Il Los Angeles Times annuncia che lunedì prossimo la municipalità di West Hollywood a Los Angeles aprirà il cantiere per la ripavimentazione di circa due chilometri e mezzo del mitico Sunset Boulevard.
Per noi Italiani questa non sembra una notizia di rilievo. Dalle nostre parti le strade si asfaltano frequentemente, spesso dopo pochi anni. Sunset Boulevard invece è rimasto tale e quale per 75 anni, cioè da quando negli anni '30, durante la grande depressione, fu realizzata la prima pavimentazione in cemento su una strada fino ad allora polverosa.
"Probabilmente davanti al Whisky a Go-Go c'è ancora della gomma da masticare sputata da Jim Morrison" ha detto il consigliere comunale di West Hollywood John Duran.
I due strati superficiali di cemento saranno rimossi e la nuova superficie sarà in asfalto mescolato con gomma recuperata da pneumatici usati. Il nuovo manto sarà molto più silenzioso dell'attuale, dove le giunzioni del cemento provocano parecchio rumore. Sarà rifatta anche gran parte dei marciapiedi, piantate palme e magnolie e rimossi gli alberi di ficus che crescendo hanno divelto la pavimentazione.
giovedì 31 dicembre 2009
Buon 2010 da Sostenibilitalia
L'dea di lasciarsi alle spalle i cupissimi anni Zero è molto piacevole, quindi auguri a tutti.
Accompagno gli auspici con le notizie che arrivano dal luogo più iconico in assoluto per il capodanno: Times Square a New York City. Dal 23 novembre nella piazza è stato attivato un centro energetico Duracell dove semplicemente pedalando (foto sotto) si può accumulare energia che sarà utilizzata alla mezzanotte di San Silvestro per accendere le mega cifre che saluteranno l'ingresso del 2010.
L'idea non è rivoluzionaria ma simbolicamente notevole, e fa il paio con la nuova palla gigante del diametro di 4 metri che dall'anno scorso ha sostituito la precedente nella discesa su Times Square. Il nuovo globo multicolore è illuminato con 32.256 lampade LED Philips capaci di riprodurre 16 milioni di colori e miliardi di diversi effetti (foto sopra). Secondo la Philips la palla gigante di Times Square consuma l'equivalente di due forni casalinghi, cioè solo 4/5 Kw l'ora.
Sul sito ufficiale di Times Square domani dalle 17:45 locali (in Italia a partire da poco prima della nostra mezzanotte) il webcast dell'evento.
Se volete un conto alla rovescia per il capodanno declinato in tutti i fusi orari del pianeta lo trovate qui.
Accompagno gli auspici con le notizie che arrivano dal luogo più iconico in assoluto per il capodanno: Times Square a New York City. Dal 23 novembre nella piazza è stato attivato un centro energetico Duracell dove semplicemente pedalando (foto sotto) si può accumulare energia che sarà utilizzata alla mezzanotte di San Silvestro per accendere le mega cifre che saluteranno l'ingresso del 2010.
L'idea non è rivoluzionaria ma simbolicamente notevole, e fa il paio con la nuova palla gigante del diametro di 4 metri che dall'anno scorso ha sostituito la precedente nella discesa su Times Square. Il nuovo globo multicolore è illuminato con 32.256 lampade LED Philips capaci di riprodurre 16 milioni di colori e miliardi di diversi effetti (foto sopra). Secondo la Philips la palla gigante di Times Square consuma l'equivalente di due forni casalinghi, cioè solo 4/5 Kw l'ora.
Sul sito ufficiale di Times Square domani dalle 17:45 locali (in Italia a partire da poco prima della nostra mezzanotte) il webcast dell'evento.
Se volete un conto alla rovescia per il capodanno declinato in tutti i fusi orari del pianeta lo trovate qui.
lunedì 28 dicembre 2009
L'uomo che non deve chiedere mai
Vorrei capire perché ogni azione di soccorso, aiuto e recupero, dal soccorso alpino di Livigno ai bagnini di Lampedusa, sia rivendicata da di quel tipo che adora presentarsi con la tuta e gli stemmini cuciti, come un dopolavorista della bocciofila. Rivendicata solo se finisce bene, ovvio. Se va male le colpe sono sempre degli altri.
Prima di lui l'Italia come faceva? E dopo come farà, auspicando che dopo sia molto presto?
Ma soprattutto perché arriva e sentenzia sempre dopo, e mai prima?
La prevenzione non è nei programmi del governo di centrodestra?
Quanti miliardi di euro di lavori pubblici sono stati affidati senza gare da quel signore con la tuta e gli scudetti?
E perché nessuno o quasi ne critica il protagonismo e le sentenze da grillo parlante?
Con questa venerazione unanime lo facciamo santo subito o aspettiamo che Berlusconi lo designi ufficialmente come successore?
Prima di lui l'Italia come faceva? E dopo come farà, auspicando che dopo sia molto presto?
Ma soprattutto perché arriva e sentenzia sempre dopo, e mai prima?
La prevenzione non è nei programmi del governo di centrodestra?
Quanti miliardi di euro di lavori pubblici sono stati affidati senza gare da quel signore con la tuta e gli scudetti?
E perché nessuno o quasi ne critica il protagonismo e le sentenze da grillo parlante?
Con questa venerazione unanime lo facciamo santo subito o aspettiamo che Berlusconi lo designi ufficialmente come successore?
domenica 27 dicembre 2009
Pale di Natale
La Siemens ha accettato la proposta di Michael Peter Pendry, artista multimediale di Stoccarda, ed ha trasformato un generatore eolico in una maxi luce natalizia composta da 9000 LED Siemens-Osram, 3000 per ogni pala della turbina. L'installazione può esserre vista da una distanza di 30 Km e consuma in totale l'energia di un asciugacapelli. I LED sono stati incollati alle pale con una supercolla usata nell'industria aerospaziale e in condizioni di vento forte sopportano una accelerazione di 20G.
L'impianto è a lato della A9 che porta a Monaco e resterà illuminato fino al 6 gennaio. I rotori girano lentamente, quindi l'effetto reale non è quello della foto ma può essere visto in questo filmato.
L'impianto è a lato della A9 che porta a Monaco e resterà illuminato fino al 6 gennaio. I rotori girano lentamente, quindi l'effetto reale non è quello della foto ma può essere visto in questo filmato.
sabato 26 dicembre 2009
Una nuova slitta per B.N.
La General Electric ha pubblicato sul suo sito una proposta di aggiornamento per la slitta di Babbo Natale. Tra le idee per la nuova slitta pattini in ceramica, luci LED senza bisogno di alimentazione, batterie al sodio e vernici antighiaccio.
mercoledì 23 dicembre 2009
Dopenhagen - Italia
Perché la conferenza sul clima di Copenhagen si è conclusa con un accordo che non soddisfa le aspettative? Secondo il ministro invisibile dell'ambiente Prestigiacomo "ha pesato l'assenza più che giustificata per la nota aggressione del premier Silvio Berlusconi che forse, con la sua forte influenza, avrebbe potuto dare un apporto importante''.
Dopenhagen - Europa
Le letture sull'esito del summit di Copenhagen sono molteplici, ma su un punto convergono quasi tutte: il vero sconfitto della COP-15 è l'Europa.
Arrivata a Copenhagen con l'ambizione di svolgere un ruolo da protagonista, l'Europa a 27 si è ritrovata ai margini della cruciale fase di negoziati che si è svolta tra venerdì e sabato.
Obama, nelle sue dodici ore a Copenhagen, ha rivolto le sue attenzioni essenzialmente ai paesi emergenti, cominciando dalla Cina ma senza trascurare India, Brasile, Sud Africa e altri.
Forse l'America giudicava l'Europa già schierata e disponibile ed ha preferito corteggiare gli altri. Del resto la ritrovata leadership americana non ha degnato di maggiore considerazione le altre nazioni del G8, Giappone, Canada e Russia.
Gli interventi in plenaria di Merkel, Sarkozy e Brown sono stati motivati e convincenti, ma l'Europa non è riuscita a guadagnare un posto da leader. Sotto un profilo politico l'Europa esce da Copenhagen più compatta ma nettamente ridimensionata.
Arrivata a Copenhagen con l'ambizione di svolgere un ruolo da protagonista, l'Europa a 27 si è ritrovata ai margini della cruciale fase di negoziati che si è svolta tra venerdì e sabato.
Obama, nelle sue dodici ore a Copenhagen, ha rivolto le sue attenzioni essenzialmente ai paesi emergenti, cominciando dalla Cina ma senza trascurare India, Brasile, Sud Africa e altri.
Forse l'America giudicava l'Europa già schierata e disponibile ed ha preferito corteggiare gli altri. Del resto la ritrovata leadership americana non ha degnato di maggiore considerazione le altre nazioni del G8, Giappone, Canada e Russia.
Gli interventi in plenaria di Merkel, Sarkozy e Brown sono stati motivati e convincenti, ma l'Europa non è riuscita a guadagnare un posto da leader. Sotto un profilo politico l'Europa esce da Copenhagen più compatta ma nettamente ridimensionata.
lunedì 21 dicembre 2009
Dopenhagen
L'immagine più emblematica della COP-15 di Copenhagen è quella di Claudia Salerno Caldera, capo delegazione del Venezuela, che sbatte sul tavolo la sua targhetta di identificazione per avere la parola, fino a feririsi la mano e sanguinare.
Questo succedeva nella drammatica e interminabile plenaria di sabato 19 dicembre, durata quasi 13 ore.
Venezuela, Nicaragua, Costarica, Cuba, Bolivia, Sudan e Tuvalu sono le sette nazioni che si sono opposte all'approvazione del Copenhagen Accord, che secondo le regole delle Nazioni Unite avrebbe dovuto avere l'unanimità delle delegazioni presenti. Il fermo dissenso dei sette ha portato a una procedura mai sperimentata prima, frutto della mediazione del segretario generale Ban Ki-moon: l'asssemblea ha "preso atto" dell'accordo e i paesi che lo approvano (tutti meno i sette citati prima) dovranno ufficializzare entro gennaio 2010 i loro obiettivi di riduzione delle emissioni.
Il percorso è più tortuoso del previsto ma sostanzialmente segue la falsariga di un accordo. Quanto ai dissensi, nel violento parere negativo dei cinque paesi latinoamericani guidati dal Venezuela è facile leggere una opposizione politica al metodo e alla nuova leadership dell'America di Obama. In questa analisi il dato cruciale e che la voce più autorevole dell'America Latina, il Brasile di Lula, ha invece appoggiato l'accordo e partecipato attivamente alla sua redazione.
Venezuela e gli altri paesi latinoamericani non sono mai stati in prima linea nella lotta ai cambiamenti climatici, di cui non sono nè le prime vittime nè i principali responsabili. La loro opposizione è politica, come quella del Sudan, che è stato sconfessato dal resto dell'Africa e dal gruppo G-77+Cina di cui è temporaneamente portavoce. Imbarazzante che sia stato proprio il Sudan, dove è in corso un genocidio nel Darfur, a paragonare l'accordo di Copenhagen all'olocausto. Resta Tuvalu, piccola nazione insulare polinesiana che per tutte le due settimane di Copenhagen ha recitato un ruolo da protagonista rifiutando qualunque mediazione al ribasso. Ma anche in questo caso la posizione di Tuvalu non è condivisa dagli altri paesi insulari, Maldive in testa.
Restano molte perplessità sulla irrituale conclusione del vertice e sullo stesso valore legale dell'accordo, che non essendo stato approvato dall'assemblea resta un documento ad adesione volontaria. Sarà opportuno ricondurre la discussione in ambiti tecnici, assolutamente trascurati nel vortice dei negoziati politici svoltisi a Copenhagen tra venerdì e sabato. L'unico dato tecnico rimasto nelle tre brevi pagine del Copenhagen Accord è la volontà di non superare i 2° di riscaldamento globale. Non è poco, ma detto così ha poca sostanza.
Adesso comincia il dopo Copenhagen che io chiamo Dopenhagen. Entro poco più di un mese da oggi, per la fine di gennaio 2010, ogni nazione dovrà indicare i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni (cosà farà l'Italia?). Il tavolo ufficiale UNFCCC si riaprirà a Bonn dal 31 maggio all'11 giugno 2010. Si ricomincia.
Questo succedeva nella drammatica e interminabile plenaria di sabato 19 dicembre, durata quasi 13 ore.
Venezuela, Nicaragua, Costarica, Cuba, Bolivia, Sudan e Tuvalu sono le sette nazioni che si sono opposte all'approvazione del Copenhagen Accord, che secondo le regole delle Nazioni Unite avrebbe dovuto avere l'unanimità delle delegazioni presenti. Il fermo dissenso dei sette ha portato a una procedura mai sperimentata prima, frutto della mediazione del segretario generale Ban Ki-moon: l'asssemblea ha "preso atto" dell'accordo e i paesi che lo approvano (tutti meno i sette citati prima) dovranno ufficializzare entro gennaio 2010 i loro obiettivi di riduzione delle emissioni.
Il percorso è più tortuoso del previsto ma sostanzialmente segue la falsariga di un accordo. Quanto ai dissensi, nel violento parere negativo dei cinque paesi latinoamericani guidati dal Venezuela è facile leggere una opposizione politica al metodo e alla nuova leadership dell'America di Obama. In questa analisi il dato cruciale e che la voce più autorevole dell'America Latina, il Brasile di Lula, ha invece appoggiato l'accordo e partecipato attivamente alla sua redazione.
Venezuela e gli altri paesi latinoamericani non sono mai stati in prima linea nella lotta ai cambiamenti climatici, di cui non sono nè le prime vittime nè i principali responsabili. La loro opposizione è politica, come quella del Sudan, che è stato sconfessato dal resto dell'Africa e dal gruppo G-77+Cina di cui è temporaneamente portavoce. Imbarazzante che sia stato proprio il Sudan, dove è in corso un genocidio nel Darfur, a paragonare l'accordo di Copenhagen all'olocausto. Resta Tuvalu, piccola nazione insulare polinesiana che per tutte le due settimane di Copenhagen ha recitato un ruolo da protagonista rifiutando qualunque mediazione al ribasso. Ma anche in questo caso la posizione di Tuvalu non è condivisa dagli altri paesi insulari, Maldive in testa.
Restano molte perplessità sulla irrituale conclusione del vertice e sullo stesso valore legale dell'accordo, che non essendo stato approvato dall'assemblea resta un documento ad adesione volontaria. Sarà opportuno ricondurre la discussione in ambiti tecnici, assolutamente trascurati nel vortice dei negoziati politici svoltisi a Copenhagen tra venerdì e sabato. L'unico dato tecnico rimasto nelle tre brevi pagine del Copenhagen Accord è la volontà di non superare i 2° di riscaldamento globale. Non è poco, ma detto così ha poca sostanza.
Adesso comincia il dopo Copenhagen che io chiamo Dopenhagen. Entro poco più di un mese da oggi, per la fine di gennaio 2010, ogni nazione dovrà indicare i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni (cosà farà l'Italia?). Il tavolo ufficiale UNFCCC si riaprirà a Bonn dal 31 maggio all'11 giugno 2010. Si ricomincia.
domenica 20 dicembre 2009
La fine dell'inizio
Come previsto la conferenza sul clima di Copenhagen si è conclusa senza un accordo legalmente vincolante sul nuovo protocollo globale sul clima. Questo lo sapevamo più o meno tutti da mesi. Molto meno prevedibili si sono dimostrate le modalità e le conseguenze di questo epilogo, per una serie di motivi.
Il primo dato è la presenza di tutti o quasi i leader del mondo, evento mai accaduto nelle 14 COP precedenti. Le foto di Copenhagen con i grandi del pianeta seduti attorno a informali tavoli di negoziato sono una novità assoluta. Voci autorevoli riferiscono di un meeting tra i leader di Cina, India e Brasile in cui irrompe Barack Obama, lamentandosi di non essere della partita. Questa attenzione globale zittisce i negazionisti dei cambiamenti climatici e tutti coloro che fino all'ultimo hanno cercato di sminuire il significato del vertice di Copenhagen.
La seconda considerazione riguarda le liturgie delle Nazioni Unite e l'abitudine, per non dire l'arroganza, delle grandi potenze mondiali. Il primo a non capire su quale teatro si stesse recitando è stato proprio Obama, che ha vissuto freneticamente le sue 12 ore a Copenhagen con una sequenza di incontri ristretti, se non rigorosamente bilaterali, fino all'annuncio unilaterale di un accordo con i grandi paesi in via di sviluppo. Accordo che non comprendeva gli altri paesi del G8 e tutte le altre nazioni, comprese le più povere (nel linguaggio ONU sono LDC-Least Developed Countries).
Il terzo elemento è conseguente del secondo, ed è il prezzo che Obama e gli altri hanno pagato per l'arroganza e la superficialità con cui hanno trattato le procedure delle Nazioni Unite, dove USA e Cina contano come Kiribati e San Marino, almeno sulla carta. La conseguenza è stata la drammatica plenaria di sabato mattina (il New York Times pubblica una trascrizione), dove quattro nazioni latinoamericane (Venezuela, Bolivia, Nicaragua e Costarica) oltre a Sudan e Tuvalu, hanno impedito al Copenhagen Accord di essere sottoscritto dalla COP-15, relegandolo a un documento di cui il summit ha "preso atto". Le regole ONU infatti prevedono l'unanimità.
Questo punto merita qualche riga in più, perché i sei dissensi nascono da motivazioni profondamente diverse, che però hanno trovato nelle procedure un nesso comune. I latinoamericani hanno posto un problema politico, certamente strumentale ma motivato dalla oggettiva indifferenza di Obama al protocollo ONU. Non si può negare che l'accordo USA-Cina, India-Brasile-Sud Africa sia stato imposto dall'alto, con la conseguente frustrazione di chi da due anni stava lavorando con pazienza ai tavoli di mediazione.
Tuvalu e Sudan rappresentano invece l'estremizzazione di due posizioni, non condivise dagli altri stati dei rispettivi gruppi. Resta l'imbarazzo per il Sudan, che nel ruolo di portavoce del gruppo G77+Cina (130 nazioni) avrebbe dovuto mantenere atteggiamenti di moderazione, mentre ha addirittura paragonato la proposta di accordo all'olocausto. Inevitabili le prese di distanza di molti paesi del blocco.
Anche la quarta osservazione è conseguenza della seconda e riguarda sempre l'accordo appena citato. L'accordo politicamente avrà conseguenze pesantissime. L'opposizione delle quattro nazioni latinoamericane infatti ha come contrappeso il ruolo del Brasile di Lula, che è tra i fautori del documento. Quindi l'America Latina si è spaccata. Altrettanto vale per il Sud Africa e per il dichiarato appoggio di Etiopia e molti altri paesi africani, che di fronte all'opposizione del Sudan dimostrano una frattura anche in questo continente. Queste due posizioni, sommate a Cina e India e all'appoggio della Corea del Sud, sgretolano anche il fronte dei cosiddetti "paesi in via di sviluppo". Lo stesso vale per il gruppo dei piccoli paesi insulari (OASIS) . Mentre Tuvalu si metteva di traverso Maldive implorava l'appoggio all'accordo.
Il quinto punto è è che il cartello USA-grandi nazioni emergenti mette all'angolo anche Europa, Giappone, Russia, Australia e Canada. In pratica l'occidente resta rappresentato solo dall'America, che si presenta come unico interlocutore e alleato dei grandi paesi emergenti. Gli altri sono costretti a "prendere atto" e a manifestare la propria delusione. In questo scenario è evidente che la grande sconfitta è l'Europa.
Il commento dei grandi analisti politci sarà ovviamente che la conferenza di Copenhagen ha aperto una nuova stagione della politica globale in cui le decisioni possono essere prese senza la partecipazione di interlocutori come Europa e Giappone, impensabile fino a ieri. Tuttavia non è un G2 limitato a USA e Cina, come qualcuno ha scritto, ma un disegno che includendo Brasile, Sud Africa e India spacca tutti i cartelli continentali e rimescola le carte.
Tornando al clima e a quello che ci aspetta, non posso nascondere che resto ottimista, con alcune variabili da verificare nei prossimi mesi. La prima è ovviamente l'avvallo del senato USA al Climate Bill di Obama, che permetterebbe agli USA di assumere impegni molto più robusti entro pochi mesi. Gli esiti del voto sulla riforma sanitaria e i commenti della stampa americana alla delusione di Copenhagen mi fanno pensare che il provvedimento passerà.
L'Europa è smarrita e si sente in un ruolo troppo marginale. Il modo per uscirne, se gli USA approveranno il Climate Bill, sarà la decisione unilaterale di aumentare al 30% le riduzioni al 2020. La Cina è l'unica potenza ad avere la flessibilità per riconvertirsi senza eccessivi traumi alla nuova politica energetica globale e lo farà, seppure con i tempi e i riti dell'oriente (che assomigliano in modo imbarazzante a quelli della vecchia Democrazia Cristiana). Ovvero dicendo di no a oltranza salvo adeguarsi all'ultimo minuto.
Credo che Copenhagen sia la fine dell'inizio, e non il contrario, come qualcuno potrebbe pensare.
Entro gennaio 2010 le nazioni occidentali, quelle dell' "allegato 1" del protocollo di Kyoto, dovranno definire i loro livelli di riduzione delle emissioni (anche l'Italia, sono davvero curioso). Tra sei mesi nuovo round negoziale a Bonn, tra un anno la COP-16 in Messico.
Per allora o si chiude o tutti a casa davvero.
Il primo dato è la presenza di tutti o quasi i leader del mondo, evento mai accaduto nelle 14 COP precedenti. Le foto di Copenhagen con i grandi del pianeta seduti attorno a informali tavoli di negoziato sono una novità assoluta. Voci autorevoli riferiscono di un meeting tra i leader di Cina, India e Brasile in cui irrompe Barack Obama, lamentandosi di non essere della partita. Questa attenzione globale zittisce i negazionisti dei cambiamenti climatici e tutti coloro che fino all'ultimo hanno cercato di sminuire il significato del vertice di Copenhagen.
La seconda considerazione riguarda le liturgie delle Nazioni Unite e l'abitudine, per non dire l'arroganza, delle grandi potenze mondiali. Il primo a non capire su quale teatro si stesse recitando è stato proprio Obama, che ha vissuto freneticamente le sue 12 ore a Copenhagen con una sequenza di incontri ristretti, se non rigorosamente bilaterali, fino all'annuncio unilaterale di un accordo con i grandi paesi in via di sviluppo. Accordo che non comprendeva gli altri paesi del G8 e tutte le altre nazioni, comprese le più povere (nel linguaggio ONU sono LDC-Least Developed Countries).
Il terzo elemento è conseguente del secondo, ed è il prezzo che Obama e gli altri hanno pagato per l'arroganza e la superficialità con cui hanno trattato le procedure delle Nazioni Unite, dove USA e Cina contano come Kiribati e San Marino, almeno sulla carta. La conseguenza è stata la drammatica plenaria di sabato mattina (il New York Times pubblica una trascrizione), dove quattro nazioni latinoamericane (Venezuela, Bolivia, Nicaragua e Costarica) oltre a Sudan e Tuvalu, hanno impedito al Copenhagen Accord di essere sottoscritto dalla COP-15, relegandolo a un documento di cui il summit ha "preso atto". Le regole ONU infatti prevedono l'unanimità.
Questo punto merita qualche riga in più, perché i sei dissensi nascono da motivazioni profondamente diverse, che però hanno trovato nelle procedure un nesso comune. I latinoamericani hanno posto un problema politico, certamente strumentale ma motivato dalla oggettiva indifferenza di Obama al protocollo ONU. Non si può negare che l'accordo USA-Cina, India-Brasile-Sud Africa sia stato imposto dall'alto, con la conseguente frustrazione di chi da due anni stava lavorando con pazienza ai tavoli di mediazione.
Tuvalu e Sudan rappresentano invece l'estremizzazione di due posizioni, non condivise dagli altri stati dei rispettivi gruppi. Resta l'imbarazzo per il Sudan, che nel ruolo di portavoce del gruppo G77+Cina (130 nazioni) avrebbe dovuto mantenere atteggiamenti di moderazione, mentre ha addirittura paragonato la proposta di accordo all'olocausto. Inevitabili le prese di distanza di molti paesi del blocco.
Anche la quarta osservazione è conseguenza della seconda e riguarda sempre l'accordo appena citato. L'accordo politicamente avrà conseguenze pesantissime. L'opposizione delle quattro nazioni latinoamericane infatti ha come contrappeso il ruolo del Brasile di Lula, che è tra i fautori del documento. Quindi l'America Latina si è spaccata. Altrettanto vale per il Sud Africa e per il dichiarato appoggio di Etiopia e molti altri paesi africani, che di fronte all'opposizione del Sudan dimostrano una frattura anche in questo continente. Queste due posizioni, sommate a Cina e India e all'appoggio della Corea del Sud, sgretolano anche il fronte dei cosiddetti "paesi in via di sviluppo". Lo stesso vale per il gruppo dei piccoli paesi insulari (OASIS) . Mentre Tuvalu si metteva di traverso Maldive implorava l'appoggio all'accordo.
Il quinto punto è è che il cartello USA-grandi nazioni emergenti mette all'angolo anche Europa, Giappone, Russia, Australia e Canada. In pratica l'occidente resta rappresentato solo dall'America, che si presenta come unico interlocutore e alleato dei grandi paesi emergenti. Gli altri sono costretti a "prendere atto" e a manifestare la propria delusione. In questo scenario è evidente che la grande sconfitta è l'Europa.
Il commento dei grandi analisti politci sarà ovviamente che la conferenza di Copenhagen ha aperto una nuova stagione della politica globale in cui le decisioni possono essere prese senza la partecipazione di interlocutori come Europa e Giappone, impensabile fino a ieri. Tuttavia non è un G2 limitato a USA e Cina, come qualcuno ha scritto, ma un disegno che includendo Brasile, Sud Africa e India spacca tutti i cartelli continentali e rimescola le carte.
Tornando al clima e a quello che ci aspetta, non posso nascondere che resto ottimista, con alcune variabili da verificare nei prossimi mesi. La prima è ovviamente l'avvallo del senato USA al Climate Bill di Obama, che permetterebbe agli USA di assumere impegni molto più robusti entro pochi mesi. Gli esiti del voto sulla riforma sanitaria e i commenti della stampa americana alla delusione di Copenhagen mi fanno pensare che il provvedimento passerà.
L'Europa è smarrita e si sente in un ruolo troppo marginale. Il modo per uscirne, se gli USA approveranno il Climate Bill, sarà la decisione unilaterale di aumentare al 30% le riduzioni al 2020. La Cina è l'unica potenza ad avere la flessibilità per riconvertirsi senza eccessivi traumi alla nuova politica energetica globale e lo farà, seppure con i tempi e i riti dell'oriente (che assomigliano in modo imbarazzante a quelli della vecchia Democrazia Cristiana). Ovvero dicendo di no a oltranza salvo adeguarsi all'ultimo minuto.
Credo che Copenhagen sia la fine dell'inizio, e non il contrario, come qualcuno potrebbe pensare.
Entro gennaio 2010 le nazioni occidentali, quelle dell' "allegato 1" del protocollo di Kyoto, dovranno definire i loro livelli di riduzione delle emissioni (anche l'Italia, sono davvero curioso). Tra sei mesi nuovo round negoziale a Bonn, tra un anno la COP-16 in Messico.
Per allora o si chiude o tutti a casa davvero.
sabato 19 dicembre 2009
L'accordo ufficiale della COP-15
Dal sito ufficiale ecco il testo finale dell'accordo di Copenhagen, documento non approvato dall'assemblea, che ne ha solo "preso atto".
A tra poco per uno o più post riassuntivi di un summit che in ogni caso cambierà la faccia della politica globale.
A tra poco per uno o più post riassuntivi di un summit che in ogni caso cambierà la faccia della politica globale.
L'accordo di Copenhagen
Alle 00:45 di sabato il New York Times ha pubblicato on line un .pdf con il testo integrale dell'accordo di Copenhagen.
Com'è quel bicchiere?
Obama riparte per gli USA prima del voto finale "a causa di problemi metererologici su Washington". Questa è la dichiarazione che Associated Press ha diffuso mezz'ora fa, ovvero alla mezzanotte tra venerdì e sabato.
Domani sapremo qualcosa di più dettagliato e cercheremo di valutare se il bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno.
venerdì 18 dicembre 2009
Fermatevi per la notte
Yes we can
Ecco il filmato dell'arrivo di Barack Obama all'aeroporto di Copenhagen. Barack è sceso da Air Force One alle 9:10 ed è stato accolto dall'ambasciatore USA in Danimarca Laurie S. Fulton. Alle 9:22 stava già entrando Bella Center, dove mezz'ora dopo è arrivato anche il premier cinese Wen Jiabao.
Invisibile, come sempre
Alla COP-15 il programma delle dichiarazioni dei capi di stato e dei loro delegati si è svolto in grave ritardo rispetto ai tempi programmati, come accade ogni anno. Praticamente tutti i relatori superano il limite previsto, teoricamente di tre minuti. Il blocco di interventi originariamente previsto per le 21 di giovedì in realtà è cominciato poco dopo la mezzanotte di venerdì 18.
Il primo turno di questa serie spettava agli USA, con il capo negoziatore Todd Stern, ma la presidenza ha chiamato subito il secondo (Kazakhstan) e poi il terzo (Belgio). Il quarto intervento in scaletta avrebbe dovuto essere quello della Cina, ma anche qui la presidenza ha ignorato la sequenza chiamando il successivo (Bielorussia).
A questo punto è lecito immaginare che USA e Cina rimandino i loro interventi a venerdi mattina in prime time, delegandoli ai loro premier (Obama è confermato in viaggio verso Copenhagen).
Dopo la Bielorussia la presidenza ha chiamato fuori programma l'Italia ed è arrivata Stefania Prestigiacomo, che dopo l'aggressione subita da Berlusconi aveva il compito di sostituire il premier. Presty era prevista originariamente in scaletta verso l'alba, ma evidentemente le nostre buone doti diplomatiche e le defezioni le hanno permesso di parlare in un orario di maggiore visibilità. Non di molto per la verità, perché alle 00:28, quando Prestigiacomo ha preso la parola, la sala era praticamente deserta.
Prima osservazione: Presty ha parlato in italiano. Scelta bizzarra, provinciale e costosa. Le lingue ufficiali ONU sono sei: inglese, francese, spagnolo, arabo, russo e cinese. Questo significa che parlare in un'altra lingua obbliga chi lo fa a pagare di tasca propria gli interpreti. Poco prima, il ministro giapponese aveva parlato in inglese senza problemi, come quello ungherese e, subito dopo Presty, la ministra olandese.
Nel merito dei contenuti l'Italia ha detto di apprezzare la volontà di alcuni dei paesi in via di sviluppo anche se ha definito il loro impegno "uno sforzo ancora insufficiente". Ha ricordato la presidenza italiana del G8 in cui "abbiamo posto il cambiamento climatico, lo sviluppo sostenibile e l'energia al centro dell'agenda".
Prestigiacomo ha invocato che il vertice si concluda con un "accordo politico impegnativo da definire entro pochi mesi in un trattato con impegni vincolanti".
Nei sette minuti del suo intervento la ministra non ha proposto cifre e non ha fatto alcun accenno ad impegni del governo italiano. Niente a che vedere con quanto detto da Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna o Danimarca.
Imbarazzante il confronto con la concretezza e la competenza di Jacqueline Cramer, ministra olandese di centrodestra che ha preso la parola immediatamente dopo.
Invisibile.
Il primo turno di questa serie spettava agli USA, con il capo negoziatore Todd Stern, ma la presidenza ha chiamato subito il secondo (Kazakhstan) e poi il terzo (Belgio). Il quarto intervento in scaletta avrebbe dovuto essere quello della Cina, ma anche qui la presidenza ha ignorato la sequenza chiamando il successivo (Bielorussia).
A questo punto è lecito immaginare che USA e Cina rimandino i loro interventi a venerdi mattina in prime time, delegandoli ai loro premier (Obama è confermato in viaggio verso Copenhagen).
Dopo la Bielorussia la presidenza ha chiamato fuori programma l'Italia ed è arrivata Stefania Prestigiacomo, che dopo l'aggressione subita da Berlusconi aveva il compito di sostituire il premier. Presty era prevista originariamente in scaletta verso l'alba, ma evidentemente le nostre buone doti diplomatiche e le defezioni le hanno permesso di parlare in un orario di maggiore visibilità. Non di molto per la verità, perché alle 00:28, quando Prestigiacomo ha preso la parola, la sala era praticamente deserta.
Prima osservazione: Presty ha parlato in italiano. Scelta bizzarra, provinciale e costosa. Le lingue ufficiali ONU sono sei: inglese, francese, spagnolo, arabo, russo e cinese. Questo significa che parlare in un'altra lingua obbliga chi lo fa a pagare di tasca propria gli interpreti. Poco prima, il ministro giapponese aveva parlato in inglese senza problemi, come quello ungherese e, subito dopo Presty, la ministra olandese.
Nel merito dei contenuti l'Italia ha detto di apprezzare la volontà di alcuni dei paesi in via di sviluppo anche se ha definito il loro impegno "uno sforzo ancora insufficiente". Ha ricordato la presidenza italiana del G8 in cui "abbiamo posto il cambiamento climatico, lo sviluppo sostenibile e l'energia al centro dell'agenda".
Prestigiacomo ha invocato che il vertice si concluda con un "accordo politico impegnativo da definire entro pochi mesi in un trattato con impegni vincolanti".
Nei sette minuti del suo intervento la ministra non ha proposto cifre e non ha fatto alcun accenno ad impegni del governo italiano. Niente a che vedere con quanto detto da Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna o Danimarca.
Imbarazzante il confronto con la concretezza e la competenza di Jacqueline Cramer, ministra olandese di centrodestra che ha preso la parola immediatamente dopo.
Invisibile.
giovedì 17 dicembre 2009
Trecento superstiti
La conferenza sul clima di Copenhagen resterà nella memoria per il record di presenze: oltre 40000 delegati, di cui 5000 giornalisti e almeno quindicimila rappresentanti della "società civile", quelli che la diplomazia ONU classifica come "osservatori". Tra questi i delegati delle ONG ambientali, delle imprese, ricerca, donne, popolazioni indigene, agricoltori, giovani, sindacati. E i rappresentanti degli enti locali, oltre mille compreso chi scrive.
Che la conferenza fosse affollata e di difficile gestione lo si è capito bene lunedì scorso, quando all'inizio della seconda settimana sono arrivati migliaia di nuovi delegati che hanno messo l'organizzazione in grave crisi. La conseguenza sono state code di ore per accreditarsi, proteste e i primi incidenti. L'organizzazione ha quindi deciso di limitare l'accesso ai delegati della società civile, che da martedì sono stati ridotti a 7000. Sono state distribuite altre tessere da accoppiare all'accredito per poter avere accesso a Bella Center.
Mercoledì, giorno di inizio del cosiddetto High Level Segment con i capi di stato, c'è stata una manifestazione fuori dei cancelli che ha provocato una risposta piuttosto isterica della polizia danese e 250 arresti. La situazione è precipitata. La procedura di accredito è stata sospesa indefinitivamente e i nuovi arrivati hanno visto negata la possibilità di accedere al summit. Dopo la manifestazione l'accesso è stato vietato anche a coloro che erano già accreditati e in possesso di uno dei 7000 secondi pass.
Mercoledì sera l'organizzazione ha convocato i gruppi della società civile per annunciare la volonta di bloccare completamente l'accesso a Bella Center. Dopo una lunga trattativa sono stati concessi trecento ingressi rispetto agli oltre 15000 accrediti, uno ogni 50 delegati. Ogni gruppo si è visto assegnare un numero di pass in relazione alla propria consistenza e al numero di organizzazioni rappresentate. Alle autorità locali ne sono stati concessi solo 18, uno dei quali a me.
Stamattina entrare a Bella Center era surreale. Il grande padiglione di ingresso, di solito affollato di persone e degli stand delle ONG, era quasi deserto. Tutte le sessioni parallele erano state annullate o spostate altrove, visto che l'accesso era stato reso quasi impossibile.
La comunicazione ufficiale diceva che l'accesso era stato limitato a 300 delegati "per mantenere un ambiente pacifico per i negoziati e garantire il necessario livello di sicurezza in occasione della presenza di oltre 110 capi di stato". Qualcuno, come i ragazzi della foto sopra, aveva tentato un sit in di protesta rifiutandosi di lasciare Bella Center. Sono stati cacciati con la forza a notte fonda.
Che la conferenza fosse affollata e di difficile gestione lo si è capito bene lunedì scorso, quando all'inizio della seconda settimana sono arrivati migliaia di nuovi delegati che hanno messo l'organizzazione in grave crisi. La conseguenza sono state code di ore per accreditarsi, proteste e i primi incidenti. L'organizzazione ha quindi deciso di limitare l'accesso ai delegati della società civile, che da martedì sono stati ridotti a 7000. Sono state distribuite altre tessere da accoppiare all'accredito per poter avere accesso a Bella Center.
Mercoledì, giorno di inizio del cosiddetto High Level Segment con i capi di stato, c'è stata una manifestazione fuori dei cancelli che ha provocato una risposta piuttosto isterica della polizia danese e 250 arresti. La situazione è precipitata. La procedura di accredito è stata sospesa indefinitivamente e i nuovi arrivati hanno visto negata la possibilità di accedere al summit. Dopo la manifestazione l'accesso è stato vietato anche a coloro che erano già accreditati e in possesso di uno dei 7000 secondi pass.
Mercoledì sera l'organizzazione ha convocato i gruppi della società civile per annunciare la volonta di bloccare completamente l'accesso a Bella Center. Dopo una lunga trattativa sono stati concessi trecento ingressi rispetto agli oltre 15000 accrediti, uno ogni 50 delegati. Ogni gruppo si è visto assegnare un numero di pass in relazione alla propria consistenza e al numero di organizzazioni rappresentate. Alle autorità locali ne sono stati concessi solo 18, uno dei quali a me.
Stamattina entrare a Bella Center era surreale. Il grande padiglione di ingresso, di solito affollato di persone e degli stand delle ONG, era quasi deserto. Tutte le sessioni parallele erano state annullate o spostate altrove, visto che l'accesso era stato reso quasi impossibile.
La comunicazione ufficiale diceva che l'accesso era stato limitato a 300 delegati "per mantenere un ambiente pacifico per i negoziati e garantire il necessario livello di sicurezza in occasione della presenza di oltre 110 capi di stato". Qualcuno, come i ragazzi della foto sopra, aveva tentato un sit in di protesta rifiutandosi di lasciare Bella Center. Sono stati cacciati con la forza a notte fonda.
Klimaforum
Come Sanremo anche Copenhagen ha il suo controfestival. Il Klimaforum è la risposta alternativa alla COP-15, organizzata da un gruppo notevole di ONG nel centro di Copenhagen, alle spalle della stazione.
Entrando a Klimaforum non si passa attraverso controlli di sicurezza, scanner e non si fanno code. L'atmosfera è rilassata e abbastanza fricchettona, un po' vetero ma accogliente.
Klimaforum ha diffuso un documento finale intitolato "Cambiamento del sistema, non cambiamento del clima" che è già stato sottoscritto da oltre 300 organizzazioni.
Entrando a Klimaforum non si passa attraverso controlli di sicurezza, scanner e non si fanno code. L'atmosfera è rilassata e abbastanza fricchettona, un po' vetero ma accogliente.
Klimaforum ha diffuso un documento finale intitolato "Cambiamento del sistema, non cambiamento del clima" che è già stato sottoscritto da oltre 300 organizzazioni.
Si rimescolano le carte
Molte cose succedono oggi a Copenhagen e nei corridoi si fanno incontri importanti.
Ho appena visto e fotografato il commissario europeo ai cambiamenti climatici e presidente della COP Connie Hedegaard, che uscendo dalla plenaria faceva dei commenti con i giornalisti. Parlava in danese, quindi non ho capito una parola.
Nei corridoi ho incrociato prima Nicholas Sarkozy (veramente basso) che entrava nel padiglione europeo, poi Gordon Brown che ne usciva.
Sarkozy ha appena parlato in plenaria, un intervento davvero buono. Poco prima di lui Zapatero ha iniziato ringraziando la società civile e gli ambientalisti. Ruffiano, ma a noi è piaciuto.
Ho appena visto e fotografato il commissario europeo ai cambiamenti climatici e presidente della COP Connie Hedegaard, che uscendo dalla plenaria faceva dei commenti con i giornalisti. Parlava in danese, quindi non ho capito una parola.
Nei corridoi ho incrociato prima Nicholas Sarkozy (veramente basso) che entrava nel padiglione europeo, poi Gordon Brown che ne usciva.
Sarkozy ha appena parlato in plenaria, un intervento davvero buono. Poco prima di lui Zapatero ha iniziato ringraziando la società civile e gli ambientalisti. Ruffiano, ma a noi è piaciuto.
Copenhagen in bilico
Nella plenaria di Copenhagen sta parlando il primo ministro inglese che ha appena chiesto un accordo "legalmente vincolante" entro sei mesi. Una posizione molto più radicale e ottimista di quella del suo ministro Ed Miliband, che ieri sera aveva detto che il summit rischiava di trasformarsi in "una farsa". Brown ha concluso dicendo che "non possiamo permettere che la politica dei piccoli interessi privati prevalga su una strategia per salvare l'umanità".
Gli umori e le previsioni sono altalenanti e ogni soluzione sembra ancora possibile, anche se è certo che le trattative sono in ritardo "almeno di diciotto ore" come commenta un navigato negoziatore.
Quando arrivano i capi di stato il testo finale dovrebbe essere pronto o quasi, mentre ancora siamo in alto mare. Il primo ministro australiano Kevin Rudd, che ha parlato prima di Brown, ha ricordato che nel testo ci sono ancora 102 frasi racchiuse tra parentesi quadre, il che significa che su quelle non c'è ancora accordo. Di certo non si chiuderà domani sera e i negoziati proseguiranno anche sabato.
L'ultima notizia che circola qui a Bella Center è che la presidenza danese ha ritirato il testo che aveva proposto e che i gruppi di negoziatori riprenderanno i lavori alle 11:30. Un bel casino.
Gli umori e le previsioni sono altalenanti e ogni soluzione sembra ancora possibile, anche se è certo che le trattative sono in ritardo "almeno di diciotto ore" come commenta un navigato negoziatore.
Quando arrivano i capi di stato il testo finale dovrebbe essere pronto o quasi, mentre ancora siamo in alto mare. Il primo ministro australiano Kevin Rudd, che ha parlato prima di Brown, ha ricordato che nel testo ci sono ancora 102 frasi racchiuse tra parentesi quadre, il che significa che su quelle non c'è ancora accordo. Di certo non si chiuderà domani sera e i negoziati proseguiranno anche sabato.
L'ultima notizia che circola qui a Bella Center è che la presidenza danese ha ritirato il testo che aveva proposto e che i gruppi di negoziatori riprenderanno i lavori alle 11:30. Un bel casino.
Salvate gli umani
mercoledì 16 dicembre 2009
Populista, ma di buon senso
L'agonia di Kyoto
Clima pesante qui a Copenhagen, sia dentro che fuori Bella Center.
I negoziati sono in fase di stallo mentre sono iniziate le dichiarazioni dei capi di stato. In questo momento sta parlando il ministro australiano Penny Wong a nome dei paesi del Umbrella Group (Australia, Canada, Giappone, Islanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Russia, Ucraina e USA).
Il problema che divide paesi occidentali e nazioni in via di sviluppo è fondamentalmente quello di decidere se proseguire sulla falsariga del protocollo di Kyoto (nessun impegno vincolante per i paesi emergenti) o se creare un nuovo strumento che preveda obblighi anche per loro.
Il ministro dell'ambiente indiano Jairam Ramesh (foto) è un bel personaggio, l'ho incontrato poco fa nei corridoi. Stamattina Ramesh ha detto alla stampa che "se Kyoto non è morto perlomeno è in terapia intensiva".
I negoziati sono in fase di stallo mentre sono iniziate le dichiarazioni dei capi di stato. In questo momento sta parlando il ministro australiano Penny Wong a nome dei paesi del Umbrella Group (Australia, Canada, Giappone, Islanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Russia, Ucraina e USA).
Il problema che divide paesi occidentali e nazioni in via di sviluppo è fondamentalmente quello di decidere se proseguire sulla falsariga del protocollo di Kyoto (nessun impegno vincolante per i paesi emergenti) o se creare un nuovo strumento che preveda obblighi anche per loro.
Il ministro dell'ambiente indiano Jairam Ramesh (foto) è un bel personaggio, l'ho incontrato poco fa nei corridoi. Stamattina Ramesh ha detto alla stampa che "se Kyoto non è morto perlomeno è in terapia intensiva".
martedì 15 dicembre 2009
Ancora tre lunghi giorni
Giornata molto intensa oggi alla COP-15 di Copenhagen, complicata dall'inizio del High Level Segment con l'arrivo dei primi capi di stato, dei loro staff e di molte personalità. Si sono visti il sindaco di New York Michael Bloomberg (nella foto con il sindaco di Copenhagen Ritt Bjerregaard) e quello di Londra Boris Johnson, insieme a molti altri primi cittadini che partecipano a un incontro del C40 che però si svolge in città e non nel recinto della COP. Dovrebbero esserci anche Moratti e Alemanno per Milano e Roma.
Oggi alla COP sono passati anche Arnold Schwarzenegger e Al Gore e alle 17:30 il segretario generale ONU Ban Ki-Moon e il primo ministro danese hanno aperto formalmente la tre giorni dedicata agli interventi dei capi di stato (130 sono annunciati, tra i primi ad arrivare Robert Mugabe). Nella cerimonia anche un lungo intervento del Principe Carlo che ho fatto fatica a seguire.
Intanto i negoziati proseguono a strappi. Connie Hedegaard, che presiede il summit, ha detto che "è il momento dei compromessi" ma l'aria non sembra quella. Il nuovo gruppo informale chiamato BASIC (Brasile, Sud Africa, India e Cina) ha detto di avere pronto un testo di accordo che presenterà "solo se i paesi industrializzati ne presenteranno un altro".
Al Gore ha chiesto che dopo Copenhagen si anticipi la prossima COP a luglio (la sede designata è Citta del Messico). C'erano molte aspettative su una conferenza stampa di Todd Stern, capo negoziatore USA, che è stata poi annullata.
Nel frattempo Climate Interactive ha elaborato una proiezione basata sulla bozza di accordo in circolazione. Ne risulterebbe un aumento della temperatura del pianeta di 3.9° al 2100, quasi il doppio rispetto ai 2° ritenuti la soglia massima di sicurezza.
I gruppi tecnici questa sera finiscono il loro lavoro e si parte con la frenetica negoziazione politica. I due principali nodi da sciogliere restano gli obiettivi di riduzione delle emissioni, con particolare riguardo al rapporto tra paesi industrializzati e in via di sviluppo, e la quantificazione degli aiuti economici per i paesi più poveri.
"Dopo tre anni di lavoro mancano solo tre giorni, non fermiamoci proprio sul sentiero che porta a casa" - ha detto stasera Ban Ki-moon.
Oggi alla COP sono passati anche Arnold Schwarzenegger e Al Gore e alle 17:30 il segretario generale ONU Ban Ki-Moon e il primo ministro danese hanno aperto formalmente la tre giorni dedicata agli interventi dei capi di stato (130 sono annunciati, tra i primi ad arrivare Robert Mugabe). Nella cerimonia anche un lungo intervento del Principe Carlo che ho fatto fatica a seguire.
Intanto i negoziati proseguono a strappi. Connie Hedegaard, che presiede il summit, ha detto che "è il momento dei compromessi" ma l'aria non sembra quella. Il nuovo gruppo informale chiamato BASIC (Brasile, Sud Africa, India e Cina) ha detto di avere pronto un testo di accordo che presenterà "solo se i paesi industrializzati ne presenteranno un altro".
Al Gore ha chiesto che dopo Copenhagen si anticipi la prossima COP a luglio (la sede designata è Citta del Messico). C'erano molte aspettative su una conferenza stampa di Todd Stern, capo negoziatore USA, che è stata poi annullata.
Nel frattempo Climate Interactive ha elaborato una proiezione basata sulla bozza di accordo in circolazione. Ne risulterebbe un aumento della temperatura del pianeta di 3.9° al 2100, quasi il doppio rispetto ai 2° ritenuti la soglia massima di sicurezza.
I gruppi tecnici questa sera finiscono il loro lavoro e si parte con la frenetica negoziazione politica. I due principali nodi da sciogliere restano gli obiettivi di riduzione delle emissioni, con particolare riguardo al rapporto tra paesi industrializzati e in via di sviluppo, e la quantificazione degli aiuti economici per i paesi più poveri.
"Dopo tre anni di lavoro mancano solo tre giorni, non fermiamoci proprio sul sentiero che porta a casa" - ha detto stasera Ban Ki-moon.
Terminator a Copenhagen
Oggi alla COP 15 c'è anche Arnold Schwarzenegger, che è protagonista di una sessione assieme a Jose Serra, governatore brasiliano dello stato di San Paolo. La sala è piccola e strapiena, impossibile entrare.
Nel pomeriggio alle 16:30 è previsto anche un intervento di Al Gore e alle 17 scatta l'inaugurazione ufficiale del High Level Segment con il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.
Da oggi le misure di sicurezza sono state intensificate per l'arrivo dei capi di stato. Anche gli ingressi sono contingentati, con l'introduzione di un secondo pass senza il quale l'accredito iniziale non vale nulla. I superpass sono in tutto settemila, che sembrerebbero molti. Peccato che i delegati accreditati abbiano superato la cifra di quarantamila.
Naturalmente i membri delle delegazioni di stato non hanno limitazioni e i premier che arrivano da oggi in poi (stasera c'è anche la cena di gala) si portano tutti un poderoso codazzo. La limitazione vale quindi solo per la "società civile", ONG e gruppi di pressione.
Il cerchio si stringerà ulteriormente giovedì, quando da settemila si passerà solo a mille superpass. A quel punto diventerà dura davvero.
Nel pomeriggio alle 16:30 è previsto anche un intervento di Al Gore e alle 17 scatta l'inaugurazione ufficiale del High Level Segment con il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.
Da oggi le misure di sicurezza sono state intensificate per l'arrivo dei capi di stato. Anche gli ingressi sono contingentati, con l'introduzione di un secondo pass senza il quale l'accredito iniziale non vale nulla. I superpass sono in tutto settemila, che sembrerebbero molti. Peccato che i delegati accreditati abbiano superato la cifra di quarantamila.
Naturalmente i membri delle delegazioni di stato non hanno limitazioni e i premier che arrivano da oggi in poi (stasera c'è anche la cena di gala) si portano tutti un poderoso codazzo. La limitazione vale quindi solo per la "società civile", ONG e gruppi di pressione.
Il cerchio si stringerà ulteriormente giovedì, quando da settemila si passerà solo a mille superpass. A quel punto diventerà dura davvero.
lunedì 14 dicembre 2009
Unire l'utile al dilettevole
Tattiche, negoziati e protocolli
In tarda mattinata alla conferenza di Copenhagen si è sparsa la voce che i paesi in via di sviluppo avevano abbandonato i tavoli dei negoziati giudicando inaccettabile la bozza di accordo proposta dalla presidenza. La protesta, guidata dai paesi africani, è stata giudicata "spiacevole" dal ministro per l'energia dell'Australia Penny Wong, perché "basata sulle procedure e sulla forma, non sulla sostanza".
Il motivo centrale della protesta sarebbe il timore che i paesi industrializzati vogliano cancellare i principi del protocollo di Kyoto prima della scadenza programmata nel 2012 e passare ad un accordo di altro livello. Il gruppo G77+China, che comprende circa 130 paesi, vorrebbe invece estendere Kyoto, che per i paesi in via di sviluppo non prevede obblighi vincolanti di riduzione delle emissioni.
Alle 13:30 il ministro invisibile dell'ambiente Stefania Prestigiacomo ha convocato la stampa italiana per riferire che il nostro paese è allineato con la posizione europea e che tutto è nelle mani della delegazione USA, il vero ago della bilancia.
Prestigiacomo ha anche detto di non sapere se Berlusconi dopo l'aggressione di ieri sera sarà presente a Copenhagen. Il programma del vertice prevede l'intervento del premier italiano per giovedì pomeriggio attorno alle 17.
Fonti inglesi invece confermano che Gordon Brown arriverà domani a Copenhagen, due giorni prima di quanto originariamente previsto.
Il motivo centrale della protesta sarebbe il timore che i paesi industrializzati vogliano cancellare i principi del protocollo di Kyoto prima della scadenza programmata nel 2012 e passare ad un accordo di altro livello. Il gruppo G77+China, che comprende circa 130 paesi, vorrebbe invece estendere Kyoto, che per i paesi in via di sviluppo non prevede obblighi vincolanti di riduzione delle emissioni.
Alle 13:30 il ministro invisibile dell'ambiente Stefania Prestigiacomo ha convocato la stampa italiana per riferire che il nostro paese è allineato con la posizione europea e che tutto è nelle mani della delegazione USA, il vero ago della bilancia.
Prestigiacomo ha anche detto di non sapere se Berlusconi dopo l'aggressione di ieri sera sarà presente a Copenhagen. Il programma del vertice prevede l'intervento del premier italiano per giovedì pomeriggio attorno alle 17.
Fonti inglesi invece confermano che Gordon Brown arriverà domani a Copenhagen, due giorni prima di quanto originariamente previsto.
domenica 13 dicembre 2009
Il logo della COP-15
Il marchio della conferenza sul clima di Copenhagen è un globo composto da una intricata rete di linee segmentate.
Gli autori sono Troels Faber e Jakob Wildschiødtz dello studio grafico NR2154 che sono risultati vincitori di un concorso lanciato nel settembre 2007 a cui hanno partecipato 269 designer.
Le linee che compongono il globo sono 192, quanti i paesi membri delle Nazioni Unite.
La vittoria nel concorso è valsa a NR2154 il primo premio di centomila corone, poco meno di 13500 Euro. Nella giuria c'erano anche il ministro degli esteri danese Per Stig Møller e Connie Hedegaard, presidente della COP e prossimo commissario europeo ai cambiamenti climatici.
Gli autori sono Troels Faber e Jakob Wildschiødtz dello studio grafico NR2154 che sono risultati vincitori di un concorso lanciato nel settembre 2007 a cui hanno partecipato 269 designer.
Le linee che compongono il globo sono 192, quanti i paesi membri delle Nazioni Unite.
La vittoria nel concorso è valsa a NR2154 il primo premio di centomila corone, poco meno di 13500 Euro. Nella giuria c'erano anche il ministro degli esteri danese Per Stig Møller e Connie Hedegaard, presidente della COP e prossimo commissario europeo ai cambiamenti climatici.
sabato 12 dicembre 2009
Zéro crédibilité
Il giornale francese La Tribune pubblica ogni anno una classifica dei 27 leader dei paesi dell'Unione Europea. I giudizi sono espressi da un gruppo di 25 giornalisti corrispondenti da Bruxelles per testate sparse in tutta Europa.
Quest'anno il primato spetta al primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt, che subentra a Nicholas Sarkozy. Il premier francese, vincitore nel 2008, scivola in ottava posizione.
All'ultimo posto, confermando la maglia nera del 2008, il nostro Silvio Berlusconi. La testata francese ci tiene a scrivere che Berlù in Europa ha "zéro crédibilité".
Quest'anno il primato spetta al primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt, che subentra a Nicholas Sarkozy. Il premier francese, vincitore nel 2008, scivola in ottava posizione.
All'ultimo posto, confermando la maglia nera del 2008, il nostro Silvio Berlusconi. La testata francese ci tiene a scrivere che Berlù in Europa ha "zéro crédibilité".
venerdì 11 dicembre 2009
Clima, spunta un altro testo
Stamattina France Press ha annunciato di avere preso visione della prima vera bozza di accordo finale della Conferenza di Copenhagen
Secondo l'agenzia il testo prevede come obiettivo di limitare il riscaldamento globale di 1.5 o 2 gradi come massimo. Le due ipotesi sono in alternativa, la prima sostenuta dai paesi più vulnerabili, la seconda dalle grandi potenze industriali.
Il nuovo trattato entrerebbe in vigore nel 2013, rispettando la scadenza prevista del 2012 per il Protocollo di Kyoto. Il testo è stato predisposto dal Ad-hoc Working Group on Long-Term Cooperative Action (AWG-LCA), uno dei due tavoli negoziali di Copenhagen ed è stato diffuso da Michael Zammit Cutajar, coordinatore del gruppo, che ha riassunto in sole sei pagine il voluminoso documento preparatorio di 180 fogli.
Altro punto ancora da definire sono i livelli massimi di emissione, che entro il 2020 dovrebbero vedere coinvolti nella riduzione anche i paesi in via di sviluppo, oggi liberi da impegni. Previste obiettivi ancora da definire anche per il 2050, anno in cui rispetto al 1990 le emissioni dovrebbero calare drasticamente. Il documento include tre diverse ipotesi di riduzione: 50%, 80%, 95%.
Insomma, c'è ancora molto da fare. Ma la diffusione di una bozza ufficiale indebolisce le altre proposte elaborate dai vari gruppi di paesi, anche se si parla di una nuova proposta che la presidenza danese presenterà domani.
Secondo l'agenzia il testo prevede come obiettivo di limitare il riscaldamento globale di 1.5 o 2 gradi come massimo. Le due ipotesi sono in alternativa, la prima sostenuta dai paesi più vulnerabili, la seconda dalle grandi potenze industriali.
Il nuovo trattato entrerebbe in vigore nel 2013, rispettando la scadenza prevista del 2012 per il Protocollo di Kyoto. Il testo è stato predisposto dal Ad-hoc Working Group on Long-Term Cooperative Action (AWG-LCA), uno dei due tavoli negoziali di Copenhagen ed è stato diffuso da Michael Zammit Cutajar, coordinatore del gruppo, che ha riassunto in sole sei pagine il voluminoso documento preparatorio di 180 fogli.
Altro punto ancora da definire sono i livelli massimi di emissione, che entro il 2020 dovrebbero vedere coinvolti nella riduzione anche i paesi in via di sviluppo, oggi liberi da impegni. Previste obiettivi ancora da definire anche per il 2050, anno in cui rispetto al 1990 le emissioni dovrebbero calare drasticamente. Il documento include tre diverse ipotesi di riduzione: 50%, 80%, 95%.
Insomma, c'è ancora molto da fare. Ma la diffusione di una bozza ufficiale indebolisce le altre proposte elaborate dai vari gruppi di paesi, anche se si parla di una nuova proposta che la presidenza danese presenterà domani.
L'Europa mette gli Euro sul tavolo
Gordon Brown e Nicholas Sarkozy hanno annunciato stamattina a margine della riunione del Consiglio Europeo che contribuiranno in misura determinante agli aiuti che l'Unione Europea destinerà ai paesi in via di sviluppo per la lotta ai cambiamenti climatici.
I finanziamenti saranno di 2.4 miliardi di Euro l'anno per tre anni, 7.2 miliardi in totale. La Gran Bretagna contribuirà con una quota di 1.36 miliardi di Euro e la Francia di 1.26. La Svezia impegnera ben 800 milioni, molti rispetto alle dimensioni del paese. La Spagna 300 e la Finlandia 100. Non sono state rese note le quote a carico di Germania e Italia.
I finanziamenti saranno di 2.4 miliardi di Euro l'anno per tre anni, 7.2 miliardi in totale. La Gran Bretagna contribuirà con una quota di 1.36 miliardi di Euro e la Francia di 1.26. La Svezia impegnera ben 800 milioni, molti rispetto alle dimensioni del paese. La Spagna 300 e la Finlandia 100. Non sono state rese note le quote a carico di Germania e Italia.
giovedì 10 dicembre 2009
Illustrare il cambiamento climatico
Il cambiamento climatico raffigurato come un grande cantiere edile, dove l'edificio in costruzione ha due falde di tetto (adattamento e mitigazione) e quattro piani (scienza, economia, società e amministrazione/giurisprudenza).
Oltre a vari altri elementi.
L'ambizione di racchiudere un tema così complesso in una unica illistrazione è di diplomacy.edu che mette a disposizione per il download anche una versione ad alta risoluzione (15Mb) per stampare poster.
Oltre a vari altri elementi.
L'ambizione di racchiudere un tema così complesso in una unica illistrazione è di diplomacy.edu che mette a disposizione per il download anche una versione ad alta risoluzione (15Mb) per stampare poster.
Ci mancava Sarah Palin
In America l'opposizione repubblicana non gradisce l'apertura del governo USA verso un accordo sul clima e la presenza di Obama alla COP-15 di Copenhagen.
Oggi il Washington Post pubblica un articolo di Sarah Palin (foto) che irride la conferenza di Copenhagen e chiede apertamente a Obama di stare alla larga e boicottare il summit, che sarebbe basato su accordi politici e non scientifici. La stessa posizione di molti esponenti della destra di governo italiana.
L'altra faccia della medaglia è quella descritta da Johann Hari in un articolo su The Huffington Post dal titolo "Quanto vorrei che chi nega i cambiamenti climatici avesse ragione". Il ragionamento di Hari è semplice è concreto. "Mettiamo che ci sia il 50% di possibilità che gli scienziati che proclamano che la causa del cambiamento climatico sia antropica abbiano torto. Sarebbe un rischio che vale la pena di correre? (...) Immaginate di imbarcarvi su un aereo con la vostra famiglia. Un gruppo autorevole di ingegneri aereonautici vi dice di avere studiato nei dettagli i motori dell'aereo e di essere certi che questo precipiterà dopo il decollo, mostrandovi dati e statistiche che confermano la loro previsione. Poi un gruppo di giornalisti e altri "esperti" vi dice che tutto è a posto e che l'aereo di certo non precipiterà. Vi imbarchereste su quel volo? Questa - conclude Johann Hari - è la decisione che dobbiamo prendere a Copenhagen".
Oggi il Washington Post pubblica un articolo di Sarah Palin (foto) che irride la conferenza di Copenhagen e chiede apertamente a Obama di stare alla larga e boicottare il summit, che sarebbe basato su accordi politici e non scientifici. La stessa posizione di molti esponenti della destra di governo italiana.
L'altra faccia della medaglia è quella descritta da Johann Hari in un articolo su The Huffington Post dal titolo "Quanto vorrei che chi nega i cambiamenti climatici avesse ragione". Il ragionamento di Hari è semplice è concreto. "Mettiamo che ci sia il 50% di possibilità che gli scienziati che proclamano che la causa del cambiamento climatico sia antropica abbiano torto. Sarebbe un rischio che vale la pena di correre? (...) Immaginate di imbarcarvi su un aereo con la vostra famiglia. Un gruppo autorevole di ingegneri aereonautici vi dice di avere studiato nei dettagli i motori dell'aereo e di essere certi che questo precipiterà dopo il decollo, mostrandovi dati e statistiche che confermano la loro previsione. Poi un gruppo di giornalisti e altri "esperti" vi dice che tutto è a posto e che l'aereo di certo non precipiterà. Vi imbarchereste su quel volo? Questa - conclude Johann Hari - è la decisione che dobbiamo prendere a Copenhagen".
mercoledì 9 dicembre 2009
Copenhagen, primi casini
La notizia più importante di ieri della COP-15 non viene da Copenhagen ma da Londra, dove il Guardian ha prima svelato e poi pubblicato in versione integrale una bozza di accordo finale che sarebbe stata preparata da un gruppo di paesi occidentali tra cui Danimarca, USA e Gran Bretagna.
La voce che un testo fosse in corso d'opera era già circolata giorni fa, ma stavolta il documento è arrivato in mano alla stampa e ieri a Copenhagen tutti si affannavano per scaricarlo e stamparlo.
In sostanza la bozza prevede tetti diversi di emissioni per paesi occidentali e in via di sviluppo e introduce il meccanismo finanziario degli aiuti occidentali a partire dal 2012 sotto la supervisione della Banca Mondiale, quantificato in 10 miliardi di dollari l'anno. Inoltre i paesi in via di sviluppo vengono scorporati in due gruppi, creando la categoria dei "più vulnerabili".
La questione politicamente più rilevante è che i tetti di emissione fissati al 2050 sono molto diversi: ai paesi occidentali spettano 2.67 tonnellate per abitante, a quelli in via di sviluppo solo 1.44 t a testa.
La proposta non è piaciuta al gruppo G77+Cina, ovvero ai circa 130 paesi in via di sviluppo. Il Sudan, attuale portavoce di G77, ha dichiarato che "il testo scippa i paesi in via di sviluppo della loro equa porzione di atmosfera e non tratta in modo paritario paesi ricchi e paesi poveri".
"Quale versione del testo è stata pubblicata?" si chiedevano invece i negoziatori più navigati. Alcuni dopo avere letto il documento hanno commentato che c'era "qualche novità, anche se non particolarmente importante" rispetto al testo già in circolazione da settimane. Altri hanno giudicato positivo che la bozza di accordo sia trapelata, perché in questo modo le questioni più importanti sono state poste sul tavolo allo scoperto.
Al Bella Center si parla anche di altri gruppi riuniti a scrivere bozze di accordo, che saranno rese pubbliche nei prossimi giorni. "Sono al corrente di almeno quattro iniziative diverse - ha riferito uno dei soliti bene informati - e l'ultima cosa che serve è una sorta di concorso di bellezza tra proposte di accordo".
La voce che un testo fosse in corso d'opera era già circolata giorni fa, ma stavolta il documento è arrivato in mano alla stampa e ieri a Copenhagen tutti si affannavano per scaricarlo e stamparlo.
In sostanza la bozza prevede tetti diversi di emissioni per paesi occidentali e in via di sviluppo e introduce il meccanismo finanziario degli aiuti occidentali a partire dal 2012 sotto la supervisione della Banca Mondiale, quantificato in 10 miliardi di dollari l'anno. Inoltre i paesi in via di sviluppo vengono scorporati in due gruppi, creando la categoria dei "più vulnerabili".
La questione politicamente più rilevante è che i tetti di emissione fissati al 2050 sono molto diversi: ai paesi occidentali spettano 2.67 tonnellate per abitante, a quelli in via di sviluppo solo 1.44 t a testa.
La proposta non è piaciuta al gruppo G77+Cina, ovvero ai circa 130 paesi in via di sviluppo. Il Sudan, attuale portavoce di G77, ha dichiarato che "il testo scippa i paesi in via di sviluppo della loro equa porzione di atmosfera e non tratta in modo paritario paesi ricchi e paesi poveri".
"Quale versione del testo è stata pubblicata?" si chiedevano invece i negoziatori più navigati. Alcuni dopo avere letto il documento hanno commentato che c'era "qualche novità, anche se non particolarmente importante" rispetto al testo già in circolazione da settimane. Altri hanno giudicato positivo che la bozza di accordo sia trapelata, perché in questo modo le questioni più importanti sono state poste sul tavolo allo scoperto.
Al Bella Center si parla anche di altri gruppi riuniti a scrivere bozze di accordo, che saranno rese pubbliche nei prossimi giorni. "Sono al corrente di almeno quattro iniziative diverse - ha riferito uno dei soliti bene informati - e l'ultima cosa che serve è una sorta di concorso di bellezza tra proposte di accordo".
Foto: Attila Kisbenedek/AFP/Getty Images
Con colpevole ritardo
Ecco i quattro minuti del video proiettato lunedì all'inaugurazione della COP-15.
Molto drammatico e con i bambini per aggiungere enfasi. Ho dei dubbi se sia il messaggio giusto, sia nei contenuti che nelle modalità.
martedì 8 dicembre 2009
Saranno due settimane toste
Per l'apertura della COP-15 Connie Hedegaard ha scelto una giacca corta e avvitata di raso viola. Connie dal 1 gennaio 2010 sarà il primo commissario europeo ai cambiamenti climatici e per ora è il ministro danese responsabile per la conferenza, che da ieri mattina alla sera di venerdì 18 dovrà cercare un accordo per un nuovo protocollo globale sul clima che sostituisca quello di Kyoto, in scadenza nel 2012.
Dopo i discorsi di apertura del primo ministro danese Lars Løkke Rasmussen, di Rajendra Pachauri e del sindaco di Copenhagen Ritt Bjerregård la presidenza dell'assemblea è passata a Connie, che ha salutato con commenti positivi i recenti annunci unilaterali di USA, Cina, India, Brasile e Sudafrica della volontà di ridurre le emissioni di CO2. "Ogni annuncio ci avvicina all'obiettivo di limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2°, ma come sappiamo tutti anche troppo bene ancora non ci siamo" ha detto, aggiungendo "che questo vale anche di più per le questioni finanziarie".
Da oggi sono aperti i negoziati, nei due gruppo di lavoro ad hoc e nei tavoli paralleli. Saranno vdue settimane molto intense che, come Sostenibilitalia ha anticipato da tempo, dovrebbero concludersi con un accordo politico condiviso, da trasformare in protocollo legale nel 2010.
Io sarò fisicamente a Copenhagen la prossima settimana, nel frattempo gli aggiornamenti su Sostenibilitalia saranno quotidiani attraverso l'analisi delle corrispondenze delle stampa mondiale e i racconti degli amici che sono già alla COP-15. Seal the deal.
Dopo i discorsi di apertura del primo ministro danese Lars Løkke Rasmussen, di Rajendra Pachauri e del sindaco di Copenhagen Ritt Bjerregård la presidenza dell'assemblea è passata a Connie, che ha salutato con commenti positivi i recenti annunci unilaterali di USA, Cina, India, Brasile e Sudafrica della volontà di ridurre le emissioni di CO2. "Ogni annuncio ci avvicina all'obiettivo di limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2°, ma come sappiamo tutti anche troppo bene ancora non ci siamo" ha detto, aggiungendo "che questo vale anche di più per le questioni finanziarie".
Da oggi sono aperti i negoziati, nei due gruppo di lavoro ad hoc e nei tavoli paralleli. Saranno vdue settimane molto intense che, come Sostenibilitalia ha anticipato da tempo, dovrebbero concludersi con un accordo politico condiviso, da trasformare in protocollo legale nel 2010.
Io sarò fisicamente a Copenhagen la prossima settimana, nel frattempo gli aggiornamenti su Sostenibilitalia saranno quotidiani attraverso l'analisi delle corrispondenze delle stampa mondiale e i racconti degli amici che sono già alla COP-15. Seal the deal.
Una cosa tra pochi intimi
Ci sono 34000 delegati registrati alla COP-15 di Copenhagen, il massimo mai raggiunto in una conferenza ONU. Gli accrediti stampa sono stati bloccati quando si è raggiunta la quota di 5000 giornalisti.
"Questa conferenza è troppo grande per chiudersi senza risultati concreti" ha osservato qualcuno.
"Questa conferenza è troppo grande per chiudersi senza risultati concreti" ha osservato qualcuno.
lunedì 7 dicembre 2009
domenica 6 dicembre 2009
COP-15, Obama sarà al gran finale
In un primo tempo Barack Obama aveva annunciato la sua presenza alla conferenza sul clima di Copenhagen per mercoledì 9, sulla via di Oslo dove il 10 dicembre riceverà il premio Nobel.
Sabato invece la Casa Bianca ha comunicato che Barack non si fermerà alla COP-15 sulla via di Oslo, ma tornerà in Scandinavia la settimana successiva appositamente per parlare a Copenhagen venerdì 18, ultimo giorno delle due settimane di negoziati. La trasferta in Danimarca sarà per Obama la decima dell'anno, segnando il record per un presidente americano neoleletto.
La scelta è stata accolta con favore da tutti. Così infatti Obama sarà presente nel High Level Segment, i tre giorni finali nei quali sono già confermati a Copenhagen più di cento capi di stato. Inoltre fonti confidenziali avevano annunciato che il presidente USA avrebbe partecipato agli ultimi giorni della conferenza solo se "la sua presenza fosse servita a raggiungere un accordo importante". La sua prima decisione di essere presente nei giorni di apertura sembrava escludere questa ipotesi.
Sabato invece la Casa Bianca ha comunicato che Barack non si fermerà alla COP-15 sulla via di Oslo, ma tornerà in Scandinavia la settimana successiva appositamente per parlare a Copenhagen venerdì 18, ultimo giorno delle due settimane di negoziati. La trasferta in Danimarca sarà per Obama la decima dell'anno, segnando il record per un presidente americano neoleletto.
La scelta è stata accolta con favore da tutti. Così infatti Obama sarà presente nel High Level Segment, i tre giorni finali nei quali sono già confermati a Copenhagen più di cento capi di stato. Inoltre fonti confidenziali avevano annunciato che il presidente USA avrebbe partecipato agli ultimi giorni della conferenza solo se "la sua presenza fosse servita a raggiungere un accordo importante". La sua prima decisione di essere presente nei giorni di apertura sembrava escludere questa ipotesi.
sabato 5 dicembre 2009
Dopo il No B-Day
Secondo gli organizzatori erano un milione, un po' troppi. Secondo la questura novantamila, davvero troppo pochi.
Al di là dei numeri il successo indiscutibile del No B-Day sarà il punto da cui il centrosinistra deve ripartire.
Le foto sono di Carlo Traina, rubate dall'album che ha pubblicato su facebook. In quella sotto c'è Alexandre Rossi di Ancona, eletto all'assemblea del PD delle Marche per la mozione di Ignazio Marino.
Al di là dei numeri il successo indiscutibile del No B-Day sarà il punto da cui il centrosinistra deve ripartire.
Le foto sono di Carlo Traina, rubate dall'album che ha pubblicato su facebook. In quella sotto c'è Alexandre Rossi di Ancona, eletto all'assemblea del PD delle Marche per la mozione di Ignazio Marino.
venerdì 4 dicembre 2009
Clima, l'India vuole restare nel gioco
Pochi giorni dopo USA e Cina e alla vigilia della COP-15 di Copenhagen anche l'India ha annunciato la volontà di ridurre le emissioni di CO2 entro il 2020 del 20-25% rispetto ai livelli del 2005.
Il ministro dell'ambiente indiano Jairam Ramesh (foto) ha tenuto a precisare che la decisione è stata presa "nel proprio interesse" del paese, vista la sua vulnerabilità alle conseguenze dei cambiamenti climatici.
"Non stiamo facendo un favore al mondo - ha puntualizzato Ramesh - Copenhagen e gli USA non c'entrano niente. Il futuro della nostra società dipende da come saremo in grado di rispondere alla sfida dei cambiamenti climatici".
Il ministro Ramesh ha anche ribadito che l'India non accetterà impegni vincolanti sui livelli di emissione, a cominciare dallo stabilire una data per il loro massimo.
L'annuncio di Ramesh ha provocato commenti molto negativi dall'opposizione indiana e colto di sorpresa anche i negoziatori in partenza per Copenhagen.
Con il dato attuale di crescita dell'India, attorno all'8%, le emissioni continueranno a crescere, ma con una tendenza molto meno accentuata, esattamente come in Cina.
Il ministro dell'ambiente indiano Jairam Ramesh (foto) ha tenuto a precisare che la decisione è stata presa "nel proprio interesse" del paese, vista la sua vulnerabilità alle conseguenze dei cambiamenti climatici.
"Non stiamo facendo un favore al mondo - ha puntualizzato Ramesh - Copenhagen e gli USA non c'entrano niente. Il futuro della nostra società dipende da come saremo in grado di rispondere alla sfida dei cambiamenti climatici".
Il ministro Ramesh ha anche ribadito che l'India non accetterà impegni vincolanti sui livelli di emissione, a cominciare dallo stabilire una data per il loro massimo.
L'annuncio di Ramesh ha provocato commenti molto negativi dall'opposizione indiana e colto di sorpresa anche i negoziatori in partenza per Copenhagen.
Con il dato attuale di crescita dell'India, attorno all'8%, le emissioni continueranno a crescere, ma con una tendenza molto meno accentuata, esattamente come in Cina.
Attrazione reciproca
giovedì 3 dicembre 2009
mercoledì 2 dicembre 2009
A posto, ai rifugiati penserà Malta
L'Unione Europea ha deciso la sede per l'Uffico Europeo per il Sostegno all'Asilo: Malta. La scelta colpisce noi Italiani, che da mesi siamo in aperta polemica con il governo maltese sulle responsabilità nell'assistenza e i soccorsi alle imbarcazioni di immigrati clandestini provenienti dal Nord Africa.
La scelta di isituire un European Asylum Support Office (EASO) risale allo scorso febbraio e Malta si era candidata ad ospitarlo fin dall'inizio. Si erano successivamente proposte anche Cipro e Bulgaria, ma lunedì scorso il Consiglio di Giustizia ha scelto Malta con 22 voti su 27.
La struttura EASO dovrà coordinare le politiche europee in tema di asilo politico e organizzare il trasferimento dei rifugiati all'interno dell'Unione, lavorando in stretto contatto con l'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR).
Per Malta si tratta della prima struttura comunitaria nel proprio territorio e di un ottimo business. La Commissione ha stabilito per EASO un budget di 50 milioni di Euro nei primi tre anni e l'ufficio impiegherà subito 60 addetti, destinati a raddoppiare entro il 2013.
Secondo il Times of Malta EASO sarà ospitato in un nuovo edificio governativo nella zona portuale di Marsa.
La scelta di isituire un European Asylum Support Office (EASO) risale allo scorso febbraio e Malta si era candidata ad ospitarlo fin dall'inizio. Si erano successivamente proposte anche Cipro e Bulgaria, ma lunedì scorso il Consiglio di Giustizia ha scelto Malta con 22 voti su 27.
La struttura EASO dovrà coordinare le politiche europee in tema di asilo politico e organizzare il trasferimento dei rifugiati all'interno dell'Unione, lavorando in stretto contatto con l'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR).
Per Malta si tratta della prima struttura comunitaria nel proprio territorio e di un ottimo business. La Commissione ha stabilito per EASO un budget di 50 milioni di Euro nei primi tre anni e l'ufficio impiegherà subito 60 addetti, destinati a raddoppiare entro il 2013.
Secondo il Times of Malta EASO sarà ospitato in un nuovo edificio governativo nella zona portuale di Marsa.
Per qualche visto in meno
I ministri della giustizia dei 27 paesi dell'Unione Europea si sono riuiniti il 30 novembre e 1 dicembre a Bruxelles per il Consiglio di Giustizia e Affari Interni. Tra le decisioni prese l'esenzione del visto per i residenti di Macedonia, Serbia e Montenegro.
Dal 19 dicembre gli abitanti di questi paesi potranno entrare nell'Unione per 90 giorni senza bisogno di visto, che resta ancora necessario per i residenti di Albania e Bosnia-Herzegovina.
Nell'occasione la presidenza di turno svedese ha organizzatoa Bruxelles una cerimonia, invitando i ministri dell'interno dei paesi interessati (foto)
Dal 19 dicembre gli abitanti di questi paesi potranno entrare nell'Unione per 90 giorni senza bisogno di visto, che resta ancora necessario per i residenti di Albania e Bosnia-Herzegovina.
Nell'occasione la presidenza di turno svedese ha organizzatoa Bruxelles una cerimonia, invitando i ministri dell'interno dei paesi interessati (foto)
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