Tre giorni fa Abengoa Solar ha messo in funzione la centrale PS20 di Siviglia, la più grande del mondo progettata e costruita con la tecnica della riflessione solare. L'impianto è costituito da 1255 eliostati da 120 mq ognuno, che riflettono la luce solare concentrandola in un recettore posizionato in cima a una torre di 160 metri. L'altissima temperatura che si ottiene permette di alimentare una turbina che produce energia elettrica. Secondo alcuni analisti le centrali CSP (concentrated solar power) potrebbero soppiantare il fotovoltaico, rispetto al quale sono più efficienti e meno costose.
La centrale di Siviglia è in grado di produrre 20 MegaWatt di energia, pari al fabbisogno di circa diecimila abitazioni e a 12.000 tonnellate di CO2 in meno. Il realtà i primi test hanno dimostrato che la potenza reale prodotta è anche superiore a quella di progetto.
giovedì 30 aprile 2009
mercoledì 29 aprile 2009
Case fatte bene, non nuove centrali
La Commissione Economica per l'Europa dell ONU (UNECE) ha organizzato a Sofia un workshop sull'efficienza energetica degli edifici, concluso con una dichiarazione davvero interessante: case migliori sono più utili che nuove centrali.
Secondo UNECE ogni Euro speso per migliorare il patrimonio edilizio permette di risparmiarne due destinati a nuove centrali, cioè ad aumentare l'offerta energetica. Inoltre una casa efficiente dal punto di vista energetico porta a chi la abita un risparmio annuo tra i 200 e i 1000 Euro.
Le stime non sono univoche, ma tutte concordano nell'assegnare al settore civile almeno un 35% della quota di emissioni di gas serra, che per alcuni arriva al 50%. Secondo UNEP in Europa gli edifici sono responsabili di un consumo energetico che oscilla tra il 40 e il 45% del totale. Migliorare il rendimento energetico degli edifici è il modo più semplice, più rapido e più economico per ridurre le emissioni di CO2. Case e uffici più efficienti consumano molto meno e riducono drasticamente la domanda di energia, rendendo inutile la costruzione di nuove centrali.
L'UNECE sta lavorando ad un piano di azione per l'efficienza energetica negli edifici. Le linee guida saranno definite nel prossimo workshop, in programma a Vienna dal 23 al 25 novembre.
Secondo UNECE ogni Euro speso per migliorare il patrimonio edilizio permette di risparmiarne due destinati a nuove centrali, cioè ad aumentare l'offerta energetica. Inoltre una casa efficiente dal punto di vista energetico porta a chi la abita un risparmio annuo tra i 200 e i 1000 Euro.
Le stime non sono univoche, ma tutte concordano nell'assegnare al settore civile almeno un 35% della quota di emissioni di gas serra, che per alcuni arriva al 50%. Secondo UNEP in Europa gli edifici sono responsabili di un consumo energetico che oscilla tra il 40 e il 45% del totale. Migliorare il rendimento energetico degli edifici è il modo più semplice, più rapido e più economico per ridurre le emissioni di CO2. Case e uffici più efficienti consumano molto meno e riducono drasticamente la domanda di energia, rendendo inutile la costruzione di nuove centrali.
L'UNECE sta lavorando ad un piano di azione per l'efficienza energetica negli edifici. Le linee guida saranno definite nel prossimo workshop, in programma a Vienna dal 23 al 25 novembre.
martedì 28 aprile 2009
Paradossi sostenibili
La strada era aperta, le prime voci circolavano da tempo, ma l'annuncio resta uno shock. L'americana Raser Technologies, una società che sviluppa motori ibridi, ha svelato il prototipo di Hummer H3 ibrida, in grado di fare più di 60 Km solo con la trazione elettrica e che dichiara un consumo medio di oltre 40 Km con un litro di benzina se non si superano i 100 Km al giorno (vedi tabella). Considerando che una Toyota Prius non arriva ai 25 Km/litro la notizia è abbastanza sconvolgente e in grado di scardinare molte certezze sul futuro della mobilità privata e dell'industria automobilistica.
Si tratta solo di un prototipo, ma certo adesso sarà molto più difficile demonizzare i SUV mastodontici, i cui proprietari potranno sempre ribattere di avere una efficienza energetica superiore a quella di qualunque ordinaria minicar. L'ecologista dovrebbe allora convincerli che, anche nel caso non inquinino, le auto di grandi dimensioni non sono sostenibili perchè troppo ingombranti e perché utilizzano una quantità eccessiva di materie prime, ma la missione rischia davvero di diventare impossibile.
L'Hummer ibrido è un paradosso e un punto a favore degli estremisti della mobilità collettiva, i quali hanno sempre sostenuto che il punto non è produrre auto meno inquinanti, che anzi grazie agli incentivi all'acquisto non riducono la quantità di veicoli in circolazione ma piuttosto corrono il rischio di proiettarci verso una nuova era di ingorghi, anche se a bassa emissione di carbonio.
Ingorghi sostenibili, forse il futuro è questo.
Si tratta solo di un prototipo, ma certo adesso sarà molto più difficile demonizzare i SUV mastodontici, i cui proprietari potranno sempre ribattere di avere una efficienza energetica superiore a quella di qualunque ordinaria minicar. L'ecologista dovrebbe allora convincerli che, anche nel caso non inquinino, le auto di grandi dimensioni non sono sostenibili perchè troppo ingombranti e perché utilizzano una quantità eccessiva di materie prime, ma la missione rischia davvero di diventare impossibile.
L'Hummer ibrido è un paradosso e un punto a favore degli estremisti della mobilità collettiva, i quali hanno sempre sostenuto che il punto non è produrre auto meno inquinanti, che anzi grazie agli incentivi all'acquisto non riducono la quantità di veicoli in circolazione ma piuttosto corrono il rischio di proiettarci verso una nuova era di ingorghi, anche se a bassa emissione di carbonio.
Ingorghi sostenibili, forse il futuro è questo.
domenica 26 aprile 2009
Povera Titti, che brutti mobili!
Il ministro Renato Brunetta non è solo un fustigatore di fannulloni ma coltiva anche ambizioni da industrial designer. E purtroppo trova anche chi lo asseconda. Al salone del mobile di Milano l'azienda friulana Midj ha presentato cinque pezzi disegnati da Brunetta: una sedia, un tavolo, una chaise-longue e una coppia poltrona/divano. "Ho voluto dedicare questo lavoro a Titti" ha detto Brunetta e infatti la collezione si chiama Linea T.T.
Chiunque abbia frequentato almeno una volta il salone di Milano sa bene che di brutti mobili esposti ce ne sono migliaia, ma questi di Brunetta sono davvero resistibili. Lo dico come architetto e cultore del design e del progetto, indipendentemente da chi li abbia firmati. Mi spiace per Titti, la fidanzata di Brunetta (con lui nella foto il giorno della presentazione) ormai protagonista conclamata anche della cronaca rosa nazionale.
I peggiori, sia come estetica che per la funzionalità, sono il tavolo e la sedia. Il tavolo ha una base composta da due coppie di assi incrociate, come i cavalletti dove si mettono i tronchi da segare a pezzi. Al contrario dei cavalletti da taglialegna, che sono uniti al centro nel punto di incrocio, questi hanno due traversi in alto, sotto il piano. La soluzione è brutta e la struttura improbabile e tecnicamente molto modesta. La sedia in parure, rivestita come il tavolo in pelle vera o finta a seconda del budget, è in multistrato di rovere tinto scuro con delle strutture laterali che inglobano le gambe e sporgono rispetto al piano seduta, rendendole scomode e sgraziate. Sia tavolo che sedia sono "arricchite" una vistosa banda centrale a contrasto cromatico, inutile orpello estetico.
La chaise-longue è scopiazzata e senza personalità, gli imbottiti hanno la struttura laterale in legno che unisce piedi e braccioli in un anello che rimanda al design razionalista della metà del secolo scorso. Tutti i mobili sono completati da una targhetta in argento con la firma di Brunetta e sono visibili sul sito della Midj.
La Midj, un'azienda che fattura 16 milioni di Euro l'anno, ha certamente trovato il modo di farsi pubblicità con il ministro innamorato. Brunetta dimostra ancora una volta che l'ambizione e la voglia di apparire superano di gran lunga le sue capacità.
Chiunque abbia frequentato almeno una volta il salone di Milano sa bene che di brutti mobili esposti ce ne sono migliaia, ma questi di Brunetta sono davvero resistibili. Lo dico come architetto e cultore del design e del progetto, indipendentemente da chi li abbia firmati. Mi spiace per Titti, la fidanzata di Brunetta (con lui nella foto il giorno della presentazione) ormai protagonista conclamata anche della cronaca rosa nazionale.
I peggiori, sia come estetica che per la funzionalità, sono il tavolo e la sedia. Il tavolo ha una base composta da due coppie di assi incrociate, come i cavalletti dove si mettono i tronchi da segare a pezzi. Al contrario dei cavalletti da taglialegna, che sono uniti al centro nel punto di incrocio, questi hanno due traversi in alto, sotto il piano. La soluzione è brutta e la struttura improbabile e tecnicamente molto modesta. La sedia in parure, rivestita come il tavolo in pelle vera o finta a seconda del budget, è in multistrato di rovere tinto scuro con delle strutture laterali che inglobano le gambe e sporgono rispetto al piano seduta, rendendole scomode e sgraziate. Sia tavolo che sedia sono "arricchite" una vistosa banda centrale a contrasto cromatico, inutile orpello estetico.
La chaise-longue è scopiazzata e senza personalità, gli imbottiti hanno la struttura laterale in legno che unisce piedi e braccioli in un anello che rimanda al design razionalista della metà del secolo scorso. Tutti i mobili sono completati da una targhetta in argento con la firma di Brunetta e sono visibili sul sito della Midj.
La Midj, un'azienda che fattura 16 milioni di Euro l'anno, ha certamente trovato il modo di farsi pubblicità con il ministro innamorato. Brunetta dimostra ancora una volta che l'ambizione e la voglia di apparire superano di gran lunga le sue capacità.
Un G8 ambiente già dimenticato
Finisce con marginali notizie di stampa il G8+ ambiente di Siracusa, dove gli otto grandi e le altre principali economie emergenti dovevano gettare le prime basi concrete per il trattato sul clima del dopo Kyoto. I paesi che erano presenti a Siracusa sono responsabili per oltre il 40% delle emissioni di gas serra del pianeta.
Il meeting siciliano, fortemente voluto dal ministro Prestigiacomo nelle sue terre, ha incassato solo un accordo sull'altro tema in agenda, ovvero la biodiversità. La Carta di Siracusa prevede una linea comune di azione e la gestione razionale degli ecosistemi, dell'acqua e dell'agricoltura (testo ufficiale). Secondo l'ONU a causa dell'uomo le specie si stanno estinguendo ad un ritmo di mille volte superiore al ciclo naturale. La nuova carta prevede un percorso in cui la tutela della biodiversità è strettamente legata al benessere dell'uomo e al raggiungimento degli Obiettivi del Millennio e viene anche vista come uno strumento per contrastare la dcrisi economica e aumentare l'occupazione.
Sul fronte del clima e delle emissioni i progressi sono stati invece modesti. Ci si attendeva molto dalla nuova amministrazione Obama, ma la capo delegazione USA Lisa Jackson (foto) si è limitata a confermare che "oggi il governo degli Stati Uniti riconosce l'urgenza e la complessità delle sfide del cambiamento climatico" senza entrare nel merito degli obiettivi da raggiungere e dello stato dei negoziati. Il direttore dell'Agenzia ONU per l'ambiente (UNEP) Achim Steiner ha dichiarato di lasciare il Castello Maniace di Siracusa "molto preoccupato per l'assenza di una strategia definita che permetta risolvere le divergenze".
I paesi emergenti, ospiti del summit, hanno sottolineato come il G8 abbia finora prodotto risultati modesti sul tema ambientale. Il pacchetto anti-crisi europeo destina solo 8% a misure di salvaguardia dell'ambiente contro il 38% della Cina (qualcuno lo dica a Tremonti) e il 18% del Brasile. Le notizie migliori sono venute proprio dal Brasile, che ha annunciato un programma per ridurre la deforestazione in Amazzonia del 70% entro il 2017 (pari a 4,5 milioni di tonnellate di CO2 in meno) e l'introduzione di una tassa che destinerà il 10% dei profitti del mercato del petrolio a interventi ambientali. L'idea della tassa sul petrolio è stata proposta dal Brasile al G8 come misura globale, ma è stata accolta tiepidamente.
Da lunedì si parlerà nuovamente di clima ed energia a Washington, dove il presidente Obama ha convocato il Major Economies Forum, a cui parteciperà anche Prestigiacomo. Il meeting, a cui sono invitate le 16 economie più importanti del mondo, sarà aperto da un intervento del segretario di stato USA Clinton. Gli Stati Uniti hanno annunciato l'intenzione di riportare le loro emissioni ai livelli del 1990 entro il 2020, pari a una riduzione attorno al 15%. A chi criticava la modestia di questi obiettivi il segretario americano per l'energia e premio Nobel Steven Chu ha risposto "credo che piuttosto che discutere sui punti percentuali la cosa più importante sia cominciare prima possibile".
Il meeting siciliano, fortemente voluto dal ministro Prestigiacomo nelle sue terre, ha incassato solo un accordo sull'altro tema in agenda, ovvero la biodiversità. La Carta di Siracusa prevede una linea comune di azione e la gestione razionale degli ecosistemi, dell'acqua e dell'agricoltura (testo ufficiale). Secondo l'ONU a causa dell'uomo le specie si stanno estinguendo ad un ritmo di mille volte superiore al ciclo naturale. La nuova carta prevede un percorso in cui la tutela della biodiversità è strettamente legata al benessere dell'uomo e al raggiungimento degli Obiettivi del Millennio e viene anche vista come uno strumento per contrastare la dcrisi economica e aumentare l'occupazione.
Sul fronte del clima e delle emissioni i progressi sono stati invece modesti. Ci si attendeva molto dalla nuova amministrazione Obama, ma la capo delegazione USA Lisa Jackson (foto) si è limitata a confermare che "oggi il governo degli Stati Uniti riconosce l'urgenza e la complessità delle sfide del cambiamento climatico" senza entrare nel merito degli obiettivi da raggiungere e dello stato dei negoziati. Il direttore dell'Agenzia ONU per l'ambiente (UNEP) Achim Steiner ha dichiarato di lasciare il Castello Maniace di Siracusa "molto preoccupato per l'assenza di una strategia definita che permetta risolvere le divergenze".
I paesi emergenti, ospiti del summit, hanno sottolineato come il G8 abbia finora prodotto risultati modesti sul tema ambientale. Il pacchetto anti-crisi europeo destina solo 8% a misure di salvaguardia dell'ambiente contro il 38% della Cina (qualcuno lo dica a Tremonti) e il 18% del Brasile. Le notizie migliori sono venute proprio dal Brasile, che ha annunciato un programma per ridurre la deforestazione in Amazzonia del 70% entro il 2017 (pari a 4,5 milioni di tonnellate di CO2 in meno) e l'introduzione di una tassa che destinerà il 10% dei profitti del mercato del petrolio a interventi ambientali. L'idea della tassa sul petrolio è stata proposta dal Brasile al G8 come misura globale, ma è stata accolta tiepidamente.
Da lunedì si parlerà nuovamente di clima ed energia a Washington, dove il presidente Obama ha convocato il Major Economies Forum, a cui parteciperà anche Prestigiacomo. Il meeting, a cui sono invitate le 16 economie più importanti del mondo, sarà aperto da un intervento del segretario di stato USA Clinton. Gli Stati Uniti hanno annunciato l'intenzione di riportare le loro emissioni ai livelli del 1990 entro il 2020, pari a una riduzione attorno al 15%. A chi criticava la modestia di questi obiettivi il segretario americano per l'energia e premio Nobel Steven Chu ha risposto "credo che piuttosto che discutere sui punti percentuali la cosa più importante sia cominciare prima possibile".
sabato 25 aprile 2009
venerdì 24 aprile 2009
Retrofitting
L'Empire State Building, il grattacielo simbolo di New York, sta per essere sottoposto a un green lifting da cento milioni di dollari. Alla fine della cura l'edificio di 102 piani consumera' il 38% di energia in meno, che valgono un risparmio di 4.4 milioni di dollari l'anno.
Il progetto e' patrocinato da Clinton Climate Initiative, Johnson Controls Inc, Jones Lang LaSalle e Rocky Mountain Institute. Gli interventi comprendono il miglioramento della coibentazione dell'involucro dell'edificio, l'applicazione di tripli filtri ai vetri e guarnizioni agli infissi (l'Empire ha 6.500 finestre), l'uso dell'illuminazione naturale, l'utilizzo di contatori elettronici per valutare i consumi di energia in tempo reale, la regolazione degli impianti di condizionamento, l'uso di lampade a basso consumo negli spazi comuni.
La prima fase dei lavori, che riguarda quasi la meta' degli interventi previsti, si concludera' in 18 mesi.
Il progetto e' patrocinato da Clinton Climate Initiative, Johnson Controls Inc, Jones Lang LaSalle e Rocky Mountain Institute. Gli interventi comprendono il miglioramento della coibentazione dell'involucro dell'edificio, l'applicazione di tripli filtri ai vetri e guarnizioni agli infissi (l'Empire ha 6.500 finestre), l'uso dell'illuminazione naturale, l'utilizzo di contatori elettronici per valutare i consumi di energia in tempo reale, la regolazione degli impianti di condizionamento, l'uso di lampade a basso consumo negli spazi comuni.
La prima fase dei lavori, che riguarda quasi la meta' degli interventi previsti, si concludera' in 18 mesi.
mercoledì 22 aprile 2009
G8 ambiente a casa del ministro
Non ci poteva essere data più emblematica del Giorno della Terra per inaugurare il G8 Ambiente a Siracusa, città e collegio elettorale del ministro Stefania Prestigiacomo. Anche la scelta di Siracusa ha un suo valore simbolico, visto che la bellissima città siciliana è solo 92ima nella classifica di Ecosistema Urbano 2oo9 ed è la peggiore in Italia per inquinamento da PM10 con ben 275 giorni di superamento del limite, un dato che riesce a fare meglio (si fa per dire) persino di Torino.
Il vertice si aprirà nel pomeriggio, presenti i ministri dell'ambiente del G8 più Cina, India, Brasile, Messico, Indonesia, Sudafrica, Australia, Repubblica di Corea, Egitto e Repubblica Ceca, presidente di turno UE. Presente anche una delegazione della Danimarca, che ospiterà a dicembre la COP-15 in cui dovrebbe essere licenziato il nuovo trattato globale sul clima. E proprio il clima è ovviamente al centro dell'agenda di Siracusa assieme alla tutela della biodiversità, che dovrebbe essere sancita da una Carta di Siracusa da ratificare prima della conclusione di venerdì.
A livello diplomatico i tre giorni di Siracusa dovrebbero verificare la possibilità di raggiungere un accordo sul clima entro Copenhagen, partendo dalle nuove posizioni del governo americano. La delegazione USA sarà guidata da Lisa Jackson, nominata da Barack Obama a presiedere la Agenzia per la Protezione dell'Ambiente americana (EPA). E proprio Obama sarà il protagonista del prossimo appuntamento, che prenderà il via lunedì 28 a Washington. Il presidente USA ha convocato i potenti del mondo a casa sua per parlare di clima e ambiente al Major Economies Meeting.
Il vertice si aprirà nel pomeriggio, presenti i ministri dell'ambiente del G8 più Cina, India, Brasile, Messico, Indonesia, Sudafrica, Australia, Repubblica di Corea, Egitto e Repubblica Ceca, presidente di turno UE. Presente anche una delegazione della Danimarca, che ospiterà a dicembre la COP-15 in cui dovrebbe essere licenziato il nuovo trattato globale sul clima. E proprio il clima è ovviamente al centro dell'agenda di Siracusa assieme alla tutela della biodiversità, che dovrebbe essere sancita da una Carta di Siracusa da ratificare prima della conclusione di venerdì.
A livello diplomatico i tre giorni di Siracusa dovrebbero verificare la possibilità di raggiungere un accordo sul clima entro Copenhagen, partendo dalle nuove posizioni del governo americano. La delegazione USA sarà guidata da Lisa Jackson, nominata da Barack Obama a presiedere la Agenzia per la Protezione dell'Ambiente americana (EPA). E proprio Obama sarà il protagonista del prossimo appuntamento, che prenderà il via lunedì 28 a Washington. Il presidente USA ha convocato i potenti del mondo a casa sua per parlare di clima e ambiente al Major Economies Meeting.
martedì 21 aprile 2009
Vaticano sostenibile
La Città del Vaticano costruirà il più grande impianto fotovoltaico d'Europa. La struttura sorgerà su 300 ettari nella zona di Santa Maria di Galeria, dove sono gli impianti di Radio Vaticana.
Papa Benedetto XVI aveva inaugurato il suo pontificato con una impronta decisamente ambientalista, ribadendo che inquinare è peccato e installando lo scorso anno duemila metri quadri di pannelli fotovoltaici, pari a 300 Kwh, sopra l'aula delle udienze papali Paolo VI, quella progetta da Pier Luigi Nervi (foto). Fonti giornalistiche hanno riportato che in quel caso l'impianto, del valore di un milione e mezzo di Euro, era stato donato dalla compagnia tedesca Solarworld. All'entrata della sala Nervi un grande pannello luminoso quantifica i Kw prodotti e le emissioni di gas serra risparmiate.
Il nuovo impianto da 100 Megawatt di Santa Maria di Galeria costerà 500 milioni di Euro e dovrebbe entrare in funzione nel 2014, garantendo energia sufficiente a 40.000 famiglie, molto più di quanto sia necessario per i 900 residenti del Vaticano. L'impianto permetterà di eliminare 91.000 tonnellate di CO2 e rendera la Città del Vaticano un esportatore di energia.
Il responsabile per l'energia del Vaticano è l'ingegner Mauro Villarini che anticipa altri progetti sostenibili, come una centrale a biomasse nella tenuta di Castelgandolfo.
Papa Benedetto XVI aveva inaugurato il suo pontificato con una impronta decisamente ambientalista, ribadendo che inquinare è peccato e installando lo scorso anno duemila metri quadri di pannelli fotovoltaici, pari a 300 Kwh, sopra l'aula delle udienze papali Paolo VI, quella progetta da Pier Luigi Nervi (foto). Fonti giornalistiche hanno riportato che in quel caso l'impianto, del valore di un milione e mezzo di Euro, era stato donato dalla compagnia tedesca Solarworld. All'entrata della sala Nervi un grande pannello luminoso quantifica i Kw prodotti e le emissioni di gas serra risparmiate.
Il nuovo impianto da 100 Megawatt di Santa Maria di Galeria costerà 500 milioni di Euro e dovrebbe entrare in funzione nel 2014, garantendo energia sufficiente a 40.000 famiglie, molto più di quanto sia necessario per i 900 residenti del Vaticano. L'impianto permetterà di eliminare 91.000 tonnellate di CO2 e rendera la Città del Vaticano un esportatore di energia.
Il responsabile per l'energia del Vaticano è l'ingegner Mauro Villarini che anticipa altri progetti sostenibili, come una centrale a biomasse nella tenuta di Castelgandolfo.
domenica 19 aprile 2009
Albione nucleare, in Italia altro rinvio
La Gran Bretagna ha approvato un piano energia molto ambizioso, che prevede la riduzione delle emissioni di CO2 dell'80% entro il 2050. A medio termine la riduzione prevista entro il 2020 è il 34%, molto più del 20% indicato come obiettivo nel pacchetto energia sottoscritto lo scorso dicembre dai 27 paesi della UE e firmato anche dal nostro premier Berlusconi.
Se il prossimo dicembre il mondo raggiungerà a Copenhagen un nuovo accordo sul clima, gli Inglesi si impegnano ad aumentare al 42% la riduzione delle emissioni al 2020.
Il ministro inglese per clima ed energia Ed Miliband ha un approccio molto pragmatico ed ha predisposto un "bilancio del carbonio" che sarà presentato mercoledì prossimo assieme alle legge di bilancio e prevede azioni e rendicontazioni fino al 2020.
Gli interventi previsti si concentrano sul risparmio energetico e sulla diffusione delle rinnovabili, ma includono anche la costruzione di centrali nucleari. Entro i prossimi dieci anni la Gran Bretagna dovrà chiudere la maggior parte dei reattori nucleari attualmente in attività, così il governo inglese ha chiesto alle aziende interessate alla costruzione di nuovi impianti di indicare (o "nominare", assecondando la terminologia da reality TV) i siti in cui prevedere le nuove centrali.
La lista dei luoghi prescelti è stata annunciata mercoledì scorso. Sono 11 località che hanno tutte avuto in precedenza impianti nucleari o li ospitano ancora oggi (vedi cartina sotto). I siti erano stati nominati dai colossi dell'energia EDF, E.on e RWE e dalla Autorità per la Dismissione Nucleare (NDA) che possiede alcuni siti di vecchie centrali. Ora sono aperte consultazioni pubbliche per un mese, in cui i cittadini e le associazioni potranno commentare le scelte. Gli esiti non sono così scontati, visto che alcuni sondaggi hanno indicato che le popolazioni che hanno ospitato centrali nucleari di prima generazione vorrebbero che quelle aree fossero rinaturalizzate. Le maggiori sollevazioni sono previste a Sellafield, sito di centrali impiantate nel dopoguerra e oggi ancora in piena decontaminazione. Ripulire Sellafield costa ogni anno due miliardi di Euro e la cifra è in preventivo per almeno altri dieci anni. Il piano annunciato prevede due nuove centrali nella zona di Sellafield, in Cumbria.
Se non ci saranno impedimenti il ministro Miliband spera di avere le prime nuove centrali in funzione entro il 2018. Gli ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni al 2020 previsti dalla Gran Bretagna non sono vincolati alle centrali nucleari.
In Italia, è opportuno ricordarlo, il governo ha già rinviato l'emanazione dei criteri di scelta per i siti delle centrali nucleari al 30 giugno 2009, posticipando di sei mesi il termine previsto e salvando il consenso per le elezioni europee e amministrative. Tuttavia le voci sembrano indicare anche da noi una scelta che confermerebbe i siti delle vecchie centrali, come Caorso, Trino, Montalto di Castro. I piani temporali indicati dal ministro all'energia Scajola sono già in ritardo e pochi giorni fa il nuovo termine del 30 giugno 2009 è stato annullato da un altro rinvio. Vedremo se il governo davvero pubblicherà i criteri e poi indicherà i siti a un anno dalle elezioni regionali 2010.
Di certo, al contrario che in Gran Bretagna, non c'è alcun piano italiano per raggiungere l'obiettivo europeo di ridurre il CO2 del 20% entro il 2020. Eppure Berlusconi ha sottoscritto l'accordo, proprio come Gordon Brown.
Se il prossimo dicembre il mondo raggiungerà a Copenhagen un nuovo accordo sul clima, gli Inglesi si impegnano ad aumentare al 42% la riduzione delle emissioni al 2020.
Il ministro inglese per clima ed energia Ed Miliband ha un approccio molto pragmatico ed ha predisposto un "bilancio del carbonio" che sarà presentato mercoledì prossimo assieme alle legge di bilancio e prevede azioni e rendicontazioni fino al 2020.
Gli interventi previsti si concentrano sul risparmio energetico e sulla diffusione delle rinnovabili, ma includono anche la costruzione di centrali nucleari. Entro i prossimi dieci anni la Gran Bretagna dovrà chiudere la maggior parte dei reattori nucleari attualmente in attività, così il governo inglese ha chiesto alle aziende interessate alla costruzione di nuovi impianti di indicare (o "nominare", assecondando la terminologia da reality TV) i siti in cui prevedere le nuove centrali.
La lista dei luoghi prescelti è stata annunciata mercoledì scorso. Sono 11 località che hanno tutte avuto in precedenza impianti nucleari o li ospitano ancora oggi (vedi cartina sotto). I siti erano stati nominati dai colossi dell'energia EDF, E.on e RWE e dalla Autorità per la Dismissione Nucleare (NDA) che possiede alcuni siti di vecchie centrali. Ora sono aperte consultazioni pubbliche per un mese, in cui i cittadini e le associazioni potranno commentare le scelte. Gli esiti non sono così scontati, visto che alcuni sondaggi hanno indicato che le popolazioni che hanno ospitato centrali nucleari di prima generazione vorrebbero che quelle aree fossero rinaturalizzate. Le maggiori sollevazioni sono previste a Sellafield, sito di centrali impiantate nel dopoguerra e oggi ancora in piena decontaminazione. Ripulire Sellafield costa ogni anno due miliardi di Euro e la cifra è in preventivo per almeno altri dieci anni. Il piano annunciato prevede due nuove centrali nella zona di Sellafield, in Cumbria.
Se non ci saranno impedimenti il ministro Miliband spera di avere le prime nuove centrali in funzione entro il 2018. Gli ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni al 2020 previsti dalla Gran Bretagna non sono vincolati alle centrali nucleari.
In Italia, è opportuno ricordarlo, il governo ha già rinviato l'emanazione dei criteri di scelta per i siti delle centrali nucleari al 30 giugno 2009, posticipando di sei mesi il termine previsto e salvando il consenso per le elezioni europee e amministrative. Tuttavia le voci sembrano indicare anche da noi una scelta che confermerebbe i siti delle vecchie centrali, come Caorso, Trino, Montalto di Castro. I piani temporali indicati dal ministro all'energia Scajola sono già in ritardo e pochi giorni fa il nuovo termine del 30 giugno 2009 è stato annullato da un altro rinvio. Vedremo se il governo davvero pubblicherà i criteri e poi indicherà i siti a un anno dalle elezioni regionali 2010.
Di certo, al contrario che in Gran Bretagna, non c'è alcun piano italiano per raggiungere l'obiettivo europeo di ridurre il CO2 del 20% entro il 2020. Eppure Berlusconi ha sottoscritto l'accordo, proprio come Gordon Brown.
sabato 18 aprile 2009
venerdì 17 aprile 2009
L'Europa indifferente
Le prossime elezioni europee sembrano destinate a battere il record negativo del 2004. quando solo il 46% degli elettori decise di andare ai seggi.
Secondo un sondaggio Reuters commissionato dal Parlamento Europeo solo il 34% degli elettori d'Europa dichiara la volontà di votare. I risultati sono molto difformi a seconda della nazione. I Belgi che intendono votare sono il 70%, percentuale che nella euroscettica Polonia si riduce al 13. In Germania i votanti sarebbero il 43%, il 47 in Francia e solo il 22% in Gran Bretagna. Occorre però ricordare che in Belgio votare è obbligatorio è chi non si presenta ai seggi rischia una multa.
Il record negativo del 45.7% del 2004 rappresentava già un calo notevole rispetto al 62% delle elezioni 1979. Nel 2004 le percentuali più basse si registrarono nei dieci paesi appena ammessi nell'Unione, con in testa la Slovacchia e la Polonia, rispettivamente 17 e 21%.
Il paese con il dato più alto di persone che hanno ammesso che certamente non voteranno è la Gran Bretagna con il 30%. La media europea di chi dichiara con certezza l'astensione è il 15%. Il 34% ha dichiarato che "probabilmente" andrà a votare.
Solo in quattro dei 27 paesi dell'Unione la maggioranza della popolazione ha dichiarato che andrà certamente alle urne: Lussemburgo con il 62 e Belgio, Danimarca e Malta con il 56%.
Le elezioni europee di giugno dovranno designare 736 membri del parlamento in rappresentanza di circa 500 milioni di cittadini dei 27 stati membri. Si tratta della più grande elezione transnazionale di tutti i tempi.
Secondo un sondaggio Reuters commissionato dal Parlamento Europeo solo il 34% degli elettori d'Europa dichiara la volontà di votare. I risultati sono molto difformi a seconda della nazione. I Belgi che intendono votare sono il 70%, percentuale che nella euroscettica Polonia si riduce al 13. In Germania i votanti sarebbero il 43%, il 47 in Francia e solo il 22% in Gran Bretagna. Occorre però ricordare che in Belgio votare è obbligatorio è chi non si presenta ai seggi rischia una multa.
Il record negativo del 45.7% del 2004 rappresentava già un calo notevole rispetto al 62% delle elezioni 1979. Nel 2004 le percentuali più basse si registrarono nei dieci paesi appena ammessi nell'Unione, con in testa la Slovacchia e la Polonia, rispettivamente 17 e 21%.
Il paese con il dato più alto di persone che hanno ammesso che certamente non voteranno è la Gran Bretagna con il 30%. La media europea di chi dichiara con certezza l'astensione è il 15%. Il 34% ha dichiarato che "probabilmente" andrà a votare.
Solo in quattro dei 27 paesi dell'Unione la maggioranza della popolazione ha dichiarato che andrà certamente alle urne: Lussemburgo con il 62 e Belgio, Danimarca e Malta con il 56%.
Le elezioni europee di giugno dovranno designare 736 membri del parlamento in rappresentanza di circa 500 milioni di cittadini dei 27 stati membri. Si tratta della più grande elezione transnazionale di tutti i tempi.
giovedì 16 aprile 2009
mercoledì 15 aprile 2009
Il mercato dei fiori
Niente male il nuovo mercato dei fiori di Barcellona. Progettato da Willy Müller Architects, che malgrado il nome teutonico hanno base in Catalogna, il mercato utilizza sistemi innovativi e sostenibili per regolare la temperatura interna, particolarmente importante quando la merce sono fiori freschi e piante.
I fiori recisi hanno bisogno di una temperatura tra 2 e 15 gradi e devono essere venduti entro tre giorni. Il mercato di Barcellona ha un sistema di raffrescamento passivo che regola la temperatura a seconda delle zone. L'area delle piante in vaso mantiene una temperatura tra i 15 e i 26 gradi e garantisce il tasso di umidità necessario. Le piante in vaso possono restare nel mercato fino a quindici giorni e il sistema di riscaldamento a pavimento garantisce loro la temperatura adatta allo sviluppo.
Il mercato dei fiori (dettagli) ha anche un settore dedicato ai fiori secchi, dove l'umidità invece deve essere ridotta al minimo ed entrano in gioco rigorose misure antinciendio. Il mercato è dotato anche di un parcheggio con 500 posti auto, un ristorante, spazi carico e scarico, una zona uffici, due centri di educazione floristica e varie sale polifunzionali. Chapeau.
I fiori recisi hanno bisogno di una temperatura tra 2 e 15 gradi e devono essere venduti entro tre giorni. Il mercato di Barcellona ha un sistema di raffrescamento passivo che regola la temperatura a seconda delle zone. L'area delle piante in vaso mantiene una temperatura tra i 15 e i 26 gradi e garantisce il tasso di umidità necessario. Le piante in vaso possono restare nel mercato fino a quindici giorni e il sistema di riscaldamento a pavimento garantisce loro la temperatura adatta allo sviluppo.
Il mercato dei fiori (dettagli) ha anche un settore dedicato ai fiori secchi, dove l'umidità invece deve essere ridotta al minimo ed entrano in gioco rigorose misure antinciendio. Il mercato è dotato anche di un parcheggio con 500 posti auto, un ristorante, spazi carico e scarico, una zona uffici, due centri di educazione floristica e varie sale polifunzionali. Chapeau.
Meglio tardi che mai
Oggi il sito di Repubblica pubblica un'articolo su Kyoto Box e le altre invenzioni sostenibili di cui Sostenibilitalia ha raccontanto nel post di venerdì 10 aprile.
martedì 14 aprile 2009
lunedì 13 aprile 2009
Canguri e democrazia
Canberra, capitale dell'Australia, è assediata dai canguri (foto). Per la precisione da canguri della specie grigia orientale, bestie che quando si alzano in piedi sulle zampe posteriori superano il metro e mezzo.
Il governo ha cercato di ridurre il numero dei marsupiali con contraccettivi orali e anche catturando maschi per vasectomizzarli, ma i risultati non sono stati confortanti. Catturarli e trasferirli altrove è estremamente costoso.
Secondo Jon Stanhope, capo dell'amministrazione, a Canberra la popolazione di canguri è probabilmente la più numerosa da cento anni a questa parte. Qualche giorno fa un esemplare alto quasi un metro e ottanta ha sfondato una vetrata per piombare sul letto dove dormivano una coppia e la loro bambina di nove anni.
L'assessore all'ambiente di Canberra Maxine Cooper vorrebbe ridurre il numero dei canguri perché gli animali non solo interagiscono con l'uomo ma stanno mettendo a rischio anche l'habitat di altri selvatici, come una lucertola chiamata dragone senza orecchie.
Ogni anno in Australia vengono abbattuti almeno quattro milioni di canguri. Camberra ha 340.000 abitanti e in un recente sondaggio il 17% dei guidatori ha ammesso di avere investito un canguro almeno una volta. Tuttavia secondo un altro sondaggio oltre l'80% degli abitanti non vuole che i canguri siano decimati ed è disposto a convivere con i grandi marsupiali.
L'amministrazione ha aperto una consultazione fino al 11 maggio, termine ultimo per i cittadini e le associazioni per far conoscere le proprie posizioni. Dopo quella data e alla luce dei contributi arrivati la giunta di Stanhope prenderà una decisione definitiva.
Il governo ha cercato di ridurre il numero dei marsupiali con contraccettivi orali e anche catturando maschi per vasectomizzarli, ma i risultati non sono stati confortanti. Catturarli e trasferirli altrove è estremamente costoso.
Secondo Jon Stanhope, capo dell'amministrazione, a Canberra la popolazione di canguri è probabilmente la più numerosa da cento anni a questa parte. Qualche giorno fa un esemplare alto quasi un metro e ottanta ha sfondato una vetrata per piombare sul letto dove dormivano una coppia e la loro bambina di nove anni.
L'assessore all'ambiente di Canberra Maxine Cooper vorrebbe ridurre il numero dei canguri perché gli animali non solo interagiscono con l'uomo ma stanno mettendo a rischio anche l'habitat di altri selvatici, come una lucertola chiamata dragone senza orecchie.
Ogni anno in Australia vengono abbattuti almeno quattro milioni di canguri. Camberra ha 340.000 abitanti e in un recente sondaggio il 17% dei guidatori ha ammesso di avere investito un canguro almeno una volta. Tuttavia secondo un altro sondaggio oltre l'80% degli abitanti non vuole che i canguri siano decimati ed è disposto a convivere con i grandi marsupiali.
L'amministrazione ha aperto una consultazione fino al 11 maggio, termine ultimo per i cittadini e le associazioni per far conoscere le proprie posizioni. Dopo quella data e alla luce dei contributi arrivati la giunta di Stanhope prenderà una decisione definitiva.
Cinque piani di morbidezza
Alexei Roskov, un russo di 22 anni, dopo avere bevuto tre bottiglie di vodka si è buttato dalla finestra della sua cucina al quinto piano. Senza farsi niente.
Ha risalito le scale come niente fosse ed è tornato a casa, trovando la moglie Yekaterina che lo ha accolto urlando. Allora è tornato alla finestra della cucina e si è buttato di nuovo. Anche questa volta, miracolosamente, senza farsi niente.
Roskov ha dichiarato: "Non ho la minima idea del perché mi sia buttato la prima volta, ma tornando a casa e sentendo mia moglie che urlava di rabbia ho pensato che fosse meglio andarsene di nuovo. Dalla finestra".
Ha risalito le scale come niente fosse ed è tornato a casa, trovando la moglie Yekaterina che lo ha accolto urlando. Allora è tornato alla finestra della cucina e si è buttato di nuovo. Anche questa volta, miracolosamente, senza farsi niente.
Roskov ha dichiarato: "Non ho la minima idea del perché mi sia buttato la prima volta, ma tornando a casa e sentendo mia moglie che urlava di rabbia ho pensato che fosse meglio andarsene di nuovo. Dalla finestra".
domenica 12 aprile 2009
sabato 11 aprile 2009
Da Bonn a Copenhagen
Si è concluso a Bonn il primo round di negoziati per il nuovo protocollo globale sul clima da approvare nella COP-15 di Copenhagen il prossimo dicembre.
2700 delegati in rappresentanza di 180 nazioni hanno speso 11 giorni cercando le premesse per un accordo che sembra ancora lontano, anche se non irraggiungibile.
Il comunicato stampa ufficiale è generico e cautamente ottimista, ma in conferenza stampa il responsabile ONU per il cambiamento climatico Yvo de Boer (al centro nella foto) ha detto che Copenhagen potrà varare il nuovo trattato se sarà trovato un accordo su quattro punti principali:
1. Definire con chiarezza i tetti di emissione per i paesi occidentali.
2. Definire con chiarezza i tetti di emissione per i paesi in via di sviluppo.
3. Individuare le risorse finanziare per sostenere i paesi in via di sviluppo nel loro percorso di riduzione delle emissioni.
4. Definire le strutture di governo mondiale per finanziare e verificare i risultati della lotta ai cambiamenti climatici.
Non sono cose da poco. L'opinione comune tra i delegati di Bonn è che tutto dipenderà da quanto gli Stati Uniti vorranno/potranno mettere in pratica la nuova linea di Barack Obama, che anche al recente G-20 di Londra ha insistito sulla necessità di affrontare i cambiamenti climatici e che ha convocato un meeting ad hoc a Washington alla fine di questo mese.
I negoziati ONU proseguiranno sempre a Bonn dall'1 al 12 giugno. Sarà questa la sessione cruciale e per quella data è prevista la presentazione della prima bozza del nuovo trattato. Seguiranno altri tre round: ancora a Bonn dal 10 al 14 agosto, a Bangkok dal 28 settembre al 9 ottobre e infine dal 2 al 6 novembre in un luogo ancora da definire.
Il Climate Summit dei governi locali si terrà a Copenhagen dal 2 al 4 giugno.
La COP-15 di Copenhagen, dove le decisioni finali dovranno essere prese, è in programma dal 7 al 18 dicembre 2009.
2700 delegati in rappresentanza di 180 nazioni hanno speso 11 giorni cercando le premesse per un accordo che sembra ancora lontano, anche se non irraggiungibile.
Il comunicato stampa ufficiale è generico e cautamente ottimista, ma in conferenza stampa il responsabile ONU per il cambiamento climatico Yvo de Boer (al centro nella foto) ha detto che Copenhagen potrà varare il nuovo trattato se sarà trovato un accordo su quattro punti principali:
1. Definire con chiarezza i tetti di emissione per i paesi occidentali.
2. Definire con chiarezza i tetti di emissione per i paesi in via di sviluppo.
3. Individuare le risorse finanziare per sostenere i paesi in via di sviluppo nel loro percorso di riduzione delle emissioni.
4. Definire le strutture di governo mondiale per finanziare e verificare i risultati della lotta ai cambiamenti climatici.
Non sono cose da poco. L'opinione comune tra i delegati di Bonn è che tutto dipenderà da quanto gli Stati Uniti vorranno/potranno mettere in pratica la nuova linea di Barack Obama, che anche al recente G-20 di Londra ha insistito sulla necessità di affrontare i cambiamenti climatici e che ha convocato un meeting ad hoc a Washington alla fine di questo mese.
I negoziati ONU proseguiranno sempre a Bonn dall'1 al 12 giugno. Sarà questa la sessione cruciale e per quella data è prevista la presentazione della prima bozza del nuovo trattato. Seguiranno altri tre round: ancora a Bonn dal 10 al 14 agosto, a Bangkok dal 28 settembre al 9 ottobre e infine dal 2 al 6 novembre in un luogo ancora da definire.
Il Climate Summit dei governi locali si terrà a Copenhagen dal 2 al 4 giugno.
La COP-15 di Copenhagen, dove le decisioni finali dovranno essere prese, è in programma dal 7 al 18 dicembre 2009.
venerdì 10 aprile 2009
Concorsi sostenibili
Il Financial Times e Forum for the Future hanno indetto "La sfida dei cambiamenti climatici", un concorso a cui partecipare con soluzioni innovative sul tema. Sponsorizzato da Hewlett-Packard il concorso offriva un primo premio di 75.000 dollari da destinare alla migliore idea. Le proposte presentate sono state circa trecento, tra le quali dopo successive selezioni sono state scelte cinque finaliste, che hanno affrontato la valutazione di una giuria e il voto popolare. Il vincitore è stato proclamato ieri ed è stato scelto a furor di popolo, visto che la giuria aveva scelto un'altro progetto.
Ha vinto l'idea di una cucina solare chiamata Kyoto Box (foto) destinata ai paesi in via di sviluppo, particolarmente a quelli africani. In Africa si cucina molto spesso con fuochi di legna, anche in interno. La legna bruciata produce micidiali quantità di PM10 e le capanne|case dell'Africa equatoriale non hanno cappe o ventole, il particolato resta nell'ambiente. La cucina solare Kyoto Box è composta di due scatole di cartone ed è in grado di far bollire l'acqua solo con l'energia solare. Costa pochissimo (cinque dollari) e secondo i suoi ideatori permetterebbe di risparmiare due tonnellate di CO2 l'anno per famiglia.
Devo dire che non mi sembra un progetto così straordinario. Da anni nei congressi sono in mostra vari modelli di "cucine solari" che faticano a trovare spazio nella cultura africana, legata ai metodi tradizionali. Magari questa volta le cose cambieranno, visto che Kyoto Box è stata messa in produzione da una azienda di Nairobi in grado di sfornarne due milioni e mezzo al mese.
La speranza dell'ideatore Jon Bøhmer è che l'aggeggio possa essere utilizzato per ottenere crediti di carbonio secondo i principi del protocollo di Kyoto, da cui il nome.
La giuria aveva scelto un altro progetto, assai più complesso. Una sorta di gigantesco forno a microonde progettato in Nuova Zelanda che trasforma le biomasse in carbone "catturando" il CO2.
Un altro dei cinque finalisti era un additivo a base di aglio per la dieta dei ruminanti, in grado di ridurre del 94% le loro pere di metano. Come gas serra il metano è 22 volte più potente del CO2. Sostenibilitalia si è occupato in passato del problema delle pere al metano dei ruminanti, che secondo stime attendibili contribuiscono al 18/20% delle emissioni di gas serra.
Ha vinto l'idea di una cucina solare chiamata Kyoto Box (foto) destinata ai paesi in via di sviluppo, particolarmente a quelli africani. In Africa si cucina molto spesso con fuochi di legna, anche in interno. La legna bruciata produce micidiali quantità di PM10 e le capanne|case dell'Africa equatoriale non hanno cappe o ventole, il particolato resta nell'ambiente. La cucina solare Kyoto Box è composta di due scatole di cartone ed è in grado di far bollire l'acqua solo con l'energia solare. Costa pochissimo (cinque dollari) e secondo i suoi ideatori permetterebbe di risparmiare due tonnellate di CO2 l'anno per famiglia.
Devo dire che non mi sembra un progetto così straordinario. Da anni nei congressi sono in mostra vari modelli di "cucine solari" che faticano a trovare spazio nella cultura africana, legata ai metodi tradizionali. Magari questa volta le cose cambieranno, visto che Kyoto Box è stata messa in produzione da una azienda di Nairobi in grado di sfornarne due milioni e mezzo al mese.
La speranza dell'ideatore Jon Bøhmer è che l'aggeggio possa essere utilizzato per ottenere crediti di carbonio secondo i principi del protocollo di Kyoto, da cui il nome.
La giuria aveva scelto un altro progetto, assai più complesso. Una sorta di gigantesco forno a microonde progettato in Nuova Zelanda che trasforma le biomasse in carbone "catturando" il CO2.
Un altro dei cinque finalisti era un additivo a base di aglio per la dieta dei ruminanti, in grado di ridurre del 94% le loro pere di metano. Come gas serra il metano è 22 volte più potente del CO2. Sostenibilitalia si è occupato in passato del problema delle pere al metano dei ruminanti, che secondo stime attendibili contribuiscono al 18/20% delle emissioni di gas serra.
giovedì 9 aprile 2009
Le new town de noantri
Il primo ministro, dal giorno dopo il terremoto, frequenta l'Aquila quasi ogni giorno. Si presenta con la consueta grisaglia ma con sotto un girocollo nero che immagino qualcuno gli abbia detto che "fa casual" ma che trovo inadeguato per un premier in visita ufficiale, particolarmente dove ci sono centinaia di morti.
In una di queste visite Berlusconi ha annunciato che il terremoto sarà l'occasione per sperimentare a L'Aquila la prima delle new town annunciate con il "piano casa". Si tratterebbe, in sostanza, di nuovi insediamenti costruiti ai bordi della città per offrire residenze a basso costo a giovani e meno abbienti.
Le new town sono una creazione del primo dopoguerra in Gran Bretagna e non hanno una tradizione gloriosa. L'ambizione di creare nuovi insediamenti ai margini del tessuto urbano si ridimensiona spesso in lugubri periferie dormitorio, i cui residenti sono lontani dai servizi, dalle scuole e dai posti di lavoro ed emarginati dalla vita sociale. Le critiche sono arrivate immediate e numerose, sintetizzate nella dichiarazione del sindaco dell'Aquila Massimo Cialente che ha ribadito - se ce ne fosse bisogno - che "costruire una new town vorrebbe dire distruggere e abbandonare la città". Esattamente il contrario del principio di resilienza di cui scrivevo in un post di un paio di giorni fa.
Di fronte alle corali voci di dissenso il governo ha subito rimescolato le carte. Il ministro alle infrastrutture Matteoli ha raccomandato di non travisare le parole del presidente del consiglio. Spiega Matteoli: "non vogliamo costruire una nuova Aquila in un altro posto, anzi vogliamo ricostruirla con le sue strade e il suo patrimonio artistico" e aggiunge che "prevediamo una new town dislocata per poter costruire case e affittarle con un canone basso per coloro meno abbienti che potranno poi riscattarle dopo 11-12 anni. Sono due cose diverse, non confondiamo".
Oggi lo stesso Berlù è tornato sull'argomento, per dire che i quartieri nuovi da realizzare in Abruzzo ''fanno parte del Piano Casa a cui stiamo già da tempo lavorando e non hanno niente a che vedere con il terremoto''.
''Intendiamo realizzare questi nuovi quartieri - ha proseguito il premier - in tutti i Capoluoghi di Provincia per dare risposta al 13% di famiglie che non ha la casa e ai giovani che vogliono mettere su famiglia. Saranno quartieri situati vicino al centro storico, sul modello dei quartieri milanesi da me realizzati''.
Io vivo in un capoluogo di provincia, anzi di regione. Una città che ha vissuto un terremoto devastante nel 1972 scegliendo di privilegiare la ricostruzione del centro storico.
La new town de noantri ad Ancona non la voglio. E neanche a L'Aquila.
In una di queste visite Berlusconi ha annunciato che il terremoto sarà l'occasione per sperimentare a L'Aquila la prima delle new town annunciate con il "piano casa". Si tratterebbe, in sostanza, di nuovi insediamenti costruiti ai bordi della città per offrire residenze a basso costo a giovani e meno abbienti.
Le new town sono una creazione del primo dopoguerra in Gran Bretagna e non hanno una tradizione gloriosa. L'ambizione di creare nuovi insediamenti ai margini del tessuto urbano si ridimensiona spesso in lugubri periferie dormitorio, i cui residenti sono lontani dai servizi, dalle scuole e dai posti di lavoro ed emarginati dalla vita sociale. Le critiche sono arrivate immediate e numerose, sintetizzate nella dichiarazione del sindaco dell'Aquila Massimo Cialente che ha ribadito - se ce ne fosse bisogno - che "costruire una new town vorrebbe dire distruggere e abbandonare la città". Esattamente il contrario del principio di resilienza di cui scrivevo in un post di un paio di giorni fa.
Di fronte alle corali voci di dissenso il governo ha subito rimescolato le carte. Il ministro alle infrastrutture Matteoli ha raccomandato di non travisare le parole del presidente del consiglio. Spiega Matteoli: "non vogliamo costruire una nuova Aquila in un altro posto, anzi vogliamo ricostruirla con le sue strade e il suo patrimonio artistico" e aggiunge che "prevediamo una new town dislocata per poter costruire case e affittarle con un canone basso per coloro meno abbienti che potranno poi riscattarle dopo 11-12 anni. Sono due cose diverse, non confondiamo".
Oggi lo stesso Berlù è tornato sull'argomento, per dire che i quartieri nuovi da realizzare in Abruzzo ''fanno parte del Piano Casa a cui stiamo già da tempo lavorando e non hanno niente a che vedere con il terremoto''.
''Intendiamo realizzare questi nuovi quartieri - ha proseguito il premier - in tutti i Capoluoghi di Provincia per dare risposta al 13% di famiglie che non ha la casa e ai giovani che vogliono mettere su famiglia. Saranno quartieri situati vicino al centro storico, sul modello dei quartieri milanesi da me realizzati''.
Io vivo in un capoluogo di provincia, anzi di regione. Una città che ha vissuto un terremoto devastante nel 1972 scegliendo di privilegiare la ricostruzione del centro storico.
La new town de noantri ad Ancona non la voglio. E neanche a L'Aquila.
mercoledì 8 aprile 2009
Energia e Finanza
La Banca Mondiale ha organizzato a Washington la settimana dell'energia 2009 sul tema "Energia, sviluppo e cambiamento climatico". Nel programma della settimana i relatori hanno affrontato molti argomenti interessanti quali le innovazioni nel settore dei trasporti, l'integrazione delle fonti rinnovabili, il miglioramento dell'efficienza energetica per la mitigazione dei cambiamenti climatici.
La vice presidente della Banca Mondiale Katherine Sierra nel suo intervento di apertura (testo integrale) ha sottolineato l'importanza di coniugare sviluppo e lotta ai cambiamenti climatici nel contesto della crisi economica attuale. Ha detto che se il mondo continua sulla strada attuale un inevitabile crescita dei livelli di gas serra porterà gravissime conseguenze, con l'impatto più grave sui paesi poveri che non hanno responsabilità sul cambiamento climatico. Ha ricordato le raccomandazioni di Lord Stern ai governi di investire in energia pulita e destinare il 20% dei pacchetti di incentivi a progetti sostenibili.
Secondo la Banca Mondiale la produzione efficiente, economica e pulita di energia è l'elemento chiave per ridurre la povertà e garantire la crescita economica. La Banca Mondiale offre programmi di finanziamento ai paesi in via di sviluppo e ha contribuito a molti progetti di efficienza energetica e impianti di produzione di energia rinnovabile con un incremento dell'87% rispetto al 2007.
La vice presidente della Banca Mondiale Katherine Sierra nel suo intervento di apertura (testo integrale) ha sottolineato l'importanza di coniugare sviluppo e lotta ai cambiamenti climatici nel contesto della crisi economica attuale. Ha detto che se il mondo continua sulla strada attuale un inevitabile crescita dei livelli di gas serra porterà gravissime conseguenze, con l'impatto più grave sui paesi poveri che non hanno responsabilità sul cambiamento climatico. Ha ricordato le raccomandazioni di Lord Stern ai governi di investire in energia pulita e destinare il 20% dei pacchetti di incentivi a progetti sostenibili.
Secondo la Banca Mondiale la produzione efficiente, economica e pulita di energia è l'elemento chiave per ridurre la povertà e garantire la crescita economica. La Banca Mondiale offre programmi di finanziamento ai paesi in via di sviluppo e ha contribuito a molti progetti di efficienza energetica e impianti di produzione di energia rinnovabile con un incremento dell'87% rispetto al 2007.
martedì 7 aprile 2009
Resilienza
Il terremoto abruzzese lascia una scia di rabbia e dolore difficile da superare. Quanto accaduto riporta in primo piano la necessità di realizzare comunità resilienti in grado di resistere e reagire alle calamità naturali. La gestione dei disastri naturali (ovvero la protezione civile 2.0) sarebbe molto più semplice sul territorio di una comunità resiliente.
La resilienza rientra nella grande sfera della prevenzione, argomento cruciale ma poco gradito dai governanti perché prevenire costa caro e non produce risultati vistosi. I risultati - agghiaccianti come nel caso del terremoto d'Abruzzo - li produce piuttosto la mancata prevenzione. Ma davanti a catastrofi di questa dimensione le colpe sono di tutti, quindi di nessuno.
La resilienza ha varie accezioni. Essere resilienti in generale significa avere la capacità di reagire a situazioni impreviste, di resistere a crisi gravi, di tornare alle condizioni precedenti la calamità.
Tutti i programmi di ricostruzione, gli interventi di messa in sicurezza, i finanziamenti e le leggi che saranno dedicate al terremoto d'Abruzzo dovrebbero essere improntati su una logica di resilienza. Non si tratta solo di emanare regole e direttive tecniche per la ricostruzione. La resilienza di una comunità si misura con la sua capacità di coinvolgere i cittadini, nella partecipazione alle scelte, nel privilegiare la ricomposizione della ricchezza sociale e culturale precedente al disastro. Inutile ricostruire bene, se gli anziani del paese se ne sono andati altrove e le loro residenze diventano seconde case da villeggiatura.
Ai due leader decisionisti che non devono chiedere mai e tantomeno ascoltare, la coppia BeBé (Berlusconi-Bertolaso), l'Italia sostenibile chiede questo: resilienza.
La resilienza rientra nella grande sfera della prevenzione, argomento cruciale ma poco gradito dai governanti perché prevenire costa caro e non produce risultati vistosi. I risultati - agghiaccianti come nel caso del terremoto d'Abruzzo - li produce piuttosto la mancata prevenzione. Ma davanti a catastrofi di questa dimensione le colpe sono di tutti, quindi di nessuno.
La resilienza ha varie accezioni. Essere resilienti in generale significa avere la capacità di reagire a situazioni impreviste, di resistere a crisi gravi, di tornare alle condizioni precedenti la calamità.
Tutti i programmi di ricostruzione, gli interventi di messa in sicurezza, i finanziamenti e le leggi che saranno dedicate al terremoto d'Abruzzo dovrebbero essere improntati su una logica di resilienza. Non si tratta solo di emanare regole e direttive tecniche per la ricostruzione. La resilienza di una comunità si misura con la sua capacità di coinvolgere i cittadini, nella partecipazione alle scelte, nel privilegiare la ricomposizione della ricchezza sociale e culturale precedente al disastro. Inutile ricostruire bene, se gli anziani del paese se ne sono andati altrove e le loro residenze diventano seconde case da villeggiatura.
Ai due leader decisionisti che non devono chiedere mai e tantomeno ascoltare, la coppia BeBé (Berlusconi-Bertolaso), l'Italia sostenibile chiede questo: resilienza.
domenica 5 aprile 2009
G-20 sostenibile
Il G-20 di Londra si è concluso con importanti decisioni sul futuro economico del pianeta.
Ma a Londra i leader mondiali non si sono occupati solo di dati economici, anche se la stampa italiana ne ha parlato poco o per nulla. Nella dichiarazione finale del summit (ecco il testo integrale in inglese) si parla a più riprese di "economia sostenibile" e negli ultimi paragrafi si entra nel merito con frasi eloquenti.
Il paragrafo 27 dice: Abbiamo concordato di fare il migliore uso possibile degli incentivi fiscali nell'obbiettivo di costruire una ripresa resiliente, sostenibile e verde. Opereremo una transizione verso tecnologie e infrastrutture a basse emissioni di carbonio che siano pulite, innovative ed efficienti. Chiediamo alle banche centrali di dare il massimo contributo per raggiungere questo obiettivo. Individueremo e lavoreremo assieme su ulteriori interventi per costruire economie sostenibili.
Il paragrafo 28 si occupa del clima: Riaffermiamo il nostro impegno per contrastare la minaccia dell'irreversibile cambiamento climatico, basandoci sul principio di responsabilità condivise ma differenziate e per raggiungere un accordo alla conferenza sul clima delle Nazioni Unite il prossimo dicembre a Copenhagen.
"Irreversibile cambiamento climatico". Il presidente Berlusconi, che ha sottoscritto questa dichiarazione, farebbe bene ad avvertire Dell'Utri, D'Alì, Casoli e gli altri 32 senatori negazionisti del PdL che solo pochi giorni fa hanno presentato una mozione al senato che nega l'esistenza dei cambiamenti climatici.
La mozione, per la cronaca, era stata giudicata ammissibile a nome del governo dal sottosegretario Bertolaso, che a mio avviso farebbe bene a concentrarsi su altre emergenze.
Ma a Londra i leader mondiali non si sono occupati solo di dati economici, anche se la stampa italiana ne ha parlato poco o per nulla. Nella dichiarazione finale del summit (ecco il testo integrale in inglese) si parla a più riprese di "economia sostenibile" e negli ultimi paragrafi si entra nel merito con frasi eloquenti.
Il paragrafo 27 dice: Abbiamo concordato di fare il migliore uso possibile degli incentivi fiscali nell'obbiettivo di costruire una ripresa resiliente, sostenibile e verde. Opereremo una transizione verso tecnologie e infrastrutture a basse emissioni di carbonio che siano pulite, innovative ed efficienti. Chiediamo alle banche centrali di dare il massimo contributo per raggiungere questo obiettivo. Individueremo e lavoreremo assieme su ulteriori interventi per costruire economie sostenibili.
Il paragrafo 28 si occupa del clima: Riaffermiamo il nostro impegno per contrastare la minaccia dell'irreversibile cambiamento climatico, basandoci sul principio di responsabilità condivise ma differenziate e per raggiungere un accordo alla conferenza sul clima delle Nazioni Unite il prossimo dicembre a Copenhagen.
"Irreversibile cambiamento climatico". Il presidente Berlusconi, che ha sottoscritto questa dichiarazione, farebbe bene ad avvertire Dell'Utri, D'Alì, Casoli e gli altri 32 senatori negazionisti del PdL che solo pochi giorni fa hanno presentato una mozione al senato che nega l'esistenza dei cambiamenti climatici.
La mozione, per la cronaca, era stata giudicata ammissibile a nome del governo dal sottosegretario Bertolaso, che a mio avviso farebbe bene a concentrarsi su altre emergenze.
venerdì 3 aprile 2009
NATO in Adriatico
Si è aperto stasera a Baden Baden in Germania con una cena di gala il primo vertice Nato transfrontaliero che proseguirà domani in Francia, a Strasburgo.
A suggellare il valore simbolico del vertice franco-tedesco ci sarà domattina una solenne cerimonia con la stretta di mano fra la cancelliera Angela Merkel e il presidente Nicolas Sarkozy sul ponte pedonale la passerelle des deux rives sul Reno, che unisce i due Stati.
Il summit straordinario dei capi di stato e di governo, aspramente contestato da un migliaio di no global, celebra il 60° Anniversario dell'Alleanza Atlantica che, con l'ingresso formalizzato di Croazia e Albania, conta oggi 28 membri.
La Croazia ha accolto senza clamori l'ingresso nella NATO, concentrata piuttosto sullo stallo delle trattative per l'ingresso nell'Unione Europea. Il governo di Zagabria non riesce a superare la frizione con la Slovenia su una disputa di confine che ha rallentato gli ultimi negoziati da completare per l'adesione, prevista ormai non prima del 2011. I Croati inoltre ricordano con fastidio i tempi della sanguinosa guerra civile yugoslava degli anni '90, quando la NATO non prese una posizione nel conflitto tra Serbia e Croazia.
L'Albania invece festeggia alla grande, con bandiere NATO su tutti gli edifici pubblici di Tirana e uno spot piazzato all'esterno dell'ufficio del premier Berisha che proietta il simbolo NATO attraverso il corso principale della capitale. Gli Albanesi ricordano con gratitudine il ruolo decisivo della NATO che, sotto la guida di un contingente americano, bloccò nel 1999 l'offensiva serba in Kosovo contro l'etnia albanese. La protezione della NATO permise a mezzo milione di rifugiati kosovari albanesi di tornare in patria e le truppe dell'alleanza rimasero per anni a garantire la sicurezza del Kosovo durante l'amministrazione ONU.
In realtà né la Croazia né l'Albania sono territori strategici per la NATO, visto che non rientrano nella sfera di interesse della Russia. L'adesione dei due paesi ha un valore più simbolico che pratico ma potrebbe contribuire alla stabilità della regione e sarà uno dei temi della campagna elettorale in Albania in vista delle elezioni nazionali del 28 giugno.
La cerimonia formale in cui le bandiere di Albania e Croazia saranno issate accanto a quelle degli altri membri dell'alleanza si svolgerà nel quartiere generale della Nato a Bruxelles il 7 aprile.
A suggellare il valore simbolico del vertice franco-tedesco ci sarà domattina una solenne cerimonia con la stretta di mano fra la cancelliera Angela Merkel e il presidente Nicolas Sarkozy sul ponte pedonale la passerelle des deux rives sul Reno, che unisce i due Stati.
Il summit straordinario dei capi di stato e di governo, aspramente contestato da un migliaio di no global, celebra il 60° Anniversario dell'Alleanza Atlantica che, con l'ingresso formalizzato di Croazia e Albania, conta oggi 28 membri.
La Croazia ha accolto senza clamori l'ingresso nella NATO, concentrata piuttosto sullo stallo delle trattative per l'ingresso nell'Unione Europea. Il governo di Zagabria non riesce a superare la frizione con la Slovenia su una disputa di confine che ha rallentato gli ultimi negoziati da completare per l'adesione, prevista ormai non prima del 2011. I Croati inoltre ricordano con fastidio i tempi della sanguinosa guerra civile yugoslava degli anni '90, quando la NATO non prese una posizione nel conflitto tra Serbia e Croazia.
L'Albania invece festeggia alla grande, con bandiere NATO su tutti gli edifici pubblici di Tirana e uno spot piazzato all'esterno dell'ufficio del premier Berisha che proietta il simbolo NATO attraverso il corso principale della capitale. Gli Albanesi ricordano con gratitudine il ruolo decisivo della NATO che, sotto la guida di un contingente americano, bloccò nel 1999 l'offensiva serba in Kosovo contro l'etnia albanese. La protezione della NATO permise a mezzo milione di rifugiati kosovari albanesi di tornare in patria e le truppe dell'alleanza rimasero per anni a garantire la sicurezza del Kosovo durante l'amministrazione ONU.
In realtà né la Croazia né l'Albania sono territori strategici per la NATO, visto che non rientrano nella sfera di interesse della Russia. L'adesione dei due paesi ha un valore più simbolico che pratico ma potrebbe contribuire alla stabilità della regione e sarà uno dei temi della campagna elettorale in Albania in vista delle elezioni nazionali del 28 giugno.
La cerimonia formale in cui le bandiere di Albania e Croazia saranno issate accanto a quelle degli altri membri dell'alleanza si svolgerà nel quartiere generale della Nato a Bruxelles il 7 aprile.
mercoledì 1 aprile 2009
Negazionisti all'attacco
Complimenti al mio conterraneo senatore Francesco Casoli (foto), al senatore Marcello dell'Utri e agli altri 33 firmatari di una mozione presentata dalla maggioranza al Senato che nega l'esistenza dei cambiamenti climatici e invita governo e Unione Europea a rivedere trattati e accordi, dal Protocollo di Kyoto al "Pacchetto clima 20+20+20" (ecco il testo integrale della mozione).
La mozione, che sarà discussa in aula domani, viene presentata con particolare tempismo. In questi giorni infatti sono riuniti a Bonn i delegati dei paesi dell'ONU per i negoziati per la stesura del nuovo trattato globale sul clima, con l'America presente per "recuperare il tempo perduto". Pochi giorni fa l'Agenzia USA per l'Ambiente, su richiesta della Corte Suprema, ha ribadito che i cambiamenti climatici sono una minaccia per la salute umana.
Complimenti ai 35 senatori della destra perché domenica scorsa, intervistato dal Times, il presidente UE Barroso ha ribadito che il clima e l'energia sono la priorità dell'Europa e il segretario generale ONU Ban Ki-moon ha dichiarato il 2009 anno mondiale del clima.
Complimenti perché, mentre 35 senatori del PdL negano il fatto che esistono i cambiamenti climatici, tutti i governi di destra d'Europa (Francia, Danimarca, Germania, Olanda, Svezia, ecc.) stanno investendo risorse strategiche nella lotta ai cambiamenti climatici, avendo individuato nel problema una opportunità di innovazione, sviluppo economico e occupazione. Occupazione "non delocalizzabile" come ha detto Barack Obama.
Complimenti perché domani, quando la mozione negazionista sarà in aula, avrà inizio a Londra il G-20, in cui cambiamenti climatici saranno al centro dell'agenda come elemento fondamentale per la ripresa economica globale e perché il presidente Obama ha convocato un summit mondiale dedicato esclusivamente all'emergenza clima a fine aprile a Washington.
Complimenti perché venerdì, il giorno seguente alla discussione in Senato della mozione negazionista, gli enti locali italiani presenteranno a Roma la Carta delle Città e dei Territori sul Clima (testo integrale), un documento in cui le città d'Italia chiedono di essere inserite nel nuovo protocollo del dopo Kyoto e si dichiarano disposte a fare la loro parte nella lotta ai cambiamenti climatici. Roma e Milano, ambedue amministrate dal centrodestra, hanno già aderito.
L'evento di venerdì, in cui la carta sarà ufficialmente presentata al governo, è organizzato assieme alla Associazione dei Comuni Italiani (ANCI) e all'Unione delle Provincie (UPI) ed ha ricevuto l'alto patronato della Presidenza della Repubblica e il patrocinio del Parlamento Europeo e del Ministero dell'Ambiente.
Complimenti davvero a Francesco Casoli e agli altri 34 firmatari della mozione. Bella mossa e grande tempismo.
La mozione, che sarà discussa in aula domani, viene presentata con particolare tempismo. In questi giorni infatti sono riuniti a Bonn i delegati dei paesi dell'ONU per i negoziati per la stesura del nuovo trattato globale sul clima, con l'America presente per "recuperare il tempo perduto". Pochi giorni fa l'Agenzia USA per l'Ambiente, su richiesta della Corte Suprema, ha ribadito che i cambiamenti climatici sono una minaccia per la salute umana.
Complimenti ai 35 senatori della destra perché domenica scorsa, intervistato dal Times, il presidente UE Barroso ha ribadito che il clima e l'energia sono la priorità dell'Europa e il segretario generale ONU Ban Ki-moon ha dichiarato il 2009 anno mondiale del clima.
Complimenti perché, mentre 35 senatori del PdL negano il fatto che esistono i cambiamenti climatici, tutti i governi di destra d'Europa (Francia, Danimarca, Germania, Olanda, Svezia, ecc.) stanno investendo risorse strategiche nella lotta ai cambiamenti climatici, avendo individuato nel problema una opportunità di innovazione, sviluppo economico e occupazione. Occupazione "non delocalizzabile" come ha detto Barack Obama.
Complimenti perché domani, quando la mozione negazionista sarà in aula, avrà inizio a Londra il G-20, in cui cambiamenti climatici saranno al centro dell'agenda come elemento fondamentale per la ripresa economica globale e perché il presidente Obama ha convocato un summit mondiale dedicato esclusivamente all'emergenza clima a fine aprile a Washington.
Complimenti perché venerdì, il giorno seguente alla discussione in Senato della mozione negazionista, gli enti locali italiani presenteranno a Roma la Carta delle Città e dei Territori sul Clima (testo integrale), un documento in cui le città d'Italia chiedono di essere inserite nel nuovo protocollo del dopo Kyoto e si dichiarano disposte a fare la loro parte nella lotta ai cambiamenti climatici. Roma e Milano, ambedue amministrate dal centrodestra, hanno già aderito.
L'evento di venerdì, in cui la carta sarà ufficialmente presentata al governo, è organizzato assieme alla Associazione dei Comuni Italiani (ANCI) e all'Unione delle Provincie (UPI) ed ha ricevuto l'alto patronato della Presidenza della Repubblica e il patrocinio del Parlamento Europeo e del Ministero dell'Ambiente.
Complimenti davvero a Francesco Casoli e agli altri 34 firmatari della mozione. Bella mossa e grande tempismo.
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