Calcoli sbagliati sui ghiacciai dell'Himalaya, un giro di email sospette tra esperti climatologi, mezzo metro di neve su New York e altre attualità hanno ridato fiato alla lobby negazionista dei cambiamenti climatici.
La risposta arriva oggi da Al Gore, che pubblica un lungo editoriale sul Sunday Times, la monumentale edizione domenicale del New York Times.
In poche parole secondo Al Gore sarebbe molto bello che il clima non stesse davvero cambiando mettendo in pericolo il futuro del pianeta. Gli errori di valutazione e i pessimi comportamenti individuali sono spiacevoli e imbarazzanti, ma non mettono in discussione l'analisi degli esperti ONU.
"Continuiamo a buttare in atmosfera 90 milioni di tonnellate di gas serra ogni 24 ore" ricorda Gore che puntualizza anche come lo scorso mese di gennaio, malgrado in nord America e in Europa sia stato percepito come l'esempio di un inverno polare, in realtà è stato registrato come il secondo gennaio più caldo degli ultimi 130 anni. Poi cita dati della NASA per ribadire che quello appena concluso è stato il decennio più caldo dell'era moderna e ricorda come il riscaldamento globale e la conseguente evaporazione degli oceani portano a un aumento dell'umidità dell'aria con la conseguenza di maggiori precipitazioni di pioggia e neve in alcune zone della terra, come il nord America e l'Europa atlantica.
In buona parte dell'articolo il premio Nobel si lancia in una analisi politica centrata sulle contraddizioni e le difficoltà dell'America. Ad un certo punto paragona lo scetticismo che buona parte del settore industriale mostra verso le questioni del clima alla negazione portata avanti per oltre 40 anni dalla lobby del tabacco sulla correlazione tra fumo di sigarette e malattie polmonari e circolatorie.
Gore conclude con una citazione di Winston Churchill: "Ci sono circostanze in cui fare del nostro meglio non è abbastanza. In certi casi bisogna fare quello che è necessario".
domenica 28 febbraio 2010
venerdì 26 febbraio 2010
A casa le mamme d'Europa
L'attuale legislazione europea, che risale al 1992, prevede un minimo di 14 settimane per il congedo di maternità, di cui due vanno prese obbligatoriamente prima o dopo il parto.
Martedì scorso la commissione del Parlamento Europeo sulle questioni di genere ha approvato una direttiva che porta il congedo per maternità a un minimo di 20 settimane. Viene anche introdotto il congedo paternale con un minimo di due settimane a pieno stipendio.
Dopo il passaggio in commissione la proposta di delibera sarà discussa dal parlamento in seduta plenaria nel mese di marzo. Non è detto che la proposta venga approvata. La Gran Bretagna ha già fatto i conti, con la conclusione che le nuove norme costerebbero ai lavoratori inglesi oltre due miliardi di Euro l'anno. Secondo alcuni la proposta è positiva perché potrà contrastare la diminuzione delle nascite, secondo altri invece peggiorerà la discriminazione delle donne nelle assunzioni.
La proposta elaborata tempo fa dalla Commissione Europea era più conservativa: 18 settimane per la mamma e nessuna menzione di congedo per il papà. Secondo gli osservatori conservatori le possibilità che la proposta delle venti settimane sia approvata sono scarse, anche alla luce della crisi economica in atto. Solo 18 mesi fa il parlamento europeo aveva votato contro una proposta che introduceva 20 settimane di congedo di cui solo sei a stipendio pieno, a cui si erano opposti conservatori e liberali.
Se il parlamento di Strasburgo approverà il testo votato in commissione ci vorranno comunque almeno 18 mesi per finalizzare l'accordo, che poi passerà alla legislazione dei singoli stati membri.
Martedì scorso la commissione del Parlamento Europeo sulle questioni di genere ha approvato una direttiva che porta il congedo per maternità a un minimo di 20 settimane. Viene anche introdotto il congedo paternale con un minimo di due settimane a pieno stipendio.
Dopo il passaggio in commissione la proposta di delibera sarà discussa dal parlamento in seduta plenaria nel mese di marzo. Non è detto che la proposta venga approvata. La Gran Bretagna ha già fatto i conti, con la conclusione che le nuove norme costerebbero ai lavoratori inglesi oltre due miliardi di Euro l'anno. Secondo alcuni la proposta è positiva perché potrà contrastare la diminuzione delle nascite, secondo altri invece peggiorerà la discriminazione delle donne nelle assunzioni.
La proposta elaborata tempo fa dalla Commissione Europea era più conservativa: 18 settimane per la mamma e nessuna menzione di congedo per il papà. Secondo gli osservatori conservatori le possibilità che la proposta delle venti settimane sia approvata sono scarse, anche alla luce della crisi economica in atto. Solo 18 mesi fa il parlamento europeo aveva votato contro una proposta che introduceva 20 settimane di congedo di cui solo sei a stipendio pieno, a cui si erano opposti conservatori e liberali.
Se il parlamento di Strasburgo approverà il testo votato in commissione ci vorranno comunque almeno 18 mesi per finalizzare l'accordo, che poi passerà alla legislazione dei singoli stati membri.
giovedì 25 febbraio 2010
Efficienza cinese
La Cina non ha aderito al Copenhagen Accord ma ha confermato la sua "volontà autonoma" di ridurre l'intensità energetica del 40-45% entro il 2020. In pratica la Cina calcolerà la riduzione non in termini assoluti, ma rapportata alla unità di PIL.
I primi dati riportati da Reuters, che cita fonti dell'Uffico Nazionale di Statistica di Pechino, dicono che nel 2009 l'uso dell'energia per dollaro di PIL in Cina è diminuito del 2.2 per cento.
I primi dati riportati da Reuters, che cita fonti dell'Uffico Nazionale di Statistica di Pechino, dicono che nel 2009 l'uso dell'energia per dollaro di PIL in Cina è diminuito del 2.2 per cento.
mercoledì 24 febbraio 2010
martedì 23 febbraio 2010
lunedì 22 febbraio 2010
Terna - Nucleare 3 a 0
Flavio Cattaneo, il preferito di SF e l'AD di Terna, ha presentato il piano strategico 2010-2014 della società che controlla e gestisce la rete elettrica italiana.
Il programma prevede 4,3 miliardi di € di investimenti per lo sviluppo della rete, con l'ambizione di creare una smart grid del Mediterraneo. Una rete di distribuzione efficiente che riduca al minimo le dispersioni e ottimizzi l'uso dell'energia prodotta.
Sono previsti due nuovi collegamenti internazionali con Francia e Montenegro e due nuove linee con Sicilia e Sardegna per trasportare nel continente l'energia rinnovabile prodotta nelle isole. Per il cavo sottomarino per il Montenegro, che dovrebbe importare energia dall'Europa dell'est, il preventivo di spesa è di 760 milioni di Euro.
I lavori sulla rete nazionale costeranno 3.1 miliardi di Euro e permetteranno di mettere in circolo tra 2500 e 4500 MW attualmente bloccati dalle difficoltà di trasmissione ("sbottiglieranno" dice il comunicato di Terna). Quindi con poco più di tre miliardi di Euro investiti nella rete elettrica si recuperano almeno 2.5 Gigawatt, probabilmente addirittura 4 GW.
Secondo l'ENEA il costo di una centrale nucleare di terza generazione EPR che sviluppa 1.6 Gigawatt è stimabile tra i 4 e i 4.5 milardi di Euro. E restano ignoti i costi dello smaltimento e stoccaggio delle scorie radioattive. Per avere 3GW nucleari servono due centrali e nove miliardi di Euro, Terna conta di recuperare 4GW spendedone tre.
Quindi investire sulla distribuzione dell'energia costa molto meno del nucleare e produce risultati concreti in pochi anni. Con il piano di Terna avremo entro il 2014 l'energia che le centrali atomiche di Scajola ci darebbero tra quindici anni spendendo almeno il triplo, con il bagaglio di tutti i rischi e i problemi insoluti del nucleare.
Diciamolo in giro, facciamolo sapere.
Il programma prevede 4,3 miliardi di € di investimenti per lo sviluppo della rete, con l'ambizione di creare una smart grid del Mediterraneo. Una rete di distribuzione efficiente che riduca al minimo le dispersioni e ottimizzi l'uso dell'energia prodotta.
Sono previsti due nuovi collegamenti internazionali con Francia e Montenegro e due nuove linee con Sicilia e Sardegna per trasportare nel continente l'energia rinnovabile prodotta nelle isole. Per il cavo sottomarino per il Montenegro, che dovrebbe importare energia dall'Europa dell'est, il preventivo di spesa è di 760 milioni di Euro.
I lavori sulla rete nazionale costeranno 3.1 miliardi di Euro e permetteranno di mettere in circolo tra 2500 e 4500 MW attualmente bloccati dalle difficoltà di trasmissione ("sbottiglieranno" dice il comunicato di Terna). Quindi con poco più di tre miliardi di Euro investiti nella rete elettrica si recuperano almeno 2.5 Gigawatt, probabilmente addirittura 4 GW.
Secondo l'ENEA il costo di una centrale nucleare di terza generazione EPR che sviluppa 1.6 Gigawatt è stimabile tra i 4 e i 4.5 milardi di Euro. E restano ignoti i costi dello smaltimento e stoccaggio delle scorie radioattive. Per avere 3GW nucleari servono due centrali e nove miliardi di Euro, Terna conta di recuperare 4GW spendedone tre.
Quindi investire sulla distribuzione dell'energia costa molto meno del nucleare e produce risultati concreti in pochi anni. Con il piano di Terna avremo entro il 2014 l'energia che le centrali atomiche di Scajola ci darebbero tra quindici anni spendendo almeno il triplo, con il bagaglio di tutti i rischi e i problemi insoluti del nucleare.
Diciamolo in giro, facciamolo sapere.
sabato 20 febbraio 2010
giovedì 18 febbraio 2010
Goodbye Mr. Yvo
Oggi con uno stringato comunicato Yvo de Boer (56) ha annunciato che il 1 luglio si dimetterà da segretario esecutivo della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), ruolo che ricopriva dal settembre 2006. De Boer si sposterà nel settore privato, lavorando come consulente globale per cambiamenti climatici e sostenibilità nella KPMG.
Forse era una decisione presa da tempo. Forse l'esito incerto della COP-15 ha demotivato de Boer, che aveva guidato il percorso da Bali a Copenhagen in due anni di negoziati interminabili. Il prodotto di questi negoziati erano i due documenti redatti dai gruppi ad hoc costituiti dalla UNFCCC che avrebbero dovuto rappresentare l'architettura principale degli accordi di Copenhagen. Poi la tempesta politica guidata da Obama e dai leader di Cina, India, Brasile e Sud Africa ha rovesciato il tavolo e il minuzioso lavoro di due anni di compromessi negoziali è stato sostituito da una dichiarazione di due cartelle scritta in poche ore. A me forse sarebbero saltati i nervi, magari anche a Yvo.
Ci mancheranno le sue orecchie a sventola al tavolo di presidenza.
Forse era una decisione presa da tempo. Forse l'esito incerto della COP-15 ha demotivato de Boer, che aveva guidato il percorso da Bali a Copenhagen in due anni di negoziati interminabili. Il prodotto di questi negoziati erano i due documenti redatti dai gruppi ad hoc costituiti dalla UNFCCC che avrebbero dovuto rappresentare l'architettura principale degli accordi di Copenhagen. Poi la tempesta politica guidata da Obama e dai leader di Cina, India, Brasile e Sud Africa ha rovesciato il tavolo e il minuzioso lavoro di due anni di compromessi negoziali è stato sostituito da una dichiarazione di due cartelle scritta in poche ore. A me forse sarebbero saltati i nervi, magari anche a Yvo.
Ci mancheranno le sue orecchie a sventola al tavolo di presidenza.
mercoledì 17 febbraio 2010
Naturalmente è solo un caso
Ho scoperto che Chicco Testa ha aperto nel febbraio 2009 un blog filoatomico che si chiama Newclear.
Il primo post dal titolo New Cleare pubblicato qui su Sostenibilitalia è del 25 maggio 2008.
Il primo post dal titolo New Cleare pubblicato qui su Sostenibilitalia è del 25 maggio 2008.
Fuori i soldi
Uno dei punti positivi del Copenhagen Accord sul clima è che i paesi che lo hanno sottoscritto si impegnano a istituire un fondo di solidarietà per aiutare i paesi meno sviluppati (LDS, Least Developed States nel linguaggio ONU) negli interventi di adattamento ai cambiamenti climatici. Questo fondo è stato quantificato quest'anno in 10 miliardi di dollari e dovrebbe aumentare fino a raggiungere i cento miliardi nel 2020.
Lunedì scorso il primo ministro del Bangladesh Sheikh Hasina ha chiesto che il suo paese possa ricevere parte di quei fondi appena possibile. Secondo la signora Hasina il Bangladesh ha già avviato 134 azioni sui cambiamenti climatici e completato la reralizzazione di 100 rifugi anti ciclone. Il bilancio del Bangladesh destina 100 milioni di dollari ai cambiamenti climatici, che si sommano a altri 150 milioni di aiuti. Hasina sostiene che il suo paese ha diritto di ricevere il 15% del fondo di solidarietà concordato a Copenhagen.
Il Bangladesh è uno dei paesi più a rischio inondazioni. Gli esperti dicono che a fronte di un innalzamento del livello del mare di un metro un quinto del paese verrebbe sommerso e 20 dei suoi 150 milioni di abitanti dovrebbero migrare.
Lunedì scorso il primo ministro del Bangladesh Sheikh Hasina ha chiesto che il suo paese possa ricevere parte di quei fondi appena possibile. Secondo la signora Hasina il Bangladesh ha già avviato 134 azioni sui cambiamenti climatici e completato la reralizzazione di 100 rifugi anti ciclone. Il bilancio del Bangladesh destina 100 milioni di dollari ai cambiamenti climatici, che si sommano a altri 150 milioni di aiuti. Hasina sostiene che il suo paese ha diritto di ricevere il 15% del fondo di solidarietà concordato a Copenhagen.
Il Bangladesh è uno dei paesi più a rischio inondazioni. Gli esperti dicono che a fronte di un innalzamento del livello del mare di un metro un quinto del paese verrebbe sommerso e 20 dei suoi 150 milioni di abitanti dovrebbero migrare.
martedì 16 febbraio 2010
Buon compleanno Kyoto
Festeggio volentieri il quinto anniversario dalla entrata in vigore del protocollo di Kyoto. Le candeline le metterei idealmente sopra il testo della legge di ratifica italiana del trattato. Era il 1 giugno 2002, presidente della repubblica era Ciampi, premier Berlusconi e ministro dell'ambiente Matteoli. Non avrei mai pensato di dover rimpiangere Matteoli, ma il ministro invisibile Prestigiacomo è riuscito a farmi fare anche questo.
Pochi se lo ricordano, forse neanche lo stesso Matteoli, ma fu il governo Berlusconi 2 a ratificare il trattato.
Secondo Edo Ronchi, che nel 1997 era ministro dell'ambiente e firmò il documento a Kyoto, l'Italia alla fine riuscirà a raggiungere l'obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 del 6,5% per il 2012.
I dati forniti da Ronchi e ripresi da Qualenergia dimostrano come la crisi economica e il contributo della diffusione delle fonti rinnovabili abbiano ridotto notevolmente le emissioni italiane dopo il picco del 2005 (573,6 milioni di t). L'obiettivo 2012 di 483.3 Mton non sembra più irraggiungibile, visto che siamo già scesi a poco più di 500. Solo nel 2009 le emissioni sono calate di oltre 36 milioni di tonnellate.
Il merito di questo calo drastico è fondamentalmente della crisi economica, ma anche degli incentivi alla riconversione e all'efficienza energetica, che però scadranno alla fine del 2010 e il governo di destra non ha ancora annunciato di voler prolungare.
Pochi se lo ricordano, forse neanche lo stesso Matteoli, ma fu il governo Berlusconi 2 a ratificare il trattato.
Secondo Edo Ronchi, che nel 1997 era ministro dell'ambiente e firmò il documento a Kyoto, l'Italia alla fine riuscirà a raggiungere l'obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 del 6,5% per il 2012.
I dati forniti da Ronchi e ripresi da Qualenergia dimostrano come la crisi economica e il contributo della diffusione delle fonti rinnovabili abbiano ridotto notevolmente le emissioni italiane dopo il picco del 2005 (573,6 milioni di t). L'obiettivo 2012 di 483.3 Mton non sembra più irraggiungibile, visto che siamo già scesi a poco più di 500. Solo nel 2009 le emissioni sono calate di oltre 36 milioni di tonnellate.
Il merito di questo calo drastico è fondamentalmente della crisi economica, ma anche degli incentivi alla riconversione e all'efficienza energetica, che però scadranno alla fine del 2010 e il governo di destra non ha ancora annunciato di voler prolungare.
lunedì 15 febbraio 2010
OGM, l'Europa sotto pressione
Una delle prime indicazioni fornite dal presidente UE Barroso dopo il suo insediamento del 9 febbraio è stata quella di pronunciarsi nuovamente in favore dell'introduzione di coltivazioni da semi geneticamente modificati. Il business è enorme e in Europa parte da due prodotti di larghissima diffusione: il mais, dove spinge la famigerata Monsanto, e le patate, dove la mutazione Amflora è stata prodotta in casa BASF.
Pochi giorni fa in Italia il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di un agricoltore friulano: la sentenza sembra imporre al ministero dell'agricoltura di rilasciare entro 90 giorni l'autorizzazione all'impianto. Il ministro leghista all'agricoltura Zaia non ne vuole sapere e replica che la sentenza si limita a imporre un regolamento.
A livello europeo Barroso sostiene da tempo l'introduzione degli OGM, spalleggiato da USA e Germania. Nella passata Commissione Europea la sua posizione era in netta minoranza, soprattutto per la netta opposizione del commissario greco all'ambiente Stavros Dimas. Lo scorso anno l'Europa ha votato contro l'introduzione degli OGM con solo 5 favorevoli e 22 contrari.
Il nuovo commissario europeo all'ambiente, lo sloveno Janez Potočnik, potrebbe essere meno intransigente di Dimas e meno influente.
Pochi giorni fa in Italia il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di un agricoltore friulano: la sentenza sembra imporre al ministero dell'agricoltura di rilasciare entro 90 giorni l'autorizzazione all'impianto. Il ministro leghista all'agricoltura Zaia non ne vuole sapere e replica che la sentenza si limita a imporre un regolamento.
A livello europeo Barroso sostiene da tempo l'introduzione degli OGM, spalleggiato da USA e Germania. Nella passata Commissione Europea la sua posizione era in netta minoranza, soprattutto per la netta opposizione del commissario greco all'ambiente Stavros Dimas. Lo scorso anno l'Europa ha votato contro l'introduzione degli OGM con solo 5 favorevoli e 22 contrari.
Il nuovo commissario europeo all'ambiente, lo sloveno Janez Potočnik, potrebbe essere meno intransigente di Dimas e meno influente.
domenica 14 febbraio 2010
Olimpiadi verdi? Un po' meno
Vancouver aveva annunciato con orgoglio che le sue olimpiadi invernali sarebbero state le più sostenibili di sempre di sempre, con una proiezione di 118.000 tonnellate di CO2 nei sette anni dal progetto iniziale alla fine dei giochi. Quattro anni fa Torino si fermò a 160.000, nel 2002 Salt Lake City non scese sotto le 248.000 tonnellate.
Purtroppo però, mentre la costa est dell'America e l'Europa sono alle prese con l'inverno più freddo degli ultimi 50 anni, sulla costa canadese del Pacifico c'è stato il gennaio più caldo della storia e le temperature non scendono sotto i 5°, con massime attorno agli 11-12°. Per disputare le gare di snowboard e freestyle previste in città serve la neve, che deve essere trasportata con elicotteri e camion (foto) da zone più fredde della British Columbia, spesso da oltre 150 Km.
Quanto influirà questo sull'impatto ambientale dei giochi? Secondo Linda Coady, che nel comitato organizzatore si occupa di sostenibilità, molto poco. Coady ha dichiarato che, anche se fosse necessario utilizzare gli elicotteri per trasportare la neve in città ogni giorno fino alla fine dei giochi, le emissioni di CO2 crescerebbero al massimo di un misero 1%.
Purtroppo però, mentre la costa est dell'America e l'Europa sono alle prese con l'inverno più freddo degli ultimi 50 anni, sulla costa canadese del Pacifico c'è stato il gennaio più caldo della storia e le temperature non scendono sotto i 5°, con massime attorno agli 11-12°. Per disputare le gare di snowboard e freestyle previste in città serve la neve, che deve essere trasportata con elicotteri e camion (foto) da zone più fredde della British Columbia, spesso da oltre 150 Km.
Quanto influirà questo sull'impatto ambientale dei giochi? Secondo Linda Coady, che nel comitato organizzatore si occupa di sostenibilità, molto poco. Coady ha dichiarato che, anche se fosse necessario utilizzare gli elicotteri per trasportare la neve in città ogni giorno fino alla fine dei giochi, le emissioni di CO2 crescerebbero al massimo di un misero 1%.
venerdì 12 febbraio 2010
Perché Bertolaso si deve dimettere
Devo confessare che non mi interessa nulla di massaggiatrici, festini o altri dettagli pruriginosi.
Sono anche disposto a non dubitare che lui, il superuomo con la tuta con gli stemmini, sia una persona onesta e specchiata.
Il punto centrale è che Guido Bertolaso è a capo di una struttura che può agire in assoluta autonomia ignorando la legislazione vigente e il complesso affastellamento di norme che regolano gli appalti pubblici dagli anni '90, ovvero dalla prima legge Merloni del dopo-tangentopoli.
Questa libertà di azione è motivata dalla necessità di reagire con rapidità ed efficacia a situazioni di assoluta emergenza.
Il concetto di emergenza nel corso degli anni è stato reso sempre meno straordinario da un governo che ha approfittato del potere concesso a Bertolaso per intervenire nei settori e nelle occasioni più disparate, spesso affatto emergenziali. Giuliano Amato l'aveva chiamata Bertolasocrazia.
Gli imprenditori e gli amministratori pubblici "normali" vivono quotidianamente sulla propria pelle i problemi, i ritardi e i contenziosi che derivano dall'applicazione delle normative sugli appalti. E di certo invidiano Bertolaso e le imprese che hanno la fortuna di lavorare per lui e la protezione civile. Quando si lavora per Bertolaso si evitano gare, aggiudicazioni al massimo ribasso, ricorsi di altre imprese, controlli e arbitrati.
Guido Bertolaso gode di un potere incredibile ed ha amministrato appalti per somme da capogiro. Chi è all'apice di una struttura di questo genere ha la responsabilità diretta di garantire che il bypassare norme e controlli non abbia come conseguenza favoritismi, opacità, malaffare.
A quanto pare invece alcune figure molto vicine a Bertolaso, che lui ha scelto e definisce di sua fiducia, hanno utilizzato le libertà concesse alla protezione civile italiana per scopi certamente non funzionali alla gestione delle emergenze e della risoluzione delle crisi.
Di questo Guido Bertolaso è direttamente responsabile e deve essere lui il primo a pagare le conseguenze di una vergogna che nessuna democrazia occidentale potrebbe tollerare.
Sono anche disposto a non dubitare che lui, il superuomo con la tuta con gli stemmini, sia una persona onesta e specchiata.
Il punto centrale è che Guido Bertolaso è a capo di una struttura che può agire in assoluta autonomia ignorando la legislazione vigente e il complesso affastellamento di norme che regolano gli appalti pubblici dagli anni '90, ovvero dalla prima legge Merloni del dopo-tangentopoli.
Questa libertà di azione è motivata dalla necessità di reagire con rapidità ed efficacia a situazioni di assoluta emergenza.
Il concetto di emergenza nel corso degli anni è stato reso sempre meno straordinario da un governo che ha approfittato del potere concesso a Bertolaso per intervenire nei settori e nelle occasioni più disparate, spesso affatto emergenziali. Giuliano Amato l'aveva chiamata Bertolasocrazia.
Gli imprenditori e gli amministratori pubblici "normali" vivono quotidianamente sulla propria pelle i problemi, i ritardi e i contenziosi che derivano dall'applicazione delle normative sugli appalti. E di certo invidiano Bertolaso e le imprese che hanno la fortuna di lavorare per lui e la protezione civile. Quando si lavora per Bertolaso si evitano gare, aggiudicazioni al massimo ribasso, ricorsi di altre imprese, controlli e arbitrati.
Guido Bertolaso gode di un potere incredibile ed ha amministrato appalti per somme da capogiro. Chi è all'apice di una struttura di questo genere ha la responsabilità diretta di garantire che il bypassare norme e controlli non abbia come conseguenza favoritismi, opacità, malaffare.
A quanto pare invece alcune figure molto vicine a Bertolaso, che lui ha scelto e definisce di sua fiducia, hanno utilizzato le libertà concesse alla protezione civile italiana per scopi certamente non funzionali alla gestione delle emergenze e della risoluzione delle crisi.
Di questo Guido Bertolaso è direttamente responsabile e deve essere lui il primo a pagare le conseguenze di una vergogna che nessuna democrazia occidentale potrebbe tollerare.
La casa a emissioni zero\2
La Panasonic ha costruito nello showroom del suo quartier generale di Ariake a Tokyo un modello della Eco-Ideas House, una residenza a emissioni zero.
La Eco-Ideas House è costruita sui dati della casa media giapponese: 137 metri quadrati che ospitano 4 persone di tre generazioni: un padre di 40 anni, una madre di 37, una figlia di sei e una nonna di 70. L'abitazione si sviluppa su due piani ed è composta da quattro camere più una stanza comune in stile giapponese.
Per raggiungere le emissioni zero la casa consuma produce energia e la accumula in delle batterie agli ioni di litio. Japan for Sustainability descrive come l'energia sia prodotta da un impianto fotovoltaico e da celle di combustibile alimentate dalla reazione tra l'ossigeno dell'aria e idrogeno prodotto dal metano.
L'impianto di condizionamento, che normalmente vale il 25% dei consumi totali, comprende una serie di sensori che valutano l'esposizione solare degli ambienti e riconoscono le persone, indirizzando i getti d'aria nella loro direzione. Questi accorgimenti riducono i consumi di riscaldamento fino al 70%. Lo stesso vale per il frigorifero, che "si accorge" della presenza di persone in cucina e si mette in modalità risparmio negli orari in cui non è aperto. L'illuminazione è a LED, che riducono i consumi ad 1/8 di quanto richiesto dalle lampade a incandescenza.
La Eco-Ideas House è costruita sui dati della casa media giapponese: 137 metri quadrati che ospitano 4 persone di tre generazioni: un padre di 40 anni, una madre di 37, una figlia di sei e una nonna di 70. L'abitazione si sviluppa su due piani ed è composta da quattro camere più una stanza comune in stile giapponese.
Per raggiungere le emissioni zero la casa consuma produce energia e la accumula in delle batterie agli ioni di litio. Japan for Sustainability descrive come l'energia sia prodotta da un impianto fotovoltaico e da celle di combustibile alimentate dalla reazione tra l'ossigeno dell'aria e idrogeno prodotto dal metano.
L'impianto di condizionamento, che normalmente vale il 25% dei consumi totali, comprende una serie di sensori che valutano l'esposizione solare degli ambienti e riconoscono le persone, indirizzando i getti d'aria nella loro direzione. Questi accorgimenti riducono i consumi di riscaldamento fino al 70%. Lo stesso vale per il frigorifero, che "si accorge" della presenza di persone in cucina e si mette in modalità risparmio negli orari in cui non è aperto. L'illuminazione è a LED, che riducono i consumi ad 1/8 di quanto richiesto dalle lampade a incandescenza.
mercoledì 10 febbraio 2010
Give me fiftyfive
Sostenibilitalia si unisce alla catena di blog che chiede al governo la conferma delle detrazioni del 55% per i lavori edili che migliorano l'efficienza energetica degli edifici. Le detrazioni sono in vigorie solo fino alla fine del 2010.
La causa è anche su facebook.
La causa è anche su facebook.
Una Mercedes davvero tosta
Stamattina a Bruxelles il Comitato delle Regioni ha eletto nuova presidente Mercedes Bresso con 219 voti favorevoli, 29 astenuti e 3 nulli.
Scommettiamo?
Lancio di agenzia di mercoledì 10 febbraio, ore 10:40
(ASCA) - Roma, 10 feb - Con l'approvazione del decreto legislativo sui criteri per la localizzazione dei siti nucleari si apre il percorso che portera' alla costruzione della prima centrale nel 2013. Lo ha spiegato il Ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, dopo l'approvazione del dlgs da parte del Consiglio dei Ministri.
''Il provvedimento - ha detto - si caratterizza per la trasparenza e il rispetto assoluto della sicurezza delle persone e dell'ambiente. E' stato individuato il percorso per il riavvio del nucleare, i primi lavori nei cantieri dal 2013 e la produzione di energia elettrica dal 2020''.
(ASCA) - Roma, 10 feb - Con l'approvazione del decreto legislativo sui criteri per la localizzazione dei siti nucleari si apre il percorso che portera' alla costruzione della prima centrale nel 2013. Lo ha spiegato il Ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, dopo l'approvazione del dlgs da parte del Consiglio dei Ministri.
''Il provvedimento - ha detto - si caratterizza per la trasparenza e il rispetto assoluto della sicurezza delle persone e dell'ambiente. E' stato individuato il percorso per il riavvio del nucleare, i primi lavori nei cantieri dal 2013 e la produzione di energia elettrica dal 2020''.
martedì 9 febbraio 2010
Testa di Chicco
Fondatore e presidente di Legambiente, deputato PCI/PDS/DS per due legislature, presidente di ACEA prima e di ENEL dopo, professore salottiero e membro di svariati CdA, Chicco Testa oggi si propone con una immagine da realista disincantato molto lontana dalle sue origini.
Da tempo sbandiera la sua passione per l'energia nucleare e ci ha scritto anche un libro. Torna alla carica oggi con un articolo su Il Riformista dal titolo "Il nucleare è di sinistra" in cui incensa Barack Obama per avere detto che il nucleare è la soluzione per questa fase di transizione energetica e ridicolizza chi si oppone al nucleare italiano, da Vendola a Ignazio Marino.
Testa è stato presidente di ENEL, azienda che è in prima fila nel new cleare italiano di Scajola e Berlù, ma questo ovviamente non mette in discussione la sua buona fede.
L'energia nucleare può effettivamente essere uno strumento utile in questa fase di transizione. Soprattutto per chi ce l'ha, come gli USA. La Finlandia, molti anni fa, ha scelto di costruire una centrale nucleare partendo dalla presa d'atto di non essere in grado di raggiungere altrimenti gli obiettivi del protocollo di Kyoto. Lo ha fatto dopo un dibattito politico acceso e prolungato, concluso con nordico pragmatismo.
Peccato che la centrale di Olkiluoto sia più di tre anni in arretrato rispetto alle previsioni di completamento, mentre i costi sono lievitati di oltre il 50%. L'impianto di Olkiluoto è dello stesso tipo di quelli che l'accordo italo-francese ENEL/AREVA vorrebbe costruire nel nostro paese. I lavori sono cominciati nel 2000 e non saranno conclusi prima del 2012.
Sul suo articolo di oggi Testa non parla di questo, che pure dovrebbe rendere evidente come una opzione nucleare italiana non produrrebbe risultati concreti nella produzione energetica nazionale prima del 2023, visto che il governo della destra deve ancora individuare i criteri di selezione dei siti per le centrali (pare che lo faccia domani).
Nello stesso articolo Testa sembra ignorare che l'Italia ha sottoscritto, assieme agli altri 26 paesi dell'Unione Europea, un accordo che prevede la riduzione del 20% di emissioni di CO2, e una quota di energie rinnovabili del 17% entro il 2020.
Secondo Testa il nucleare "è di sinistra". E chissenefrega. Non è solo una questione di stoccaggio delle scorie e di rischio di incidenti. Il nucleare è comunque troppo costoso e i tempi di costruzione degli impianti superano il decennio. La tecnologia, per quando le centrali potrebbero essere completate, sarà già obsoleta e il prezzo dell'uranio sempre più caro.
Ma soprattutto resta inammissibile come una persona con la formazione culturale e politica di Testa possa sorvolare sul fatto che, a parte i sogni atomici di Scajola, l'Italia non ha in programma nulla per raggiungere, o almeno avvicinare, gli obiettivi energetici sottoscritti per il 2020.
Il potere da alla testa. Particolarmente a Chicco Testa.
Da tempo sbandiera la sua passione per l'energia nucleare e ci ha scritto anche un libro. Torna alla carica oggi con un articolo su Il Riformista dal titolo "Il nucleare è di sinistra" in cui incensa Barack Obama per avere detto che il nucleare è la soluzione per questa fase di transizione energetica e ridicolizza chi si oppone al nucleare italiano, da Vendola a Ignazio Marino.
Testa è stato presidente di ENEL, azienda che è in prima fila nel new cleare italiano di Scajola e Berlù, ma questo ovviamente non mette in discussione la sua buona fede.
L'energia nucleare può effettivamente essere uno strumento utile in questa fase di transizione. Soprattutto per chi ce l'ha, come gli USA. La Finlandia, molti anni fa, ha scelto di costruire una centrale nucleare partendo dalla presa d'atto di non essere in grado di raggiungere altrimenti gli obiettivi del protocollo di Kyoto. Lo ha fatto dopo un dibattito politico acceso e prolungato, concluso con nordico pragmatismo.
Peccato che la centrale di Olkiluoto sia più di tre anni in arretrato rispetto alle previsioni di completamento, mentre i costi sono lievitati di oltre il 50%. L'impianto di Olkiluoto è dello stesso tipo di quelli che l'accordo italo-francese ENEL/AREVA vorrebbe costruire nel nostro paese. I lavori sono cominciati nel 2000 e non saranno conclusi prima del 2012.
Sul suo articolo di oggi Testa non parla di questo, che pure dovrebbe rendere evidente come una opzione nucleare italiana non produrrebbe risultati concreti nella produzione energetica nazionale prima del 2023, visto che il governo della destra deve ancora individuare i criteri di selezione dei siti per le centrali (pare che lo faccia domani).
Nello stesso articolo Testa sembra ignorare che l'Italia ha sottoscritto, assieme agli altri 26 paesi dell'Unione Europea, un accordo che prevede la riduzione del 20% di emissioni di CO2, e una quota di energie rinnovabili del 17% entro il 2020.
Secondo Testa il nucleare "è di sinistra". E chissenefrega. Non è solo una questione di stoccaggio delle scorie e di rischio di incidenti. Il nucleare è comunque troppo costoso e i tempi di costruzione degli impianti superano il decennio. La tecnologia, per quando le centrali potrebbero essere completate, sarà già obsoleta e il prezzo dell'uranio sempre più caro.
Ma soprattutto resta inammissibile come una persona con la formazione culturale e politica di Testa possa sorvolare sul fatto che, a parte i sogni atomici di Scajola, l'Italia non ha in programma nulla per raggiungere, o almeno avvicinare, gli obiettivi energetici sottoscritti per il 2020.
Il potere da alla testa. Particolarmente a Chicco Testa.
lunedì 8 febbraio 2010
Quanto è brutta la vecchiaia
Carlo Ripa di Meana (81), ribattezzato un quarto di secolo fa "Orgasmo da Rotterdam" dalla sua frizzante signora (con lui nella foto), è stato presidente della Biennale di Venezia, eurodeputato PSI con Craxi, commissario europeo all'ambiente con Delors, presidente dei Verdi e presidente di Italia Nostra.
Oggi su Il Giornale di famiglia si cimenta in un articolo negazionista sui cambiamenti climatici.
Oggi su Il Giornale di famiglia si cimenta in un articolo negazionista sui cambiamenti climatici.
domenica 7 febbraio 2010
venerdì 5 febbraio 2010
I conti non tornano
Qualcuno ha quantificato di quanto potranno essere ridotte le emissioni di CO2 alla fine di questo secolo alla luce degli impegni presi dalle nazioni che hanno rispettato la scadenza del 31 gennaio 2010, prevista dal Copenhagen Accord.
I conteggi sono stati fatti da Climate Interactive e non sono confortanti: rispetto all'obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro i 2° al 2100 gli stati che hanno sottoposto i loro impegni portano le proiezioni a un allarmante +3.9°. I dettagli sono nel comunicato stampa di Climate Interactive.
I conteggi sono stati fatti da Climate Interactive e non sono confortanti: rispetto all'obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro i 2° al 2100 gli stati che hanno sottoposto i loro impegni portano le proiezioni a un allarmante +3.9°. I dettagli sono nel comunicato stampa di Climate Interactive.
La casa a emissioni zero\1
Dopo Copenhagen l'Europa ha confermato che il suo obiettivo è quello di ridurre le emissioni di CO2 del 20% entro il 2020. L'impegno è vincolante per tutti i 27 stati membri, Italia compresa.
Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna e altri volevano che questa quota fosse innalzata al 30% ma hanno trovato la fiera opposizione della Prestigiacomo, la quale ha definito "assolutamente non realistico" l'obiettivo del 30% alla luce del "fallimento" della conferenza di Copenhagen. Ancora complimenti alla ministra invisibile dell'ambiente. Insieme all'Italia si è opposta anche la carbonivora Polonia, ormai nostro tradizionale alleato nelle battaglie europee di retroguardia.
Comunque la riduzione del 20% c'è, e sarà interessante vedere cosa farà il governo italiano per raggiungerla. Per ora nulla. Si parla molto di nucleare, ma tutti sanno che non c'è alcuna possibilità di vedere una centrale nucleare italiana in attività entro dieci anni, quindi per il 2020 dovremo fare altre scelte. Quali? Puntare sulle energie rinnovabili è necessario ed economicamente proficuo in tempi di crisi. Tra l'altro anche in questo settore, secondo gli accordi europei del pacchetto 20+20+20, noi dovremmo raggiungere il 17% di produzione di energia da fonti rinnovabili sempre entro il 2020 (oggi siamo intorno al 6%). Ma anche un deciso incremento di solare, eolico e geotermico potrebbe non bastare, e comunque il governo di destra non da certo segnali di volerci puntare.
L'intervento centrale andrebbe fatto sul patrimonio edilizio, cioè sulle case. Le stime dicono che il 40% del totale delle emissioni di CO2 è prodotto dall'energia utilizzata per illuminare, riscaldare e raffrescare gli edifici. Molta di questa energia può essere risparmiata. Per eliminare del tutto i consumi dobbiamo costruire case a emissioni zero, che cioè siano attrezzate per produrre la (poca) energia che consumano.
Il Parlamento Europeo ha votato nel 2009 una risoluzione che invita la Commissione a legiferare perché ogni nuova costruzione sia a emissioni zero entro il 2019. La Gran Bretagna da parte sua si è già data una scadenza anche più vicina, il 2016 (addirittura il 2012 in Galles).
La normativa comunitaria sulla prestazione energetica degli edifici è la Direttiva 91/2002 che chiede agli stati membri di stabilire standard energetici per le nuove costruzioni e le ristrutturazioni solo quando superano i mille metri quadri. Di fatto la direttiva, peraltro ancora disattesa da molti paesi, taglia fuori tre quarti degli edifici d'Europa. L'idea è quella di eliminare il limite dei mille mq con una nuova legge e il Parlamento di Strasburgo chiede anche finanziamenti e riduzioni IVA per i materiali da costruzione più sostenibili, a cui però si oppongono i capi di stati riuniti nel Consiglio Europeo.
L'Italia potrebbe utilizzare al meglio l'opportunità di introdurre nuove prescrizioni edilizie, ricavandone un notevole volano economico come già sperimentato con gli incentivi al risparmio energetico. E naturalmente troverebbe il modo di avvicinare l'obiettivo della riduzione del 20% di CO2. Ma il governo di destra pensa ad altro e fa sogni atomici.
mercoledì 3 febbraio 2010
Piazzisti si nasce
"L'azione militare a Gaza fu giusta" ha detto Berlù stamattina al parlamento di Israele.
"E' giusto manifestare dolore per quanto è avvenuto a Gaza" è stato il suo commento nel pomeriggio alla conferenza stampa con il presidente palestinese Abu Mazen.
Interrogato da una giornalista ANSA sul muro che circonda Betlemme il nostro presidente del consiglio ha risposto di non averlo notato perché stava leggendo.
Nel frattempo in Italia la Camera approvava il legittimo impedimento.
"E' giusto manifestare dolore per quanto è avvenuto a Gaza" è stato il suo commento nel pomeriggio alla conferenza stampa con il presidente palestinese Abu Mazen.
Interrogato da una giornalista ANSA sul muro che circonda Betlemme il nostro presidente del consiglio ha risposto di non averlo notato perché stava leggendo.
Nel frattempo in Italia la Camera approvava il legittimo impedimento.
I porti italiani attaccano la spina
I presidenti delle Autorità Portuali di Venezia (Paolo Costa) e La Spezia (Lorenzo Forcieri) hanno firmato martedì scorso a Roma con l'amministratore dell'Enel Fulvio Conti "protocolli di intesa finalizzati a ridurre le emissioni". I due porti realizzeranno in collaborazione con ENEL una rete di allacci in banchina per fornire le navi di energia ed evitare che queste tengano accesi i motori in sosta per alimentare i generatori di bordo. Venezia e La spezia seguono Civitavecchia, che ha già avviato una serie di interventi cimpresa la realizzazione di un impianto fotovoltaico per la produzione dell'energia direttamente in porto.
L'idea non è nuovissima. Alcuni porti nordamericani (Vancouver, Seattle, Los Angeles, Long Beach) l'hanno già messa in pratica e l'Unione delle Città Baltiche (UBC) ne aveva promosso la realizzazione in un progetto europeo chiamato New Hansa. Il problema più serio è che ancora poche navi sono equipaggiate con attrezzature in grado di sostituire i generatori di bordo con alimentazione esterna.
La marina mercantile produce il doppio delle emissioni dell'aeronautica, ma mentre quest'ultima è spesso oggetto dell'attenzione mediatica pochi sembrano interessarsi dell'inquinamento causato dalle navi. Il problema non sono solo le emissioni di CO2, lo zolfo e le polveri sottili ma anche l'azoto, che in mare funziona da concime incrementando notevolmente i fenomeni delle fioriture algali.
Secondo uno studio dell'Università del Delaware citato dal New York Times le emissioni navali causano 70.000 morti l'anno per malattie polmonari, destinati a crescere fino a 85.000 entro il 2012. Anche per questo la Commissione Europea sta cercando di ridurre la quantità di zolfo contenuta negli olii combustibili utilizzati dalle navi. Attualmente la soglia massima è del 4.5%, destinata a scendere allo 0.5% entro il 2020.
L'idea non è nuovissima. Alcuni porti nordamericani (Vancouver, Seattle, Los Angeles, Long Beach) l'hanno già messa in pratica e l'Unione delle Città Baltiche (UBC) ne aveva promosso la realizzazione in un progetto europeo chiamato New Hansa. Il problema più serio è che ancora poche navi sono equipaggiate con attrezzature in grado di sostituire i generatori di bordo con alimentazione esterna.
La marina mercantile produce il doppio delle emissioni dell'aeronautica, ma mentre quest'ultima è spesso oggetto dell'attenzione mediatica pochi sembrano interessarsi dell'inquinamento causato dalle navi. Il problema non sono solo le emissioni di CO2, lo zolfo e le polveri sottili ma anche l'azoto, che in mare funziona da concime incrementando notevolmente i fenomeni delle fioriture algali.
Secondo uno studio dell'Università del Delaware citato dal New York Times le emissioni navali causano 70.000 morti l'anno per malattie polmonari, destinati a crescere fino a 85.000 entro il 2012. Anche per questo la Commissione Europea sta cercando di ridurre la quantità di zolfo contenuta negli olii combustibili utilizzati dalle navi. Attualmente la soglia massima è del 4.5%, destinata a scendere allo 0.5% entro il 2020.
martedì 2 febbraio 2010
Il fosforo delle bombe di Israele
Berlusconi, sette ministri italiani e una delegazione monstre di centinaia di nostri dignitari sono in Israele in visita ufficiale. Nel frattempo il mondo commenta la notizia trapelata venerdì e ripresa dalla stampa internazionale che conferma l'uso da parte di Israele di bombe al fosforo a Gaza nel 2009.
Tutto era cominciato con un articolo denuncia del Times di Londra che testimoniava l'uso di bombe al fosforo bianco da parte di Israele, armi proibite in zone abitate dalla convenzione di Ginevra del 1980.
Il fosforo bianco reagisce al'ossigeno dell'aria con una fiamma gialla che continua a bruciare, anche a contatto con la pelle. Le ferite causate sono ustioni devastanti e il fosforo non si spegne neanche sotto gli estintori.
L'errore cruciale degli Israeliani è stato quello di usare bombe al fosforo nell'attacco che ha colpito il 15 gennaio 2009 la sede delle Nazioni Unite a Gaza, uno degli "incidenti" più imbarazzanti dell'offensiva nei territori palestinesi. Alcune bombe al fosforo inesplose furono trovate tra le macerie del presidio ONU, ma Israele continuò a negare il loro uso. Le Nazioni Unite aprirono un'inchiesta a cui Israele ha risposto con un rapporto, diffuso lo scorso venerdì sera con poco clamore, sperando che la festività ebraica del sabato ammortizzasse gli effetti. Bisogna scorrere il rapporto fino al paragrafo 108 per trovare l'ammissione dell'uso di bombe al fosforo bianco. Vengono chiamati in causa due alti ufficiali israeliani, tra i quali lo stesso comandante delle operazioni militari a Gaza. Nei loro confronti non viene preso alcun provvedimento, a parte un "richiamo".
Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon presenterà il suo rapporto sull'attacco a Gaza la prossima settimna nella seduta della assemblea generale. La conseguenza potrebbe essere una denuncia di Israele al tribunale internazionale per i crimini di guerra dell'Aia. Perché questo non accada il primo ministro israeliano Netanyahu dovrebe ordinare una indagine neutrale affidata a un giudice della corte suprema. Il rapporto diffuso venerdì da Israele è stato infatti redatto da fonti delle forze armate, che in pratica hanno indagato su se stesse. Netanyahu ha fatto sapere che deciderà in merito alla fine della settimana.
Il nostro primo ministro ha passato gli ultimi due giorni in Israele, con un bel codazzo. Seguendo i suoi istinti, più da piazzista che da statista, ha ribadito nello sconcerto generale che sogna di vedere Israele nell'Unione Europea.
Tutto era cominciato con un articolo denuncia del Times di Londra che testimoniava l'uso di bombe al fosforo bianco da parte di Israele, armi proibite in zone abitate dalla convenzione di Ginevra del 1980.
Il fosforo bianco reagisce al'ossigeno dell'aria con una fiamma gialla che continua a bruciare, anche a contatto con la pelle. Le ferite causate sono ustioni devastanti e il fosforo non si spegne neanche sotto gli estintori.
L'errore cruciale degli Israeliani è stato quello di usare bombe al fosforo nell'attacco che ha colpito il 15 gennaio 2009 la sede delle Nazioni Unite a Gaza, uno degli "incidenti" più imbarazzanti dell'offensiva nei territori palestinesi. Alcune bombe al fosforo inesplose furono trovate tra le macerie del presidio ONU, ma Israele continuò a negare il loro uso. Le Nazioni Unite aprirono un'inchiesta a cui Israele ha risposto con un rapporto, diffuso lo scorso venerdì sera con poco clamore, sperando che la festività ebraica del sabato ammortizzasse gli effetti. Bisogna scorrere il rapporto fino al paragrafo 108 per trovare l'ammissione dell'uso di bombe al fosforo bianco. Vengono chiamati in causa due alti ufficiali israeliani, tra i quali lo stesso comandante delle operazioni militari a Gaza. Nei loro confronti non viene preso alcun provvedimento, a parte un "richiamo".
Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon presenterà il suo rapporto sull'attacco a Gaza la prossima settimna nella seduta della assemblea generale. La conseguenza potrebbe essere una denuncia di Israele al tribunale internazionale per i crimini di guerra dell'Aia. Perché questo non accada il primo ministro israeliano Netanyahu dovrebe ordinare una indagine neutrale affidata a un giudice della corte suprema. Il rapporto diffuso venerdì da Israele è stato infatti redatto da fonti delle forze armate, che in pratica hanno indagato su se stesse. Netanyahu ha fatto sapere che deciderà in merito alla fine della settimana.
Il nostro primo ministro ha passato gli ultimi due giorni in Israele, con un bel codazzo. Seguendo i suoi istinti, più da piazzista che da statista, ha ribadito nello sconcerto generale che sogna di vedere Israele nell'Unione Europea.
Emissioni CO2, ecco gli impegni
Alla scadenza del 31 gennaio prevista dal Copenhagen Accord 55 nazioni hanno presentato i loro obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2. Lo ha annunciato ieri il segretario dell'IPCCC Yvo De Boer, sottolineando che i 55 paesi rappresentano il 78% del consumo energetico mondiale e che le adesioni all'accordo sono ancora aperte (comunicato ufficiale ONU).
Le comunicazioni pervenute alle Nazioni Unite offrono prospettive differenti. Cina e India, ad esempio, non fanno menzione del Copenhagen Accord.
Sono 36 le nazioni della lista del cosiddetto "allegato 1" del protocollo di Kyoto che hanno dichiarato i loro obiettivi di riduzione. Il sito dell'UNFCCC pubblica tutte le lettere ufficiali pervenute all'ONU. Tra queste nazioni, che sono i paesi a cui Kyoto chiedeva di ridurre le emissioni entro il 2012 prendendo come base quelle del 1990, l'Europa ha grande maggioranza con i 27 paesi UE, Norvegia, Russia, Kazakhstan e Croazia.
Un secondo elenco riguarda le nazioni in via di sviluppo. Ci sono le grandi economie emergenti come Cina, India, Brasile, Sud Corea, Indonesia, Singapore e Sud Africa. E anche Marocco, Etiopia e altri paesi africani, Maldive. Giordania, Israele e altri. Cuba, uno dei sette paesi che aveva impedito l'approvazione dell'accordo a Copenhagen, ha scritto per ribadire la sua opposizione.
Ora ripartiranno i negoziati, con il primo round di verifica a Bonn a fine maggio. Dovrebbero seguire altre due sessioni per arrivare alla COP 16, prevista dal 29 novembre al 10 dicembre in Messico, probabilmente a Cancun.
Le comunicazioni pervenute alle Nazioni Unite offrono prospettive differenti. Cina e India, ad esempio, non fanno menzione del Copenhagen Accord.
Sono 36 le nazioni della lista del cosiddetto "allegato 1" del protocollo di Kyoto che hanno dichiarato i loro obiettivi di riduzione. Il sito dell'UNFCCC pubblica tutte le lettere ufficiali pervenute all'ONU. Tra queste nazioni, che sono i paesi a cui Kyoto chiedeva di ridurre le emissioni entro il 2012 prendendo come base quelle del 1990, l'Europa ha grande maggioranza con i 27 paesi UE, Norvegia, Russia, Kazakhstan e Croazia.
Un secondo elenco riguarda le nazioni in via di sviluppo. Ci sono le grandi economie emergenti come Cina, India, Brasile, Sud Corea, Indonesia, Singapore e Sud Africa. E anche Marocco, Etiopia e altri paesi africani, Maldive. Giordania, Israele e altri. Cuba, uno dei sette paesi che aveva impedito l'approvazione dell'accordo a Copenhagen, ha scritto per ribadire la sua opposizione.
Ora ripartiranno i negoziati, con il primo round di verifica a Bonn a fine maggio. Dovrebbero seguire altre due sessioni per arrivare alla COP 16, prevista dal 29 novembre al 10 dicembre in Messico, probabilmente a Cancun.
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