una newsletter ambientalista, l'analisi che propone è strettamente economica e quindi molto interessante. Secondo l'autore (come sempre anonimo, noblesse oblige) le energie rinnovabili rappresentano una tra le più importanti realtà su cui investire, anche alla luce del fatto che le aziende impegnate nel settore non riescono a soddisfare una domanda in crescita costante. La crescita del rinnovabile sul mercato mondiale ha beneficiato dell'impennata dei prezzi petroliferi che questa volta, al contrario degli anni '70, non è causata da una bolla speculativa ma da un aumento massiccio e costante della domanda globale, che quindi rende improbabile una inversione di tendenza. Infatti l'OPEC ha appena dichiarato che il prezzo del petrolio è ancora basso e raggiungerà i 170 dollari al barile entro l'estate.
Ai prezzi odierni l'energia elettrica e i biocarburanti sono già competitivi con il petrolio. Quanto alle fonti, l'energia eolica sta rapidamente riducendo il suo costo, ormai paragonabile al metano, che è aumentato seguendo l'onda del petrolio. Il fotovoltaico è ancora un po' più caro, ma in calo. Insomma, produrre energia eletttrica da fonti rinnovabili è ormai conveniente non solo per gli effetti ecologici, ma anche sotto il profilo economico. Così non ci sarà bisogno di creare nuove filiere, come vorrebbero i sostenitori dell'idrogeno, ma semplicemente di attaccare la spina per ricaricare batterie con l'elettricità prodotta da fonti pulite.
Per agevolare il passaggio alle tecnologie rinnovabili l'Economist propone l'introduzione di una tassa sulle emissioni di CO2 che penalizzi il carbone, tuttora la fonte più economica di energia, ma anche la più inquinante. Tuttavia alcuni ricercatori già oggi sostengono l'esistenza di tecnologie in grado di produrre energia da fonti rinnovabili a costi più bassi del carbone. Secondo l'autore l'introduzione di una carbon tax è utile e necessaria, anche con la consapevolezza che Cina e India non faranno niente di simile.
Poi – conclude l'Economist – il mercato farà il resto, perché le compagnie rampanti che lavorano nelle energie rinnovabili sono in concorrenza tra loro quanto lo sono con le multinazionali del petrolio. Il futuro potrebbe essere molto più vicino di quanto si creda.
giovedì 26 giugno 2008
Talismani e sfigatori
Le vittorie di Germania e Spagna in semifinale agli europei di calcio sono state salutate dal tifo eccellente di Angela Merkel e di re Juan Carlos, che aveva assistito anche al vittorioso quarto di finale contro l'Italia.
I nostri governanti portano meno fortuna. Il sottosegretario con delega allo sport Rocco Crimi aveva fatto il suo debutto ufficiale in tribuna nella partita di esordio Italia-Olanda (0-3). Visto l'esito disastroso, nelle due partite seguenti giocate dagli azzurri (un pareggio e una vittoria) non sono stati segnalati esponenti del governo.
Galvanizzato dal passaggio ai quarti di finale, in occasione di Italia-Spagna a Vienna si è materializzato il ministro alla difesa Ignazio La Russa. Come è finita lo sappiamo tutti.
I nostri governanti portano meno fortuna. Il sottosegretario con delega allo sport Rocco Crimi aveva fatto il suo debutto ufficiale in tribuna nella partita di esordio Italia-Olanda (0-3). Visto l'esito disastroso, nelle due partite seguenti giocate dagli azzurri (un pareggio e una vittoria) non sono stati segnalati esponenti del governo.
Galvanizzato dal passaggio ai quarti di finale, in occasione di Italia-Spagna a Vienna si è materializzato il ministro alla difesa Ignazio La Russa. Come è finita lo sappiamo tutti.
martedì 24 giugno 2008
Vaccino anti pere
Non c'è niente da ridere. Il metano è uno dei più temibili gas serra e le flatulenze degli animali domestici erbivori ne producono quantità enormi. Secondo le stime della FAO i peti delle mucche e degli altri amici della fattoria, misurati in tonnellate equivalenti di CO2, producono il 18% dell'effetto serra totale del pianeta.
La faccenda è particolarmente seria in Nuova Zelanda, dove vivono poco più di quattro milioni di persone ma dieci milioni di mucche e ben 45 milioni di pecore. Le pere di tutte queste bestiole producono oltre metà delle emissioni di metano della nazione e contribuiscono in modo determinante al calcolo delle emissioni di CO2, rendendo quasi impossibile raggiungere gli obiettivi del protocollo di Kyoto. Il metano è un gas serra molto più potente del carbonio e una mucca ne produce 350 litri al giorno, equivalenti a 1500 litri di CO2.
Il governo neozelandese sta seriamente pensando all'imposizione di una flatulence tax, un tributo a cui naturalmente gli allevatori si oppongono con fermezza. Visto il numero dei capi non è difficile capire come gli allevatori siano una lobby economica molto potente nell'arcipelago australe.
In Europa la questione ha appassionato la cronaca politica dell'Estonia, dove il governo ha imposto una tassa di circa 3500€ per gli allevatori con più di 300 mucche o 5000 maiali. La sollevazione popolare ha costretto l'esecutivo a un brusco dietrofront e la tassa è stata abolita dopo solo un mese. Ma il governo dello stato baltico aspetta un via libera dall'Europa per reintodurla.
La ricerca scientifica sta facend grandi progressi e in Australia si è riusciti a produrre un vaccino anti rutti che riduce considerevolmente le emissioni di metano per via orale. Per quanto riguarda l'altra via di espulsione del gas, in Nuova Zelanda gli scienziati sono riusciti a completare la mappatura del genoma che produce il metano nel processo digestivo dei ruminanti.
Un vaccino antipera potrebbe esssere pronto molto presto.
La faccenda è particolarmente seria in Nuova Zelanda, dove vivono poco più di quattro milioni di persone ma dieci milioni di mucche e ben 45 milioni di pecore. Le pere di tutte queste bestiole producono oltre metà delle emissioni di metano della nazione e contribuiscono in modo determinante al calcolo delle emissioni di CO2, rendendo quasi impossibile raggiungere gli obiettivi del protocollo di Kyoto. Il metano è un gas serra molto più potente del carbonio e una mucca ne produce 350 litri al giorno, equivalenti a 1500 litri di CO2.
Il governo neozelandese sta seriamente pensando all'imposizione di una flatulence tax, un tributo a cui naturalmente gli allevatori si oppongono con fermezza. Visto il numero dei capi non è difficile capire come gli allevatori siano una lobby economica molto potente nell'arcipelago australe.
In Europa la questione ha appassionato la cronaca politica dell'Estonia, dove il governo ha imposto una tassa di circa 3500€ per gli allevatori con più di 300 mucche o 5000 maiali. La sollevazione popolare ha costretto l'esecutivo a un brusco dietrofront e la tassa è stata abolita dopo solo un mese. Ma il governo dello stato baltico aspetta un via libera dall'Europa per reintodurla.
La ricerca scientifica sta facend grandi progressi e in Australia si è riusciti a produrre un vaccino anti rutti che riduce considerevolmente le emissioni di metano per via orale. Per quanto riguarda l'altra via di espulsione del gas, in Nuova Zelanda gli scienziati sono riusciti a completare la mappatura del genoma che produce il metano nel processo digestivo dei ruminanti.
Un vaccino antipera potrebbe esssere pronto molto presto.
domenica 22 giugno 2008
L'effetto che facciamo visti da fuori
Il Financial Times di sabato ha pubblicato un editoriale di Christopher Caldwell sulla questione Berlusconi/magistratura. I commenti, di qualunque parte politica, hanno giudicato l'articolo come un sostegno alle tesi del presidente del consiglio.
Le cose non stanno proprio così. Caldwell prende spunto dal famigerato emendamento blocca processi inserito nel "pacchetto sicurezza" e le sue considerazioni sono interessanti. Quando gli oppositori di Berlusconi sottolineano che l'emendamento minaccia di bloccare centomila processi in corso da più di sei anni, secondo Caldwell giustificano pienamente la sua applicazione. Per il semplice motivo che in nessun paese dopo sei anni centomila processi sono ancora nella fase dibattimentale.
"Le accuse contro Berlusconi che motivarono la legge sull'immunità del 2004 risalivano al 1985. Le iniziative giudiziarie di Berlusconi sono invariabilmente utili a se stesso, ma non solo a se stesso. Fanno sempre riferimento a problematiche abbastanza serie da garantirgli un seguito tra gli elettori. Qui si dimostra il suo talento politico. Attualmente l'Italia sta vivendo una fase di panico per la sicurezza. Potrebbe essere una reazione giustificata come potrebbe non esserlo. Ma quasi tutto quello che contiene il pacchetto sicurezza può contribuire ad alleviarla. Una legge sull'immunità delle alte cariche dello stato, se mai fosse promulgata, potrebbe rendere la politica italiana meno litigiosa e più democratica. Il fatto che con queste leggi Berlusconi possa schivare un processo è un motivo per opporsi. Ma è l'unico motivo e non sembra sufficiente."
Questo sostiene Christopher Caldwell, nella mia traduzione. Lo fa con convinzione, perché vive in un paese dove i processi non possono durare venti anni. Ma la sua analisi non sembra un sostegno alla linea di Berlusconi quanto piuttosto una semplice constatazione di buon senso. Noi Italiani, abituati a riti e tempi impensabili altrove, facciamo molta fatica ad accettare considerazioni cosi dirette e preferiamo attribuire loro un valore politico, piuttosto che ammetterne l'oggettività.
Notevole il commento de Il Giornale di famiglia del premier che, visto che per una volta il Financial Times offre una sponda a Berlù, torna dopo molto tempo a definire la testata "autorevole".
Le cose non stanno proprio così. Caldwell prende spunto dal famigerato emendamento blocca processi inserito nel "pacchetto sicurezza" e le sue considerazioni sono interessanti. Quando gli oppositori di Berlusconi sottolineano che l'emendamento minaccia di bloccare centomila processi in corso da più di sei anni, secondo Caldwell giustificano pienamente la sua applicazione. Per il semplice motivo che in nessun paese dopo sei anni centomila processi sono ancora nella fase dibattimentale.
"Le accuse contro Berlusconi che motivarono la legge sull'immunità del 2004 risalivano al 1985. Le iniziative giudiziarie di Berlusconi sono invariabilmente utili a se stesso, ma non solo a se stesso. Fanno sempre riferimento a problematiche abbastanza serie da garantirgli un seguito tra gli elettori. Qui si dimostra il suo talento politico. Attualmente l'Italia sta vivendo una fase di panico per la sicurezza. Potrebbe essere una reazione giustificata come potrebbe non esserlo. Ma quasi tutto quello che contiene il pacchetto sicurezza può contribuire ad alleviarla. Una legge sull'immunità delle alte cariche dello stato, se mai fosse promulgata, potrebbe rendere la politica italiana meno litigiosa e più democratica. Il fatto che con queste leggi Berlusconi possa schivare un processo è un motivo per opporsi. Ma è l'unico motivo e non sembra sufficiente."
Questo sostiene Christopher Caldwell, nella mia traduzione. Lo fa con convinzione, perché vive in un paese dove i processi non possono durare venti anni. Ma la sua analisi non sembra un sostegno alla linea di Berlusconi quanto piuttosto una semplice constatazione di buon senso. Noi Italiani, abituati a riti e tempi impensabili altrove, facciamo molta fatica ad accettare considerazioni cosi dirette e preferiamo attribuire loro un valore politico, piuttosto che ammetterne l'oggettività.
Notevole il commento de Il Giornale di famiglia del premier che, visto che per una volta il Financial Times offre una sponda a Berlù, torna dopo molto tempo a definire la testata "autorevole".
sabato 21 giugno 2008
Mediterraneo, che passione
Mentre scrivo sto guardando Olanda-Russia su Canal 6 nel minuscolo TV di un albergo a due stelle di Marsiglia. Non sono di ottimo umore, visto che oggi è il primo vero sabato di questa bizzosa estate e io l'ho passato in giro per aeroporti. Con l'apoteosi finale: Air France ha anche perso la mia valigia. Mi consola la Russia di Hiddink, una squadra formidabile. Tre gol all'imbattuta Olanda, di cui due nei supplementari giocando in dieci.
Sono a Marsiglia per partecipare al primo Forum delle Autorità Locali e Regionali del Mediterraneo, organizzato da Citta Unite e Governi Locali (UCLG), la rete mondiale degli enti locali. UCLG ha istituito una Commissione Mediterranea, che ha una sede permanente qui a Marsiglia. Quello che si apre domani è il primo forum degli enti locali del Mediterraneo e a me hanno chiesto un contributo in una sessione dal titolo L'ambiente, fattore di sviluppo.
Ci sono molti buoni motivi per accendere i riflettori sul Mediterraneo e di questi tempi quello principale è che a luglio la Francia assumerà la presidenza di turno dell'Unione Europea (il sito è già on line). Sarkozy e il governo francese vogliono costruire un semestre memorabile, dopo due presidenze (Portogallo e Slovenia) piuttosto sbiadite.
Tra le priorità della presidenza francese c'è appunto il Mediterraneo. Il 13 luglio Sarkozy lancerà la sua Unione per il Mediterraneo, un progetto ambizioso e visto con qualche sospetto da alcuni dei partner, a cominciare dalla Turchia, che teme che la costituzione di questo organismo allontani il suo ingresso nella UE. L'Unione per il Mediterraneo è stata formalizzata nella Dichiarazione di Roma firmata lo scorso 20 dicembre da Sarkozy, Zapatero e Prodi. Come spesso accade in Italia di questo si parla pochissimo, presi come siamo da fannulloni, giudici comunisti e Robin Hood.
Nel frattempo la Francia sta guardando lontano e lo fa nel proprio interesse, consapevole dell'importanza di assicurarsi una regia politica nel bacino Mediterraneo. Il Forum delle Autorità Locali di Marsiglia si concluderà lunedì con l'approvazione di un documento che sarà presentato il 13 luglio alla costituzine dell'Unione per il Mediterraneo.
Sono a Marsiglia per partecipare al primo Forum delle Autorità Locali e Regionali del Mediterraneo, organizzato da Citta Unite e Governi Locali (UCLG), la rete mondiale degli enti locali. UCLG ha istituito una Commissione Mediterranea, che ha una sede permanente qui a Marsiglia. Quello che si apre domani è il primo forum degli enti locali del Mediterraneo e a me hanno chiesto un contributo in una sessione dal titolo L'ambiente, fattore di sviluppo.
Ci sono molti buoni motivi per accendere i riflettori sul Mediterraneo e di questi tempi quello principale è che a luglio la Francia assumerà la presidenza di turno dell'Unione Europea (il sito è già on line). Sarkozy e il governo francese vogliono costruire un semestre memorabile, dopo due presidenze (Portogallo e Slovenia) piuttosto sbiadite.
Tra le priorità della presidenza francese c'è appunto il Mediterraneo. Il 13 luglio Sarkozy lancerà la sua Unione per il Mediterraneo, un progetto ambizioso e visto con qualche sospetto da alcuni dei partner, a cominciare dalla Turchia, che teme che la costituzione di questo organismo allontani il suo ingresso nella UE. L'Unione per il Mediterraneo è stata formalizzata nella Dichiarazione di Roma firmata lo scorso 20 dicembre da Sarkozy, Zapatero e Prodi. Come spesso accade in Italia di questo si parla pochissimo, presi come siamo da fannulloni, giudici comunisti e Robin Hood.
Nel frattempo la Francia sta guardando lontano e lo fa nel proprio interesse, consapevole dell'importanza di assicurarsi una regia politica nel bacino Mediterraneo. Il Forum delle Autorità Locali di Marsiglia si concluderà lunedì con l'approvazione di un documento che sarà presentato il 13 luglio alla costituzine dell'Unione per il Mediterraneo.
Brunetta? Se lo sognano di notte
Chi si sogna di notte il ministro alla funzione pubblica e innovazione Renato Brunetta? Probabilmente la sua fidanzata Titti (con lui nella foto al ricevimento in Quirinale), ma anche tutti gli amministratori e i dipendenti dei piccoli enti pubblici non economici.
Infatti Brunetta ha inserito nella complessa manovra economica triennale del IV governo Berlusconi una norma che copio testualmente:
Soppressione o riordino di enti pubblici (dl): Al fine di contenere la spesa, gli Enti pubblici non economici, inseriti nel conto economico consolidato dello Stato, con una dotazione organica inferiore alle 50 unità - nonché tutti gli altri entri pubblici non economici con dotazione organica superiore che non siano stati riconfermati o riordinati con le modalità previste dalla legge finanziaria per il 2008 - vengono soppressi e le relative funzioni vengono trasferite ai ministeri vigilanti.
Come spesso succede, lì per lì non se ne sono accorti in molti. Poi la, voce ha cominciato a girare, le telefonate a farsi cncitate. Quali sono gli enti su cui calerà la scure del governo e di Brunetta? Gli enti parco, ad esempio: 19 su 23 parchi nazionali sparirebbero e rimarrebbero in vita solo Abruzzo, Cilento, Gran Paradiso e Pollino Ma anche le autorità portuali, secondo alcuni.
È la prima delle 34 novità per la Pa stabilite, con decreto legge, dal Consiglio dei ministri. Parole chiave dell’operazione sono meritocrazia, innovazione, trasparenza. Sarà così possibile, spiega il ministro, risparmiare nel triennio 2009-2011 con riferimento alla spesa corrente circa l’uno per cento l’anno. E dato che “l’importo della spesa corrente è attualmente pari a circa 680 miliardi di euro, un risparmio di 3 punti equivale a più di 20 miliardi di euro”.
A Enrico Mentana, che lo intervistava a Matrix, Brunetta ha dichiarato: "Volevo vincere il premio Nobel per l' economia. Non dico di esserci arrivato vicino, ma ... Poi mi sono innamorato della politica e ho dovuto rinunciare al Nobel''.
Gli enti pubblici con meno di cinquanta addetti saranno terminati con un decreto legge, che il governo vuole emanare entro la fine dell'anno.
Ecco perchè sono tanti a sognarsi Brunetta di notte.
Infatti Brunetta ha inserito nella complessa manovra economica triennale del IV governo Berlusconi una norma che copio testualmente:
Soppressione o riordino di enti pubblici (dl): Al fine di contenere la spesa, gli Enti pubblici non economici, inseriti nel conto economico consolidato dello Stato, con una dotazione organica inferiore alle 50 unità - nonché tutti gli altri entri pubblici non economici con dotazione organica superiore che non siano stati riconfermati o riordinati con le modalità previste dalla legge finanziaria per il 2008 - vengono soppressi e le relative funzioni vengono trasferite ai ministeri vigilanti.
Come spesso succede, lì per lì non se ne sono accorti in molti. Poi la, voce ha cominciato a girare, le telefonate a farsi cncitate. Quali sono gli enti su cui calerà la scure del governo e di Brunetta? Gli enti parco, ad esempio: 19 su 23 parchi nazionali sparirebbero e rimarrebbero in vita solo Abruzzo, Cilento, Gran Paradiso e Pollino Ma anche le autorità portuali, secondo alcuni.
È la prima delle 34 novità per la Pa stabilite, con decreto legge, dal Consiglio dei ministri. Parole chiave dell’operazione sono meritocrazia, innovazione, trasparenza. Sarà così possibile, spiega il ministro, risparmiare nel triennio 2009-2011 con riferimento alla spesa corrente circa l’uno per cento l’anno. E dato che “l’importo della spesa corrente è attualmente pari a circa 680 miliardi di euro, un risparmio di 3 punti equivale a più di 20 miliardi di euro”.
A Enrico Mentana, che lo intervistava a Matrix, Brunetta ha dichiarato: "Volevo vincere il premio Nobel per l' economia. Non dico di esserci arrivato vicino, ma ... Poi mi sono innamorato della politica e ho dovuto rinunciare al Nobel''.
Gli enti pubblici con meno di cinquanta addetti saranno terminati con un decreto legge, che il governo vuole emanare entro la fine dell'anno.
Ecco perchè sono tanti a sognarsi Brunetta di notte.
venerdì 20 giugno 2008
Via col vento
Gli strenui oppositori dell'energia eolica lamentano l'impatto visivo delle turbine, alte diecine di metri e spesso anche rumorose.
La svolta potrebbe arrivare con i nuovi generatori proposti dall'americana BroadStar, che scommette su piccoli, innovativi elementi facilmente posizionabili ovunque. La linea di produzione si chiama Aerocam ed è profondamente innovativa anche sotto il profilo del prezzo. Un sistema da 250kw costa meno di 250.000$ , abbattendo per la prima volta la barriera di un watt per dollaro. A queste cifre l'energia eolica diventa davvero competitiva, con costi di impianto ammortizzabili in pochi anni.
I generatori Aerocam assomigliano alle pale dei battelli a vapore. L'innovazione tecnologica consiste nella capacità di modificare automaticamente l'inclinazione delle pale in funzione della velocità e della direzione del vento.
Le turbine funzionano perfettamente con venti tra i 6 e i 130 kmh, con basse velocità di rotazione che garantiscono un ridotto impatto sonoro. Sul sito dell'azienda sono visibili varie simulazioni che dimostrano le notevoli capacità di adattamento di questi piccoli generatori.
Brunetta, Scajola e il capoclasse Tremonti dovrebbero dare un'occhiata, invece di concentrarsi su improbabili sogni nucleari. Spero che come al solito ci pensi Titti.
La svolta potrebbe arrivare con i nuovi generatori proposti dall'americana BroadStar, che scommette su piccoli, innovativi elementi facilmente posizionabili ovunque. La linea di produzione si chiama Aerocam ed è profondamente innovativa anche sotto il profilo del prezzo. Un sistema da 250kw costa meno di 250.000$ , abbattendo per la prima volta la barriera di un watt per dollaro. A queste cifre l'energia eolica diventa davvero competitiva, con costi di impianto ammortizzabili in pochi anni.
I generatori Aerocam assomigliano alle pale dei battelli a vapore. L'innovazione tecnologica consiste nella capacità di modificare automaticamente l'inclinazione delle pale in funzione della velocità e della direzione del vento.
Le turbine funzionano perfettamente con venti tra i 6 e i 130 kmh, con basse velocità di rotazione che garantiscono un ridotto impatto sonoro. Sul sito dell'azienda sono visibili varie simulazioni che dimostrano le notevoli capacità di adattamento di questi piccoli generatori.
Brunetta, Scajola e il capoclasse Tremonti dovrebbero dare un'occhiata, invece di concentrarsi su improbabili sogni nucleari. Spero che come al solito ci pensi Titti.
giovedì 19 giugno 2008
Una dritta per Titti
Ho un suggerimento per Titti: regalare al ministro Renato Brunetta un libro uscito ieri.
Lo pubblica Baldini Castoldi Dalai, lo hanno scritto Stefano Agnoli e Giancarlo Pireddu e si intitola Il prezzo da pagare - L’Italia e i conflitti del panorama energetico mondiale. Leggendolo il ministro fustigatore di fannulloni troverebbe molti elementi che mettono in dubbio che la “libertà energetica” dell’Italia passi dalla costruzione di tre o quattro costosissime centrali nucleari.
Scajola e gli altri nuclearisti di governo sostengono che le centrali potrebbero essere operative per il 2020. Conoscendo l'Italia è legittimo dubitare che questa scadenza sarebbe rispettata. Di certo per quella data sarà ancora in piena attività il piano di smantellamento e messa in sicurezza delle vecchie centrali, che secondo la Sogin costerà 4.3 miliardi di euro, ovvero più o meno quanto una nuova centrale. La conclusione delle opere di bonifica è prevista non prima di 15 anni e su alcuni impianti è appena cominciata.
Titti dovrebbe ricordare a Brunetta di includere questo esborso tra le voci di bilancio della “libertà energetica”. I tanti soldi necessari a trattare gli impianti e le scorie radioattive li pagano i cittadini nelle bollette elettriche: nel 2008 la previsione di spesa per “smantellamento centrali elettronucleari e chiusura del ciclo del combustibile” è di 520 milioni di Euro. Per dirla come Berlù mille miliardi secchi delle care, vecchie lire.
Interessante che il libro sia uscito contemporaneamente alla approvazione da parte del governo del piano triennale che comprende i primi segnali di restaurazione nucleare. Entro la fine dell'anno il governo definirà i criteri di scelta dei siti delle centrali. Non molto per ora, ma abbastanza da agitare i fantasmi della sindrome Nimby, anche perché tra le poche righe dedicate al tema mi sembra di intravedere la possibilità di piazzare gli impianti sui siti esistenti (Trino, Caorso e gli altri non esulteranno).
Altrettanto interessante che Confindustria, attraverso la presidente Marcegaglia, approvi i pruriti nucleari del governo. Gli industriali infatti sostengono ardentemente il primato del mercato, ma in tutto il mondo nessun imprenditore privato ha mai investito nel nucleare, se non con le spalle coperte da robusti sussidi pubblici.
Lo pubblica Baldini Castoldi Dalai, lo hanno scritto Stefano Agnoli e Giancarlo Pireddu e si intitola Il prezzo da pagare - L’Italia e i conflitti del panorama energetico mondiale. Leggendolo il ministro fustigatore di fannulloni troverebbe molti elementi che mettono in dubbio che la “libertà energetica” dell’Italia passi dalla costruzione di tre o quattro costosissime centrali nucleari.
Scajola e gli altri nuclearisti di governo sostengono che le centrali potrebbero essere operative per il 2020. Conoscendo l'Italia è legittimo dubitare che questa scadenza sarebbe rispettata. Di certo per quella data sarà ancora in piena attività il piano di smantellamento e messa in sicurezza delle vecchie centrali, che secondo la Sogin costerà 4.3 miliardi di euro, ovvero più o meno quanto una nuova centrale. La conclusione delle opere di bonifica è prevista non prima di 15 anni e su alcuni impianti è appena cominciata.
Titti dovrebbe ricordare a Brunetta di includere questo esborso tra le voci di bilancio della “libertà energetica”. I tanti soldi necessari a trattare gli impianti e le scorie radioattive li pagano i cittadini nelle bollette elettriche: nel 2008 la previsione di spesa per “smantellamento centrali elettronucleari e chiusura del ciclo del combustibile” è di 520 milioni di Euro. Per dirla come Berlù mille miliardi secchi delle care, vecchie lire.
Interessante che il libro sia uscito contemporaneamente alla approvazione da parte del governo del piano triennale che comprende i primi segnali di restaurazione nucleare. Entro la fine dell'anno il governo definirà i criteri di scelta dei siti delle centrali. Non molto per ora, ma abbastanza da agitare i fantasmi della sindrome Nimby, anche perché tra le poche righe dedicate al tema mi sembra di intravedere la possibilità di piazzare gli impianti sui siti esistenti (Trino, Caorso e gli altri non esulteranno).
Altrettanto interessante che Confindustria, attraverso la presidente Marcegaglia, approvi i pruriti nucleari del governo. Gli industriali infatti sostengono ardentemente il primato del mercato, ma in tutto il mondo nessun imprenditore privato ha mai investito nel nucleare, se non con le spalle coperte da robusti sussidi pubblici.
martedì 17 giugno 2008
lunedì 16 giugno 2008
New cleare/3
Sembra proprio il momento di Renato Brunetta (58), forte del 60% dei consensi che gli assegnano gli ultimi sondaggi e orgoglioso di Titti (foto), con la quale si è presentato mano nella mano al ricevimento in Quirinale e che nell'intervista di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera definisce la sua "fidanzata ufficiale".
Il picco improvviso di popolarità di Brunetta deriva dalla sua invettiva contro i "fannulloni" della pubblica amministrazione. Come ministro della funzione pubblica ha tutti i titoli per occuparsi della questione e mi auguro che la risolva rapidamente.
Brunetta però tracima dalle sue deleghe e vuole dire la sua anche sul tema nucleare, dichiarando che "già dalla prossima settimana il governo potrebbe varare il piano per la nostra libertà energetica".
Libertà energetica? Interessante, ma cosa vuol dire? Quattro centrali nucleari e niente di più. Secondo Brunetta, non smentito dal collega Scajola, il consiglio dei ministri potrebbe esprimersi per un ritorno al nucleare già mercoledì.
Quattro centrali nucleari non risolvono i problemi energetici dell'Italia e contribuirebbero solo in maniera minima al fabbisogno nazionale (vedi i post precedenti sotto la voce Clima e Kyoto). La "libertà energetica" dell'Italia passa attraverso una politica di investimenti strutturali, il coinvolgimento degli industriali e delle altre categorie produttive, una strategia nazionale per la mobilità sostenibile, la diffusione delle energie rinnovabili e il rispetto degli accordi siglati dall'Italia in sede europea. Quattro centrali nucleari, ammesso che si riesca a trovare il posto dove costruirle, costerebbero 30 miiardi di Euro e potrebbero entrare in funzione non prima del 2020. Il loro contributo alla "libertà energetica" nazionale saarebbe inferiore al 10%.
Concludo con una frivolezza, sperando che qualcuno vicino al ministro Brunetta legga questo post e possa ricordargli che la cravatta di un uomo non deve mai scendere oltre la cintura.
Titti, ci pensi tu?
Il picco improvviso di popolarità di Brunetta deriva dalla sua invettiva contro i "fannulloni" della pubblica amministrazione. Come ministro della funzione pubblica ha tutti i titoli per occuparsi della questione e mi auguro che la risolva rapidamente.
Brunetta però tracima dalle sue deleghe e vuole dire la sua anche sul tema nucleare, dichiarando che "già dalla prossima settimana il governo potrebbe varare il piano per la nostra libertà energetica".
Libertà energetica? Interessante, ma cosa vuol dire? Quattro centrali nucleari e niente di più. Secondo Brunetta, non smentito dal collega Scajola, il consiglio dei ministri potrebbe esprimersi per un ritorno al nucleare già mercoledì.
Quattro centrali nucleari non risolvono i problemi energetici dell'Italia e contribuirebbero solo in maniera minima al fabbisogno nazionale (vedi i post precedenti sotto la voce Clima e Kyoto). La "libertà energetica" dell'Italia passa attraverso una politica di investimenti strutturali, il coinvolgimento degli industriali e delle altre categorie produttive, una strategia nazionale per la mobilità sostenibile, la diffusione delle energie rinnovabili e il rispetto degli accordi siglati dall'Italia in sede europea. Quattro centrali nucleari, ammesso che si riesca a trovare il posto dove costruirle, costerebbero 30 miiardi di Euro e potrebbero entrare in funzione non prima del 2020. Il loro contributo alla "libertà energetica" nazionale saarebbe inferiore al 10%.
Concludo con una frivolezza, sperando che qualcuno vicino al ministro Brunetta legga questo post e possa ricordargli che la cravatta di un uomo non deve mai scendere oltre la cintura.
Titti, ci pensi tu?
sabato 14 giugno 2008
Irlanda: Padani festanti, Ronchi frena
Nell'Europa a 27 ci sono quasi 500 milioni di abitanti. In Irlanda gli elettori che giovedì scorso hanno votato contro il trattato europeo sono stati 862.415, mentre a favore si sono espressi 752.451 irlandesi. Ha votato poco più della metà degli aventi diritto. L'Irlanda, enclave cattolica dell'arcipelago britannico, è l'unica nazione europea dove non ci sono serpenti, forse per merito di San Patrizio. Un paese marginale per l'Unione, ma che negli anni passati ha goduto di grandi risorse comunitarie (nel periodo 2000-2006 era nel cosiddetto "Obiettivo 1", come il meridione d'Italia, la Spagna, il Portogallo e la Grecia). Gli investimenti europei hanno portato a Dublino occupazione e benessere, una crescita record e il sogno di diventare la Silicon Valley d'Europa, con nuovi insediamenti delle grandi multinazionali ICT. Poi la recessione economica e il ritorno a una realtà dura, con prospettive poco allettanti.
Le conseguenze politiche del voto irlandese sono ancora tutte da valutare, perché Bruxelles non aveva nemmeno preso in considerazione un esito così infausto. Lucio Caracciolo di Limes descrive con la consueta lucidità lo scenario che si sta prefigurando e sintetizza che "non è la vittoria degli euroscettici ma degli euroannoiati".
In Italia siamo alle solite, con il governo diviso in almeno tre posizioni diverse. Il presidente Napolitano diffonde una nota insolitamente dura, in cui invita a "lasciare fuori dall'Unione chi ostacola il suo processo di integrazione". Gianfranco Fini afferma che "senza i principi e le regole di funzionamento del Trattato di Lisbona, l'Unione Europea è di fatto ingovernabile e paralizzata". Berlù si dice "preoccupato". Casini e Veltrone costernati.
Gli statisti della Lega Nord, con in testa i ministri Calderoli e Castelli, esultano e fanno i complimenti alla "celtica e verde Irlanda".
Il IV governo Berlusconi aveva approvato all'unanimità il trattato di Lisbona lo scorso 30 maggio. Il ministro degli esteri Frattini, fino a pochi mesi fa commissario europeo, aveva voluto ribadire che "sul tema non ci sono divisioni all'interno del governo".Il ministro per le politiche comunitarie Ronchi aveva espresso la sua "grande soddisfazione". Ma ieri Ronchi è diventato improvvisamente scettico. Nella nota ufficiale diramata dal suo ministero
dichiara che "non è stata sconfitta l’Europa ma una certa idea fredda e burocratica dell’Europa". Parole simili alle affermazioni leghiste di Castelli che si rallegra che "sono stati sconfitti i burocrati europei". Contento della bocciatura del trattato di Lisbona anche Gennaro Migliore, ex promessa di Rifondazione Comunista.
Ma il ministro Ronchi, fedelissimo di Fini e già organico portavoce di Alleanza Nazionale, dove ha nascosto la sua "grande soddisfazione" di quindici giorni fa? Dimenticata, si direbbe. Almeno leggendo l'intervista pubblicata oggi da Il Giornale, l'organo di stampa della famiglia Berlusconi.
Le conseguenze politiche del voto irlandese sono ancora tutte da valutare, perché Bruxelles non aveva nemmeno preso in considerazione un esito così infausto. Lucio Caracciolo di Limes descrive con la consueta lucidità lo scenario che si sta prefigurando e sintetizza che "non è la vittoria degli euroscettici ma degli euroannoiati".
In Italia siamo alle solite, con il governo diviso in almeno tre posizioni diverse. Il presidente Napolitano diffonde una nota insolitamente dura, in cui invita a "lasciare fuori dall'Unione chi ostacola il suo processo di integrazione". Gianfranco Fini afferma che "senza i principi e le regole di funzionamento del Trattato di Lisbona, l'Unione Europea è di fatto ingovernabile e paralizzata". Berlù si dice "preoccupato". Casini e Veltrone costernati.
Gli statisti della Lega Nord, con in testa i ministri Calderoli e Castelli, esultano e fanno i complimenti alla "celtica e verde Irlanda".
Il IV governo Berlusconi aveva approvato all'unanimità il trattato di Lisbona lo scorso 30 maggio. Il ministro degli esteri Frattini, fino a pochi mesi fa commissario europeo, aveva voluto ribadire che "sul tema non ci sono divisioni all'interno del governo".Il ministro per le politiche comunitarie Ronchi aveva espresso la sua "grande soddisfazione". Ma ieri Ronchi è diventato improvvisamente scettico. Nella nota ufficiale diramata dal suo ministero
dichiara che "non è stata sconfitta l’Europa ma una certa idea fredda e burocratica dell’Europa". Parole simili alle affermazioni leghiste di Castelli che si rallegra che "sono stati sconfitti i burocrati europei". Contento della bocciatura del trattato di Lisbona anche Gennaro Migliore, ex promessa di Rifondazione Comunista.
Ma il ministro Ronchi, fedelissimo di Fini e già organico portavoce di Alleanza Nazionale, dove ha nascosto la sua "grande soddisfazione" di quindici giorni fa? Dimenticata, si direbbe. Almeno leggendo l'intervista pubblicata oggi da Il Giornale, l'organo di stampa della famiglia Berlusconi.
venerdì 13 giugno 2008
Europa di genere
L'agenzia Eurostat ha pubblicato la seconda edizione di La vita delle donne e degli uomini in Europa, una ricerca realizzata in collaborazione con la DG Occupazione, Affari Sociali e Pari Opportunità presieduta dal ceco Vladimir Spidla.
Il volume descrive la vita delle donne e degli uomini d'Europa nei diversi stadi di età, dagli anni dell'educazione a quelli della vecchiaia. Sono analizzati il livello di educazione, gli stili di vita, la salute e il reddito degli abitanti dei 27 paesi UE più Croazia, Turchia, Islanda, Norvegia e Svizzera. In tutto 250 pagine piene di dati e tabelle molto interessanti e aggiornate (scaricabili in francese, tedesco o inglese a questo link).
Si scopre ad esempio che le donne sono il 70% degli insegnanti della scuola primaria e secondaria, mentre in quella terziaria gli uomini sono in maggioranza, oltre il 60%. Oppure che in Lituania l'età media delle donne al matrimonio è di 25 anni, mentre in Svezia è di 31. Un quarto del Parlamento Europeo è composto da donne con il dato più alto in Svezia (47%) e il più basso a Malta, appena il 9%. L'Italia va maluccio, con appena il 17% di donne parlamentari europee.
Interessante il dato dei "bamboccioni", ovvero dei giovani tra i 25 e 29 anni che vivono ancora con i genitori: l'Italia è seconda dopo Malta, con il 53% delle femmine e addirittura il 71% dei maschi che si fanno ancora preparare il caffelatte da mammà (in Danimarca i maschi mammoni sono solo il 5%, il 16 in Finlandia, il 20 in Olanda, il 23 in Francia, il 24 in UK e il 25 per cento in Germania).
Il volume descrive la vita delle donne e degli uomini d'Europa nei diversi stadi di età, dagli anni dell'educazione a quelli della vecchiaia. Sono analizzati il livello di educazione, gli stili di vita, la salute e il reddito degli abitanti dei 27 paesi UE più Croazia, Turchia, Islanda, Norvegia e Svizzera. In tutto 250 pagine piene di dati e tabelle molto interessanti e aggiornate (scaricabili in francese, tedesco o inglese a questo link).
Si scopre ad esempio che le donne sono il 70% degli insegnanti della scuola primaria e secondaria, mentre in quella terziaria gli uomini sono in maggioranza, oltre il 60%. Oppure che in Lituania l'età media delle donne al matrimonio è di 25 anni, mentre in Svezia è di 31. Un quarto del Parlamento Europeo è composto da donne con il dato più alto in Svezia (47%) e il più basso a Malta, appena il 9%. L'Italia va maluccio, con appena il 17% di donne parlamentari europee.
Interessante il dato dei "bamboccioni", ovvero dei giovani tra i 25 e 29 anni che vivono ancora con i genitori: l'Italia è seconda dopo Malta, con il 53% delle femmine e addirittura il 71% dei maschi che si fanno ancora preparare il caffelatte da mammà (in Danimarca i maschi mammoni sono solo il 5%, il 16 in Finlandia, il 20 in Olanda, il 23 in Francia, il 24 in UK e il 25 per cento in Germania).
giovedì 12 giugno 2008
Il governo rottama l'APAT
Sorprendendo tutti il governo ha proposto un emendamento al testo del decreto legge misure straordinarie alla soluzione dell'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania che rivoluziona il sistema delle agenzie ambientali. APAT, INFS (Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica) e ICRAM (Istituto per la Ricerca sull'Ambiente Marino) saranno accorpate in una nuova unica struttura chiamata IRPA (Istituto per la Ricerca e la Protezione Ambientale). Molti hanno criticato il provvedimento nella sostanza e nella forma, giudicando inopportuno inserire questa ristrutturazione nel testo di un decreto legge che nasceva con motivazioni specifiche. il Ministro Prestigiacomo ha replicato che "l'accorpamento di tre enti vigilati dal ministero, di cui uno commissariato, in un unico ente (con un unico Cda) risponde all'esigenza di riduzione dei componenti dei consigli d'amministrazione, con il conseguimento anche di risparmi in termini di spesa''.
Sarà Angelo Alessandri, presidente leghista della Commissione Ambiente della Camera, a doversi esprimere in merito alla legittimità dell'emendamento. Se questo verrà approvato occorrerà attendere la conversione il legge del decreto. A quel punto dopo 30 giorni dall’entrata in vigore della legge sarà nominato un commissario e conseguentemente verranno dichiarati decaduti i cda che attualmente governano i tre enti interessati dal provvedimento.
Sarà Angelo Alessandri, presidente leghista della Commissione Ambiente della Camera, a doversi esprimere in merito alla legittimità dell'emendamento. Se questo verrà approvato occorrerà attendere la conversione il legge del decreto. A quel punto dopo 30 giorni dall’entrata in vigore della legge sarà nominato un commissario e conseguentemente verranno dichiarati decaduti i cda che attualmente governano i tre enti interessati dal provvedimento.
Torsioni resistibili
Lo skykine di Chicago sarà presto dominato da un nuovo grattacielo di Santiago Calatrava che dopo il Turning Torso realizzato a Malmo, Svezia, continua a progettare spirali falliche.
Turning Torso, inaugurato nel 2005, è alto 194 metri per 54 piani. La sua torsione totale, da terra all'ultimo piano, è di novanta gradi.
Il progetto di Chicago, che si chiama Chicago Spire, sarà alto oltre 600 metri e ha una torsione completa (360°). Ognuno dei 150 piani si sposta di 2.44 gradi rispetto al precedente. La destinazione d'uso prevalente è quella residenziale, con 1194 appartamenti. "Quello che differenzia questo edificio - dice il progettista - è che non è stato progettato per una compagnia o un gruppo di aziende, ma per degli individui".
I criteri di costruzione sono basati sulla sostenibilità e l'edificio sarà certificato LEED (Leadership in Energy and Environmental Design). Calatrava per il suo progetto evoca ispirazioni zoomorfe (soliti riferimenti alle conchiglie, niente di nuovo).
Il cantiere è già aperto e la fine dei lavori è prevista per il 2011.
Di Calatrava apprezzo la tecnica ingegneristica, ma le sue architetture non suscitano emozioni. Diventato famoso per la struttura dei suoi ponti (l'ultimo è quello tra Piazzale Roma e Santa Lucia a Venezia), ha trovato negli ultimi anni uno spazio nello star system dell'architettura, dove non lascia per ora tracce memorabili, a parte la dimensione dei piselloni ritorti.
Turning Torso, inaugurato nel 2005, è alto 194 metri per 54 piani. La sua torsione totale, da terra all'ultimo piano, è di novanta gradi.
Il progetto di Chicago, che si chiama Chicago Spire, sarà alto oltre 600 metri e ha una torsione completa (360°). Ognuno dei 150 piani si sposta di 2.44 gradi rispetto al precedente. La destinazione d'uso prevalente è quella residenziale, con 1194 appartamenti. "Quello che differenzia questo edificio - dice il progettista - è che non è stato progettato per una compagnia o un gruppo di aziende, ma per degli individui".
I criteri di costruzione sono basati sulla sostenibilità e l'edificio sarà certificato LEED (Leadership in Energy and Environmental Design). Calatrava per il suo progetto evoca ispirazioni zoomorfe (soliti riferimenti alle conchiglie, niente di nuovo).
Il cantiere è già aperto e la fine dei lavori è prevista per il 2011.
Di Calatrava apprezzo la tecnica ingegneristica, ma le sue architetture non suscitano emozioni. Diventato famoso per la struttura dei suoi ponti (l'ultimo è quello tra Piazzale Roma e Santa Lucia a Venezia), ha trovato negli ultimi anni uno spazio nello star system dell'architettura, dove non lascia per ora tracce memorabili, a parte la dimensione dei piselloni ritorti.
mercoledì 11 giugno 2008
martedì 10 giugno 2008
Il carbonio costa troppo poco
L'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA) chiarisce alcuni elementi essenziali attorno ai quali si gioca il futuro della terra. L'occasione è la pubblicazione di un rapporto commissionato a suo tempo dal G-8 nel suo 31° meeting, quando nel luglio 2005 i potenti del mondo erano riuniti a Gleneagles, in Scozia (commento a latere: guardando la foto ricordo del vertice si nota che oggi i leader di allora sono tutti in pensione, tranne Bush che ci andrà tra sei mesi e naturalmente l'eterno Berlù).
L'IEA non è un'organizzazione ecologista, e infatti ci tiene a mettere in dubbio che le riserve di petrolio siano in diminuzione, come molti sostengono. Secondo l'agenzia, se non saranno perseguite con determinazione nuove fonti alternative di energia, il consumo planetario di greggio passerà dagli 87 milioni di barili odierni ai 135 milioni del 2050. Di questi però solo 92 milioni verrebbero dai pozzi convenzionali, mentre il resto sarebbe ricavato dalle sabbie bituminose, dal petrolio dell'Artico, dal gas liquido e in piccola parte dai biocarburanti.
Se invece si punterà con decisione sull'efficienza e il risparmio, pur senza radicali innovazioni, il consumo di petrolio e le conseguenti emissioni nocive potrebbero raggiungere un picco massimo attorno al 2020-2030, per poi ritornare ai livelli attuali nel 2050. L'IEA calcola che questo obiettivo potrebbe essere raggiunto con un costo delle emissioni attorno ai 50$ o 32€ alla tonnellata, non molto lontano dalla quotazione attuale di 43$ o 22€.
L'obiettivo su cui il mondo ha puntato, confermandolo alla COP 13 di Bali, è in realtà molto più ambizioso e mira a dimezzare le emissioni attuali entro il 2050. Secondo Nobuo Tanaka, direttore dell'IEA, l'unico modo di arrivarci è una "rivoluzione tecnologica che trasformi completamente il nostro modo di produrre e utilizzare l'energia". Gli interventi indicati come necessari includono ogni anno la costruzione di 17.500 turbine eoliche e di 32 centrali nucleari e la trasformazione di 35 centrali a carbone con sistemi di cattura e stoccaggio di CO2. Inoltre entro il 2050 dovrebbero circolare sulle strade del pianeta un miliardo di auto elettriche o a pile di combustibile.
Per rendere questi veicoli competitivi sul mercato la soluzione di Tanaka è una sola: aumentare molto il costo delle emissioni, portandolo almeno a 200$ la tonnellata, più o meno 130 Euro. Questa previsione viene ritenuta sufficiente se nei prossimi anni si otterranno progressi tecnologici in grado di abbassare i costi industriali delle energie alternative. Se così non fosse per immettere i nuovi veicoli "puliti" sul mercato in condizioni concorrenziali di mercato il costo delle emissioni dovrebbe raggiungere la notevole cifra di 500$ o 322€ a tonnellata.
Secondo l'International Energy Agency dimezzare le emissioni entro il 2050 comporta investimenti di 45.000 miliardi di dollari per ognuno dei prossimi 40 anni, pari al 1,1% del PIL globale. Il 60% di questi soldi dovrebbero essere destinati ad investimenti nei paesi in via di sviluppo. E qui si spiega la riluttanza della Cina e dell'India a sottoscrivere i patti globali di riduzione delle emissioni.
La strada per Copenhagen e il nuovo protocollo sul clima è ancora molto lunga.
L'IEA non è un'organizzazione ecologista, e infatti ci tiene a mettere in dubbio che le riserve di petrolio siano in diminuzione, come molti sostengono. Secondo l'agenzia, se non saranno perseguite con determinazione nuove fonti alternative di energia, il consumo planetario di greggio passerà dagli 87 milioni di barili odierni ai 135 milioni del 2050. Di questi però solo 92 milioni verrebbero dai pozzi convenzionali, mentre il resto sarebbe ricavato dalle sabbie bituminose, dal petrolio dell'Artico, dal gas liquido e in piccola parte dai biocarburanti.
Se invece si punterà con decisione sull'efficienza e il risparmio, pur senza radicali innovazioni, il consumo di petrolio e le conseguenti emissioni nocive potrebbero raggiungere un picco massimo attorno al 2020-2030, per poi ritornare ai livelli attuali nel 2050. L'IEA calcola che questo obiettivo potrebbe essere raggiunto con un costo delle emissioni attorno ai 50$ o 32€ alla tonnellata, non molto lontano dalla quotazione attuale di 43$ o 22€.
L'obiettivo su cui il mondo ha puntato, confermandolo alla COP 13 di Bali, è in realtà molto più ambizioso e mira a dimezzare le emissioni attuali entro il 2050. Secondo Nobuo Tanaka, direttore dell'IEA, l'unico modo di arrivarci è una "rivoluzione tecnologica che trasformi completamente il nostro modo di produrre e utilizzare l'energia". Gli interventi indicati come necessari includono ogni anno la costruzione di 17.500 turbine eoliche e di 32 centrali nucleari e la trasformazione di 35 centrali a carbone con sistemi di cattura e stoccaggio di CO2. Inoltre entro il 2050 dovrebbero circolare sulle strade del pianeta un miliardo di auto elettriche o a pile di combustibile.
Per rendere questi veicoli competitivi sul mercato la soluzione di Tanaka è una sola: aumentare molto il costo delle emissioni, portandolo almeno a 200$ la tonnellata, più o meno 130 Euro. Questa previsione viene ritenuta sufficiente se nei prossimi anni si otterranno progressi tecnologici in grado di abbassare i costi industriali delle energie alternative. Se così non fosse per immettere i nuovi veicoli "puliti" sul mercato in condizioni concorrenziali di mercato il costo delle emissioni dovrebbe raggiungere la notevole cifra di 500$ o 322€ a tonnellata.
Secondo l'International Energy Agency dimezzare le emissioni entro il 2050 comporta investimenti di 45.000 miliardi di dollari per ognuno dei prossimi 40 anni, pari al 1,1% del PIL globale. Il 60% di questi soldi dovrebbero essere destinati ad investimenti nei paesi in via di sviluppo. E qui si spiega la riluttanza della Cina e dell'India a sottoscrivere i patti globali di riduzione delle emissioni.
La strada per Copenhagen e il nuovo protocollo sul clima è ancora molto lunga.
domenica 8 giugno 2008
Sotto il ponte di Barack
Sotto il ponte di Barack c'è Hillary Rodham Clinton, che ha radunato a Washington i sostenitori per il suo ultimo atto da candidata alla presidenza degli Stati Uniti. Ha ringraziato lo staff, i finanziatori e gli elettori e poi ha dichiarato il suo appoggio incondizionato alla candidatura di Barack Obama.
Per gli agiografi ecco la trascrizione completa del discorso pronunciato da Hillary, che ha chiamato sul palco Bill, Chelsea e la anziana madre.
Secondo un sondaggio della CNN il 54% degli elettori democratici gradirebbe un cartello Obama/Clinton per la presidenza, mentre il 43% si pronuncia nettamente contro. La maggioranza dei favorevoli deriva ancora una volta dall'elettorato femminile, che per il 60% vede di buon occhio Billary come vice di Barack. Tra i maschi invece prevalgono le opinioni negative.
Nel frattempo l'economia USA continua a dare segnali preoccupanti, con il tasso di disoccupazione che cresce dello 0.5% in un mese per assestarsi al 5.5%, il dato più alto dall'ottobre 2004. Per vedere l'indice crescere di mezzo punto in soli 30 giorni bisogna andare indietro fino al febbraio 1986.
Per gli agiografi ecco la trascrizione completa del discorso pronunciato da Hillary, che ha chiamato sul palco Bill, Chelsea e la anziana madre.
Secondo un sondaggio della CNN il 54% degli elettori democratici gradirebbe un cartello Obama/Clinton per la presidenza, mentre il 43% si pronuncia nettamente contro. La maggioranza dei favorevoli deriva ancora una volta dall'elettorato femminile, che per il 60% vede di buon occhio Billary come vice di Barack. Tra i maschi invece prevalgono le opinioni negative.
Nel frattempo l'economia USA continua a dare segnali preoccupanti, con il tasso di disoccupazione che cresce dello 0.5% in un mese per assestarsi al 5.5%, il dato più alto dall'ottobre 2004. Per vedere l'indice crescere di mezzo punto in soli 30 giorni bisogna andare indietro fino al febbraio 1986.
sabato 7 giugno 2008
Le Agende 21 a Rimini
Tra ieri e oggi si è svolta a Rimini la nona assemblea delle Agende 21 Locali Italiane. L'evento è andato molto bene, anche se non dovrebbe essere il presidente a dirlo. Più di 250 presenze nei gruppi di lavoro riuniti ieri mattina, a testimonianza di una associazione vivace e in costante crescita. Il tutto nella cornice felliniana e blasè del Grand Hotel, grazie alla sontuosa ospitalità della Provincia di Rimini e particolarmente del mio amico assessore Cesarino Romani.
Tra le cose più interessanti cito la presentazione di un sistema di calcolo delle emissioni di CO2 prodotte dagli enti locali, elaborato dal gruppo di lavoro Agende 21 per Kyoto. Ogni città e territorio potrà verificare il proprio contributo al riscaldamento globale e utilizzare questi dati per intraprendere le azioni necessarie a ridurre la produzione di gas serra.
Al convegno finale di stamattina era annunciata Stefania Prestigiacomo, che ha dato forfait due giorni fa. Si è invece materializzato il suo predecessore Alfonso Pecoraro Scanio, che da ministro aveva sostenuto con convinzione l'attività delle Agende 21 locali.
In questo giugno piovoso la Rimini intravista nelle pause dei lavori sembrava ancora abbastanza in disarmo, con pochi turisti in giro a parte i soliti russi.
Tra le cose più interessanti cito la presentazione di un sistema di calcolo delle emissioni di CO2 prodotte dagli enti locali, elaborato dal gruppo di lavoro Agende 21 per Kyoto. Ogni città e territorio potrà verificare il proprio contributo al riscaldamento globale e utilizzare questi dati per intraprendere le azioni necessarie a ridurre la produzione di gas serra.
Al convegno finale di stamattina era annunciata Stefania Prestigiacomo, che ha dato forfait due giorni fa. Si è invece materializzato il suo predecessore Alfonso Pecoraro Scanio, che da ministro aveva sostenuto con convinzione l'attività delle Agende 21 locali.
In questo giugno piovoso la Rimini intravista nelle pause dei lavori sembrava ancora abbastanza in disarmo, con pochi turisti in giro a parte i soliti russi.
giovedì 5 giugno 2008
Parla come mangi
Negli ultimi tre anni i beni alimentari sono aumentati dell'83% e secondo gli esperti i prezzi saliranno ancora fino al 2015. Rispetto al 2007 il grano è cresciuto del 130%, la soia del 83%, il riso del 73% e il granturco del 31%. L'indice globale dei prezzi alimentari ha avuto solo nell'ultimo anno il 47% di incremento. In occidente fa più notizia l'aumento del petrolio, ma nei paesi più poveri il problema è trovare qualcosa da mettere in tavola e la spesa per il cibo impegna il 70% del reddito.
In questo scenario si sta svolgendo a Roma il vertice FAO su Cambiamenti climatici, Energia e Alimentazione. Le cronache occidentali hanno descritto e commentato le presenze ingombranti di Ahmanidejad e Mugabe, lasciando spazi marginali ai contenuti della conferenza. Molti paesi in via di sviluppo avevano messo in discussione lo stesso ruolo della FAO, agenzia delle Nazioni Unite giudicata incapace di affrontare l'emergenza mondiale dell'alimentazione.
Da Roma sta arrivando qualche segnale di cambiamento, percepibile dall'intervento del segretario generale ONU Ban Ki-moon, dalle dichiarazioni di molti premier tra cui il presidente Napolitano, dall'appello dello stesso direttore generale della FAO Jacques Diouf.
Il ministro degli esteri Franco Frattini si è preoccupato di difendere la FAO e il polo agroalimentare dell'ONU, che ha il suo quartier generale a Roma. Frattini ha anche auspicato il raggiungimento di un accordo globale sulle azioni di mitigazione dei cambiamenti climatici entro il 2009, anche se pochi giorni fa il ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo aveva espresso i suoi dubbi sulla capacità del nostro paese di rispettare gli obiettivi europei sul clima. Gli accordi del Consiglio Europeo sono le premesse per il nuovo protocollo post-Kyoto, che dovrebbe essere approvato nella COP-15 di Copenhagen 2009.
Il ministro degli esteri italiano ha chiesto anche il superamento di ''posizioni ideologiche contro i biocarburanti e gli OGM'', sottolineando il suo apprezzamento per la posizione espressa dal presidente brasiliano Lula.
Molti osservatori hanno sottolineato come il drammatico aumento dei prezzi alimentari abbia posto in secondo piano il problema dei cambiamenti climatici, che a medio termine potrebbe diventare la vera emergenza per la produzione agricola globale.
In questo scenario si sta svolgendo a Roma il vertice FAO su Cambiamenti climatici, Energia e Alimentazione. Le cronache occidentali hanno descritto e commentato le presenze ingombranti di Ahmanidejad e Mugabe, lasciando spazi marginali ai contenuti della conferenza. Molti paesi in via di sviluppo avevano messo in discussione lo stesso ruolo della FAO, agenzia delle Nazioni Unite giudicata incapace di affrontare l'emergenza mondiale dell'alimentazione.
Da Roma sta arrivando qualche segnale di cambiamento, percepibile dall'intervento del segretario generale ONU Ban Ki-moon, dalle dichiarazioni di molti premier tra cui il presidente Napolitano, dall'appello dello stesso direttore generale della FAO Jacques Diouf.
Il ministro degli esteri Franco Frattini si è preoccupato di difendere la FAO e il polo agroalimentare dell'ONU, che ha il suo quartier generale a Roma. Frattini ha anche auspicato il raggiungimento di un accordo globale sulle azioni di mitigazione dei cambiamenti climatici entro il 2009, anche se pochi giorni fa il ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo aveva espresso i suoi dubbi sulla capacità del nostro paese di rispettare gli obiettivi europei sul clima. Gli accordi del Consiglio Europeo sono le premesse per il nuovo protocollo post-Kyoto, che dovrebbe essere approvato nella COP-15 di Copenhagen 2009.
Il ministro degli esteri italiano ha chiesto anche il superamento di ''posizioni ideologiche contro i biocarburanti e gli OGM'', sottolineando il suo apprezzamento per la posizione espressa dal presidente brasiliano Lula.
Molti osservatori hanno sottolineato come il drammatico aumento dei prezzi alimentari abbia posto in secondo piano il problema dei cambiamenti climatici, che a medio termine potrebbe diventare la vera emergenza per la produzione agricola globale.
martedì 3 giugno 2008
L'ultima notte
Mezzanotte tra martedì e mercoledì in Italia, seggi ancora aperti in USA per le ultime due primarie democratiche di Montana e South Dakota, stati del west scarsamente popolati e a grande maggioranza bianca. Il Montana, con Wyoming e Idaho, ospita il grande parco Yellowstone, famoso da noi come residenza dell'orso Yoghi ma anche per essere la più grande riserva naturale del Nord America. In South Dakota, terra di pellirossa, c'è il monte Rushmore, il monumento più kitsch mai realizzato: un intero costone di montagna con scolpiti i volti dei quattro padri della nazione.
Mentre i seggi sono ancora aperti Barack Obama, a Minneapolis, sta ripassando il discorso che pronuncerà stanotte dopo i risultati e dopo che i superdelegati ancora incerti gli avranno garantito il loro appoggio e quindi il superamento della quota di 2118, quorum necessario per la nomination. Solo oggi decine di superdelegati hanno dichiarato il loro appoggio ad Obama, tra i quali spicca Jimmy Carter, ex presidente e tra i padri storici del Partito Democratico. Secondo Real Clear Politics Obama ha già 2100 delegati, il sito di Obama sta facendo un countdown in diretta e dichiara -10 al traguardo. Non fa una grande differenza, i pochi che mancano arriveranno in nottata, prima che Barack salga sul palco e cominci la sua campagna per la presidenza degli Stati Uniti.
Bo Diddley, 1928-2008
Ellas Otha Bates, in arte Bo Diddley, è morto ieri nella sua casa di Archer, Florida a causa di un attacco cardiaco. Poco conosciuto in Italia, Bo Diddley è considerato uno dei progenitori del rock 'n' roll assieme a Chuck Berry, Jerry Lee Lewis e Little Richard.
Inventore di una ritmica che ha fatto scuola (tre colpi, pausa, due colpi) Bo Diddley non ha mai avuto successo commerciale come gli altri padri del rock. "Ho aperto la porta a un sacco di gente, ma mi hanno lasciato con la maniglia in mano" diceva.
Il suo genio musicale è stato venerato da moltissimi artisti, a cominciare da Rolling Stones e Beatles. Fu uno dei primi a muoversi come un ossesso sul palco e si dice che Elvis Presley e anche Jimi Hendrix si siano ispirati a lui (guarda il video di Roadrunner, 1960). Aveva anche disegnato la chitarra che diventò il suo marchio di fabbrica, una scatola rettangolare con il manico che all'inizio si costruì da solo e poi fece produrre dalla Gretsch con il nome di Big B (è ancora in catalogo).
Sposato e separato quattro volte, Bo Diddley non aveva mai digerito il fatto che gli altri inventori del rock fossero diventati molto più ricchi di lui. "Ai musicisti dico: non ti fidare di nessuno a parte tua madre - disse in un'intervista del 2005 a Rolling Stone - e anche nel suo caso, controllala molto attentamente".
Inventore di una ritmica che ha fatto scuola (tre colpi, pausa, due colpi) Bo Diddley non ha mai avuto successo commerciale come gli altri padri del rock. "Ho aperto la porta a un sacco di gente, ma mi hanno lasciato con la maniglia in mano" diceva.
Il suo genio musicale è stato venerato da moltissimi artisti, a cominciare da Rolling Stones e Beatles. Fu uno dei primi a muoversi come un ossesso sul palco e si dice che Elvis Presley e anche Jimi Hendrix si siano ispirati a lui (guarda il video di Roadrunner, 1960). Aveva anche disegnato la chitarra che diventò il suo marchio di fabbrica, una scatola rettangolare con il manico che all'inizio si costruì da solo e poi fece produrre dalla Gretsch con il nome di Big B (è ancora in catalogo).
Sposato e separato quattro volte, Bo Diddley non aveva mai digerito il fatto che gli altri inventori del rock fossero diventati molto più ricchi di lui. "Ai musicisti dico: non ti fidare di nessuno a parte tua madre - disse in un'intervista del 2005 a Rolling Stone - e anche nel suo caso, controllala molto attentamente".
lunedì 2 giugno 2008
Vento di mare
La compagnia norvegese StatoilHydro ha annunciato l'avvio della sperimentazione di un programma di generatori eolici offshore galleggianti. Da tempo i tecnici hanno puntato su impianti eolici in mare aperto, dove i venti sono più costanti e potenti che in terraferma. Finora però gli impianti marini sono stati costruiti in bassi fondali ancorandoli con dei basamenti al fondo marino. Il programma di StatoilHydro utilizza dei generatori Siemens alti 65 metri con un diametro dei rotori di 82 metri che permettono alla turbina di produrre 2.3 Mw. L'impianto è inserito in una boa sottomarina alta cento metri, che viene fissata al fondo marino con tre ancore (immagine sotto). Il sistema funziona su fondali da 120 a 700 metri e il primo impianto sarà posizionato 10 Km al largo di Karmøy, in Norvegia. La sperimentazione dovrà verificare gli elementi critici del progetto quali la resistenza al mare in burrasca, i problemi di manutenzione e il trasferimento in terraferma dell'energia prodotta tramite cavi sottomarini.
Impianti eolici lontani dalle coste non risentono della sindrome NIMBY e potrebbero essere tollerati anche da Vittorio Emiliani, il capoclasse ministro Tremonti, Carlo Ripa di Meana e consorte, l'insonne Vittorio Sgarbi e altri soloni assortiti.
Impianti eolici lontani dalle coste non risentono della sindrome NIMBY e potrebbero essere tollerati anche da Vittorio Emiliani, il capoclasse ministro Tremonti, Carlo Ripa di Meana e consorte, l'insonne Vittorio Sgarbi e altri soloni assortiti.
domenica 1 giugno 2008
Rialzata l'asticella vince sempre lui
La Commissione del Partito Democratico insediata per risolvere la spinosa questione delle primarie in Michigan e Florida ha preso la sua decisione, decretando il reintegro dei delegati ma dimezzando il loro valore.
Il caso era molto complesso e cerco di riassumerlo perché credo meriti di essere analizzato bene e magari paragonato a quanto accade da noi. Florida e Michigan avevano deciso di anticipare le primarie senza concordare la data con la direzione del Partito Democratico, che di conseguenza le aveva dichiarate nulle. I candidati avevano accettato la decisione ma con comportamenti diversi: Billary ha comunque partecipato attivamente, mentre Obama non ha fatto campagna elettorale in Florida e non ha nemmeno fatto scrivere il suo nome sulle schede in Michigan. La Clinton ha vinto largamente ambedue gli stati (ma in Michigan, senza il nome di Obama, si è contato il 40% di schede bianche).
Quando le cose hanno preso una brutta piega Billary ha cominciato ad agitare la questione, contando sui delegati esclusi per ridurre le distanze da Obama. La mossa era palesemente scorretta perché, come hanno ripetuto a lungo Obama e suoi, non si cambiano le regole a metà gara. Tuttavia il Partito Democratico stava già riconsiderando la questione, temendo che l'esclusione di Florida e Michigan avrebbe portato i due grandi stati nelle braccia di McCain e dei Repubblicani. I delegati non potevano essere contati come avrebbe voluto Billary, per ovvie ragioni. Così la scelta fatta ieri è stata quella di dimezzare il loro peso e di assegnare a Obama un "congruo" numero di eletti in Michigan (59 contro i 69 della Clinton).
Alla fine anche questa ultima carta non ha portato benefici concreti a Billary, che guadagna in tutto 24 delegati ma resta dietro di 176 rispetto a Barack. Con i nuovi conteggi i delegati eletti sono diventati 3409,5 e Obama ne ha già la maggioranza assoluta, avendone conquistati 1723,5. Contando i superdelegati Obama ha bisogno di 65 voti per raggiungere la nomination a quota 2117. Alla Clinton ne servono addirittura 240,5, ma in totale i delegati rimasti in palio sono solo 291. Quindi, sempre di più, Obama ha vinto.
Con la mossa di ieri il Partito Democratico si riconcilia con l'elettorato di Florida e Michigan e rende giustizia ai delegati espressi dai due stati, che potranno tutti partecipare alla convention di Denver del 25 agosto, anche se con solo mezzo voto a testa. Hillary Rodham Clinton a questo punto non ha più storie e rivendicazioni da accampare, il partito ha fatto per lei tutto quello che poteva (la commissione che ha deciso ieri era composta in maggioranza da suoi sostenitori).
Lo staff di Obama conta di guadagnare 38-40 delegati degli 88 in palio nelle ultime tre primarie di Porto Rico (oggi) Montana e South Dakota (martedì). Ed è convinto che per martedì sera almeno una trentina dei 190 superdelegati che sono ancora neutrali avranno dichiarato il loro appoggio a Barack.
Tutto è pronto per il discorso di investitura a candidato presidente, che Barack Obama presenterà martedì notte in un luogo simbolico: il centro congressi di St. Paul, Minnesota, dove il 1 settembre si aprirà la convention del Partito Repubblicano.
Il caso era molto complesso e cerco di riassumerlo perché credo meriti di essere analizzato bene e magari paragonato a quanto accade da noi. Florida e Michigan avevano deciso di anticipare le primarie senza concordare la data con la direzione del Partito Democratico, che di conseguenza le aveva dichiarate nulle. I candidati avevano accettato la decisione ma con comportamenti diversi: Billary ha comunque partecipato attivamente, mentre Obama non ha fatto campagna elettorale in Florida e non ha nemmeno fatto scrivere il suo nome sulle schede in Michigan. La Clinton ha vinto largamente ambedue gli stati (ma in Michigan, senza il nome di Obama, si è contato il 40% di schede bianche).
Quando le cose hanno preso una brutta piega Billary ha cominciato ad agitare la questione, contando sui delegati esclusi per ridurre le distanze da Obama. La mossa era palesemente scorretta perché, come hanno ripetuto a lungo Obama e suoi, non si cambiano le regole a metà gara. Tuttavia il Partito Democratico stava già riconsiderando la questione, temendo che l'esclusione di Florida e Michigan avrebbe portato i due grandi stati nelle braccia di McCain e dei Repubblicani. I delegati non potevano essere contati come avrebbe voluto Billary, per ovvie ragioni. Così la scelta fatta ieri è stata quella di dimezzare il loro peso e di assegnare a Obama un "congruo" numero di eletti in Michigan (59 contro i 69 della Clinton).
Alla fine anche questa ultima carta non ha portato benefici concreti a Billary, che guadagna in tutto 24 delegati ma resta dietro di 176 rispetto a Barack. Con i nuovi conteggi i delegati eletti sono diventati 3409,5 e Obama ne ha già la maggioranza assoluta, avendone conquistati 1723,5. Contando i superdelegati Obama ha bisogno di 65 voti per raggiungere la nomination a quota 2117. Alla Clinton ne servono addirittura 240,5, ma in totale i delegati rimasti in palio sono solo 291. Quindi, sempre di più, Obama ha vinto.
Con la mossa di ieri il Partito Democratico si riconcilia con l'elettorato di Florida e Michigan e rende giustizia ai delegati espressi dai due stati, che potranno tutti partecipare alla convention di Denver del 25 agosto, anche se con solo mezzo voto a testa. Hillary Rodham Clinton a questo punto non ha più storie e rivendicazioni da accampare, il partito ha fatto per lei tutto quello che poteva (la commissione che ha deciso ieri era composta in maggioranza da suoi sostenitori).
Lo staff di Obama conta di guadagnare 38-40 delegati degli 88 in palio nelle ultime tre primarie di Porto Rico (oggi) Montana e South Dakota (martedì). Ed è convinto che per martedì sera almeno una trentina dei 190 superdelegati che sono ancora neutrali avranno dichiarato il loro appoggio a Barack.
Tutto è pronto per il discorso di investitura a candidato presidente, che Barack Obama presenterà martedì notte in un luogo simbolico: il centro congressi di St. Paul, Minnesota, dove il 1 settembre si aprirà la convention del Partito Repubblicano.
Que bonito es Puerto Rico
Oggi le primarie democratiche si spostano a Porto Rico, territorio caraibico USA con quattro milioni di abitanti. I Portoricani hanno la cittadinanza americana dal 1917 ma non votano alle elezioni presidenziali. Tuttavia, per motivi misteriosi, possono svolgere elezioni primarie per i candidati alla presidenza che non potranno mai votare.
Porto Rico elegge 55 delegati alla convention democratica di Denver. Le primarie sono aperte, quindi non solo gli elettori democratici registrati ma chiunque sia interessato può votare. I sondaggi sono largamente a favore di Billary, che incassa l'ostilità ispanica verso il nero Obama. Martedì 3 le primarie si chiuderanno in Montana e South Dakota, due stati rurali dove invece è prevista una nettaa vittoria di Obama.
In queste ore (in USA è ancora sabato) il Partito Democratico è riunito a Washington per risolvere la questione dei delegati di Michigan e Florida, stati che avevano anticipato le primarie senza autorizzazione ed erano stati esclusi dal conteggio dei delegati. In ambedue ha vinto Clinton, ma Obama in Florida non ha fatto campagna elettorale e in Michigan il suo nome non era neppure sulle schede elettorali. La soluzione sarà un compromesso che garantirà la presenza dei due grandi stati alla convention democratica ma non potrà ridurre di molto gli oltre duecento delegati di vantaggio di Obama.
Porto Rico elegge 55 delegati alla convention democratica di Denver. Le primarie sono aperte, quindi non solo gli elettori democratici registrati ma chiunque sia interessato può votare. I sondaggi sono largamente a favore di Billary, che incassa l'ostilità ispanica verso il nero Obama. Martedì 3 le primarie si chiuderanno in Montana e South Dakota, due stati rurali dove invece è prevista una nettaa vittoria di Obama.
In queste ore (in USA è ancora sabato) il Partito Democratico è riunito a Washington per risolvere la questione dei delegati di Michigan e Florida, stati che avevano anticipato le primarie senza autorizzazione ed erano stati esclusi dal conteggio dei delegati. In ambedue ha vinto Clinton, ma Obama in Florida non ha fatto campagna elettorale e in Michigan il suo nome non era neppure sulle schede elettorali. La soluzione sarà un compromesso che garantirà la presenza dei due grandi stati alla convention democratica ma non potrà ridurre di molto gli oltre duecento delegati di vantaggio di Obama.
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